Roberto Accurso 29 maggio 2013
Superman è il personaggio dei fumetti più famoso al mondo, quello che più di altri ha incarnato per intere generazioni il mito del superuomo e l’ideale patriottico americano di portatore di pace e speranza. I tentativi di trasposizione di questo vero e proprio mito al cinema sono stati travagliati e sempre anticipati da curiosità e critica da parte dei fedelissimi delle nuvole parlanti, che non riuscivano a ritrovare il loro eroe nell’eventuale attore che avrebbe dovuto impersonarlo. Fattore determinante per cui passarono quasi 40 anni tra i primi fumetti e la prima pellicola dedicata all’eroe kryptoniano (va comunque ricordata una serie televisiva degli anni ’50 interpretata da George Reeves: Adventures of Superman). Nel 1978 è iniziato un ciclo di quattro film, che videro protagonista Christopher Reeve, attore fino ad allora sconosciuto ai più, che venne ingaggiato grazie alla straordinaria somiglianza fisica con i disegni originali della DC Comics. Il regista Richard Donner gli affiancò attori del calibro di Marlon Brando e Glenn Ford interpreti rispettivamente di Jor-El e di Jonathan Kent, padre naturale e padre adottivo di Superman. Il ruolo dell’antagonista per eccellenza, Lex Luthor, fu affidato a Gene Hackman, che si calò talmente bene nella parte da essere apprezzato dai fan storici del fumetto. Hackman, infatti, riuscì a dare una sfumatura più umana e ambigua al suo personaggio, rendendolo più complesso e affascinante di quello cartaceo.
La pellicola, inizialmente affidata alla regia di Guy Hamilton, doveva essere in un primo momento girata in Italia, ma poi, anche per i problemi legali che ancora minacciavano Brando “colpevole” di aver interpretato Ultimo tango a Parigi, la produzione si trasferì nel Regno Unito. Qui Hamilton, in quanto “tax exile”, fu impossibilitato a seguire la troupe e i produttori decisero di affidare il film a Donner, che firmò un contratto che prevedeva la direzione di due lungometraggi. Fu per questo che le riprese durarono più di un anno, perché si decise di girare in contemporanea Superman e Superman II. Il soggetto e la sceneggiatura furono curati nei minimi dettagli: tra gli sceneggiatori figura anche Mario Puzo, celebre per essere l’autore de Il padrino. La trama è abbastanza fedele a quella dei fumetti, e si può riassumere dividendola in tre grandi parti: la prima dedicata alla narrazione della storia e della distruzione di Krypton; la seconda dedicata all’infanzia del giovane Superman nella cittadina di Smallville; la terza che vede la trasformazione del giovane impacciato Clark Kent nel supereroe che combatte le forze del male.
Gli sforzi economici e tecnologici furono notevoli per l’epoca (ad esempio la fortezza della solitudine fu costruita totalmente in scala reale). Innovativo fu l’utilizzo del blue screen, anche se alcuni effetti speciali, come le esplosioni e le scene di volo, risultano un po’ goffe allo spettatore moderno abituato ai computer e alle magie moderne. La saga continuò come detto con altre tre pellicole, la seconda strettamente legata alla prima in quanto filmata in unica soluzione dallo stesso Donner, che però prima di terminare le riprese di Superman II fu licenziato e sostituito da Richard Lester, non figurando nemmeno nei credits nonostante concretamente avesse girato quasi tutta la pellicola. Il successo del secondo film, nonostante i dissidi interni alla produzione, fu enorme e tuttora i primi due episodi della serie vengono riconosciuti come i più riusciti. Budget sempre più ridotti, errori tecnici grossolani e l’abbandono degli attori storici della saga fecero registrare un flop per gli ultimi due lungometraggi e fecero sì che venisse abbandonato il progetto Superman.
Nel 2006, ben diciannove anni dopo la conclusione della saga storica, venne girato Superman Returns, con Brandon Routh nel ruolo di Superman/Clark Kent. La pellicola ha avuto un discreto successo, grazie soprattutto a una potenzialità tecnologica maggiore rispetto ai precedenti, che gli è valsa anche una nomination agli Oscar, ma nel complesso l’operazione non ha convinto gli appassionati storici di Nembo Kid. È prevista a breve l’uscita di una nuova opera dedicata al nostro supereroe: Man of Steel. Si tratta di un reboot diretto da Zach Snyder che vedrà, oltre all’ancora poco noto Henry Cavill nei panni dell’uomo d’acciaio, un cast stellare con attori del calibro di Russell Crowe ed Amy Adams. Concludendo, invito a vedere per chi non l’avesse mai fatto e a rivedere per chi non lo fa da un bel po’ il Superman di Richard Donner. Perché in un’epoca dove siamo contornati da effetti speciali stupefacenti, da tecnologie mozzafiato, da trame complicate e a volte incomprensibili, è piacevole trascorrere qualche ora spensierata assistendo alla trasformazione di un bravo ragazzotto di campagna nel supereroe più forte di tutti, emozionandosi insieme a lui, quasi scattando in piedi quando, tra le note ormai celebri di John Williams spicca il volo con la sua tuta blu e il suo mantello rosso.
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