San Antonio ospita una sola squadra professionistica tra le grandi leghe sportive statunitensi: i San Antonio Spurs.
La città situata nel Texas centrale è un piccolo mercato che non attira free agents in cerca di luoghi sfavillanti dove spendere la propria vita; eppure non si sente parlare di una possibile relocation degli speroni, a differenza di quanto accade per Kings e Hornets. Il motivo di ciò è dovuto alla storia recente della franchigia. Infatti gli Spurs hanno vinto quattro degli ultimi dodici Larry O’Brien Championship Trophy. Un numero spropositato se si pensa che anche quest’anno la squadra allenata da Gregg Popovich potrebbe arrivare a luglio nelle vesti di vincente.
Ma com’è possibile che una realtà come quella texana possa dominare, per così tanto tempo, una Lega all’insegna dell’aggregazione di star in palcoscenici esagerati?
La ragione, che a New York pare non abbiano compreso fino in fondo, risiede nell’operato del front office, nell’organizzazione del management e, più in generale, nella costante professionalità applicata dal propietario sino all’ultimo dei magazzinieri.
La favola nero argento iniziò a Charlotte il 25 giugno 1997. In quel giorno, nel North Carolina, si svolse il Draft. San Antonio godette della prima scelta assoluta e la spese su Tim Duncan, 2 e 13 caraibico, che aveva impiegato quattro anni per uscire da Wake Forest, a cui piaceva il nuoto.
Chi decise di assicurarsi quel giocatore fu Popovich, al tempo sia allenatore che GM. L’ex agente CIA rimase ammaliato dalla possibilità di scendere in campo con una coppia di lunghi formata da Duncan e David Robinson.
Bingo, l’anno dopo, in una stagione caratterizzata dal lockout, gli Spurs scalarono la montagna vincendo il titolo contro i Knicks. Dopo aver vinto l’anello di campioni del mondo, Popovich e il suo staff selezionarono al Draft con la cinquantasettesima (!!) scelta assoluta un argentino da Bahia Blanca, il quale non sapeva lontanamente come la Association funzionasse, poi divenuto famoso con il nome di Manu Ginobili.
Successivamente, nel 2001, il front office dei nero argento scelse al Draft, con la chiamata numero ventotto, la franco belga point guard Tony Parker. Al tempo Parker sembrava un rischioso progetto europeo e in pochi si fidavano del suo incredibile talento. Chi venne selezionato prima non lo volete neanche sapere. Inoltre, in quella stessa estate, venne firmato Bruce Bowen.
Quando nel 2003 la coppia Kobe-Shaq si sfaldò gli Spurs poterono tornare alle Finals nell’ultimo anno di carriera dell’Ammiraglio. Questa volta le vittime furono i New Jersey Nets di Jason Kidd.
L’anno seguente i Lakers aggiunsero al roster Karl Malone e Gary Payton e sconfissero San Antonio in una emozionante semifinale di Conference.
Nel 2005 O’Neal andò a Miami e la franchigia texana conquistò il titolo contro i Detroit Piston in sette gare grazie a quel argentino scelto nel ’99 di cui ora tutti conoscono nome, cognome e miracoli.
Dopo essere stati sorpassati dai Mavericks nel 2006 nella caccia al repeat, nel 2007 i big three Parker-Duncan-Ginobili affondarono la Cleveland di LeBron James in quattro gare. Parker venne eletto MVP e 29 General Menager si diedero degli incompetenti per non averlo fatto loro nel 2001.
E ora, 2011, dopo un paio di stagioni di sistemazione, San Antonio si affaccia alla postseason con la speranza di dare la caccia al quinto trofeo, forte del nucleo storico ma anche di giovani, ovviamente quasi tutti pervenuti all’ombra dell’Alamo via Draft, promettenti. Tra i nomi spiccano DeJuan Blair (trentasettesima scelta nel 2009), George Hill (ventiseiesima nel 2006) e Gary Neal (undrafted e firmato nel 2010). Senza contare Tiago Splitter, James Anderson e Da’Sean Butler.
Se gli anelli non bastassero a far capire l’efficienza del sistema Spurs, arriva una prova inconfutabile dell’operato della società per tutti questi anni: il successo che Sam Presti e Alvin Gentry, rispettivamente General Manager di Oklahoma e capo alleatore di Phoenix, stanno riscuotendo. I due, neanche a dirlo, si sono formati nell’establishment degli speroni.
In una lega che presumibilmente adotterà un rivoluzionato, ma non rivoluzionario, CBA, non sarebbe meglio godersi una squadra costruita con scelte al draft e non con faraonici acquisti?
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