L’ingegnere Daniele Salpietro, da mesi impegnato tra i 24 stati vegetativi ricoverati al Centro don Orione di Bergamo, descrive il nuovo software, chiamato “Elu1″, ideato proprio nei giorni del caso Englaro, per provare a ricostruire un “dialogo” tra i pazienti e i loro cari. E’ un casco (acquistabile con 90 euro) applicato a un amplificatore cerebrale che moltiplica di un milione di volte gli impulsi neuronali, in modo da poter captare anche i minimi “spifferi” di volontà. Il nostro cervello quando pensa, cioè quando appunto ha coscienza (seppur minima come nel caso di SV), emette un segnale elettrico con delle frequenze, e i moderni sensori sanno leggere tali impulsi neuronali, in pratica “vedono” il pensiero prima che si traduca in azione.
Salpietro ha applicato il casco su vari stati vegetativi (definiti da qualcuno “irreversibili”), ad esempio su Cristina. Alla richista di un comando non segue alcun movimento pratico, eppure «con il caschetto che misura la volontà, ogni volta che le davo questo ordine vedevo schizzare a mille il segnale sul monitor. In pratica sentiva e desiderava pure obbedire, il problema quindi non era la coscienza, ma solo la possibilità di tradurla in movimento». Una situazione già raccontata da tanti “risvegliati”, come Max Tresoldi, uscito da 10 anni di stato vegetativo e testimone oggi del fatto che «coglievo tutto ma non riuscivo a dirvelo». Per Cristina, il solo fatto di sentirsi capita, l’ha spronata ad “uscire” dallo SV per passare a quello che la medicina chiama “stato di minima coscienza”, fino addirittura a parlare: «Dite ad Aldo che sono felice».
L’ingegnere rivela ad Avvenire che «nel 2008 chiesi al padre di Eluana di poter fare l’esperimento sulla figlia, di valutare cioè il suo grado di coscienza, ma non mi rispose. Certo che dagli indizi che abbiamo avrebbe dato risposte sorprendenti: una notte chiamò persino “mamma”, mentre il suo respiro cambiava all’udire le diverse voci e davanti a più testimoni alcune volte ha sorriso». Salpietro spiega che è accertato che per il 40% dei cosiddetti “stati vegetativi” la diagnosi è sbagliata perché si usa come parametro il movimento. Invece «è la loro volontà che va accertata. Ciò che conta è se, al nostro comando, il loro cervello invia l’ordine di fare una cosa, indipendentemente dal fatto che poi la riescano a fare davvero».
Domenico, ad esempio, prende a “obbedire” solo quando gli ordini partono dalla voce della sorella, in dialetto bergamasco: il segnale sul video schizza in alto e, dopo una settimana, l’uomo ha già imparato a chiudere gli occhi su comando. E così Loredana (dimessa da un centro specialistico come “priva di coscienza”) quando le si avvicina improvvisamente la mano agli occhi non fa una piega, ma sul monitor rivela senza dubbio una rapida “risposta alla minaccia”: gli occhi non li chiude, ma ha la volontà di farlo. Conclude lo specialista: «Ma allora è chiaro che hanno bisogno di una nuova riabilitazione mirata, non più solo di essere lavati e girati in un letto… Ma quanto costa dar loro tutto questo? Più facile ed economico darli per persi e magari avviarli alla dolce morte, no?».