Magazine Diario personale

Sorensen Puddu - Replica (19)

Creato il 25 febbraio 2011 da Zioscriba

Chiediamo scusa alla memoria di Raymond Carver
per questa perfida e spietata parodia del suo racconto "Popular Mechanics" (che a dir la verità era perfido e spietato già di suo...)

popular mechanics 2

Pomeriggio tardi a casa Lloyd. Lui è semiubriaco. Lei è semiscema di mente. Stanno per fare la prima cosa intelligente della loro vita: lasciarsi. Per sfortuna, ne hanno antefatta un’altra un po’ meno illuminata: riprodursi. Ma era inevitabile, visto che siamo in pochi e per colpa di quegli egoistacci dei gay ci stiamo quasi (quasi) estinguendo.
«Mi prendo il bambino» disse Mongo.
«Sei impazzito?» disse Monga.
«Sì, ma voglio il bambino. Manderò a ritirare la sua roba.»
«Tu non lo tocchi il bambino» guaì Monga.
Il piccolo cominciò a piangere.
Mongo si avvicinò. Monga indietreggiò di un passo in cucina.
«Voglio il bambino.»
«Fuori di qui!»
Lei si rintanò con il bambino in un angolo dietro i fornelli.
Ma lui si fece sotto. Tese le braccia oltre i fornelli e agguantò il bambino.
«Mollalo!» gridò Mongo.
«Vattene via vattene via!» gridò Monga gridò Monga.
Il bambino aveva la faccia rossa e strillava. Nella zuffa fecero cadere un vaso di fiori appeso sopra la cucina. Indovinare chi se lo prese sulla testolina santa.
«Sposare un ubriacone come te», disse Monga. «Dovevo proprio avere il cervello nel culo!»
«E dove, sennò» s’incuriosì Mongo.
Lui la bloccò contro il muro, e cercò di farle mollare la presa. Tenne fermo il bambino e la spinse con tutte le sue forze. Il bambino si sbisognottolò addosso. La pipì o la pupù? Tutt’e due. Full.
«Lascialo andare» urlò Mongo.
«Noo» urlò Monga.
«Zitti stronzi!», urlò un vicino dal nome strano dietro la parete di cartapesta.
«Mollalo, Mongo!» disse Mongo.
«T’informo che tu Mongo, io Monga!» precisò Monga.
«Sottigliezze!» gridò Mongo. «Lascialo! È mmio!»
«No» disse Monga. «Fai male al bambino».
«Non gli faccio male al bambino» disse Mongo. «Sei tu che gli fai male.»
Non entrava luce dalla finestra della cucina. Nella semioscurità imbrunita e un po’ imburgnita, Mongo con una mano cercò di allentare la stretta di Monga e con l’altra afferrò per un braccio, sotto la spalla, il bambino che strillava e cagava. Monga sentì le dita che le cedevano. Sentì che il saccottino di merda si allontanava da lei. Monga fu costretta ad allentare la presa, ma un attimo dopo afferrò il bambino per le caviglie. Non l’avrebbe spuntata, quel lurido bastardo di Mongo Lloyd. Lo avrebbe tenuto lei, il bambino. Afferrò il saccottino per le caviglie e si buttò indietro. Ma lui non mollò. Sentì il bambino, lubrificato com’era di pissipissi e popò, scivolargli via dalle mani e tirò a tutta forza.
«Il bambino è di Mongo!» rivendicò Mongo.
«Il bambino è di Monga!» rivendicò Monga.
«Mi state rompendo, ziocane!» gridò il bambino.
Poi, due strappi e un tonfo.
«Amore, ha parlato!» gridò Mongo con un avambraccetto in mano.
«Evviva! Evviva!» esultò Monga, con in mano una gambuccia. «Due mesi prima di quella stronza ritardata della porta accanto!»
«Te credo, quelli ancora leggono libri invece di seguire i reality…»
Quel che rimaneva del bambino stazionava sul pavimento, a quanto pare frignando tantissimo e sanguinando molto bene. C’era anche un po’ di puzza, un cicinìn di fetore.
«Adesso facciamo pace e calmiamoci» propose Monga, «che sta per cominciare La finestra sul porcile
«Sì, che bello» acconsentì Mongo. «Calmiamoci e accendiamo la tv.»
«Come, accenderla?! E chi l’ha mai spenta. Mi prendi per una scema intellettualsnòbbe? Per una mezzafrocia radicalscìcche?»
«Ehiehiehi… scherzavo, ochèi?»
«Ochèi.»
«Ochèi?»
«Ochèi.»
«A proposito: hai già telefonato per eliminare Van Guappen?»
«Ci hanno staccato il telefono: sai, 7.000 euro per eliminare Scrotenberg…»
«Stacci più attenta, troia.»
«Ne valeva la pena: era bisex e forse leggeva anche libri di nascosto.»
«Ci vorrebbe la pena di morte.»
Gettarono un’occhiata a quello sul pavimento. Stava messo maluzzo.
«Solo una cosa» disse Monga rimirando la gambuccia che ancora stringeva in mano.
«Che c’è» chiese Mongo agitando l’avambraccetto.
«Forse non avremmo dovuto chiamarlo Monco» rifletté Monga.
«Vaffanculo» imprecò Mongo.
«Uau, mi piaci quando t’incazzi» disse Monga.
«Dài, facciamone un altro» disse Mongo.

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