La difesa d’ufficio posta in essere da Maroni nei confronti di Roberto Calderoli non è soltanto un atto esecrabile, è la cartina di tornasole di un certo modo di intendere la politica, una forma mentistrasversale. Funziona più o meno così: il politico mediocre, lungi dall’analizzare le criticità insite nel nostro sistema socio-economico, di buona lena al mattino, dopo aver consultato i giornali, rilascia una dichiarazione tendenzialmente triviale. Ricordate il “meglio Casanova che gay” di Berlusconi? O la solerzia di Gentilini, quando per scrupolo di coscienza intendeva prendere perfino l’impronta digitale del naso ai migranti sbarcati sulle nostre coste? O, ancora, la simpatia viscerale della Santadeché, impegnata in una crociata anti-islamica? Bene, lungo questa scia s’inserisce Calderoli, padre putativo del Porcellum, il quale – bontà sua – non è ancora giunto alla sofisticazione intellettuale dei predecessori testé citati e si limita, semmai, a elaborare dei paragoni antropologici da Curva Nord: nero uguale scimmia, cui di solito segue il bububùvolgarmente censurato dai dispacci d’agenzia. Insomma il colore della pelle di un uomo diventa il tratto distintivo per associarlo a qualche specie animale. Ma attenzione alla totale assenza di senso della responsabilità: Calderoli non professa il suo razzismo in maniera schietta, come faceva Haider per intenderci. Lo nasconde, lo cela dietro inutili parole. Si dice aperto e tollerante e mal sopporta la malizia dei “giornalisti di merda” (copyright di Salvini, altro sociologo della comunicazione).
Qui l'articolo sul quotidiano
Nella buvette si vive così, alla giornata, mentendo e sapendo di smentire. E quando qualcuno si azzarda a prendere le misure della camicia verde-bruna, ricordando come il vicepresidente del Senato fosse già noto alle cronache per le magliette anti-Maometto o per il desiderio manifesto di voler portare i maiali sul terreno delle future moschee, è quel qualcuno ad essere un criminale malpensante da additare al pubblico ludibrio. Il mondo alla rovescia. Il guaio, in questa brutta vicenda, è quel senso di abitudine ormai prevalente di fronte a certe esternazioni, come se la Lega dovesse necessariamente abbandonarsi a determinate sortite folkloristiche per blandire il proprio elettorato. In realtà non c’è nulla di buffo o di caratteristico nel predicare intolleranza; vi è soltanto una pericolosa propensione all’istituzionalizzazione del razzismo.