Nei suoi scritti, Roberto Saviano racconta la sua storia come una battaglia delle parole. Una volta ha raccontato dello stupore che ha provato, tornando nella sua città, quando si è reso conto che in molti gli erano ostili perchè ‘ce l’avevano con un libro, con delle parole.’ La forza delle parole, infatti, non è solo quella di dire le cose, ma anche di farle. Le sue parole hanno svolto il ruolo di denunciare la corruzione, di attivare altre persone alla lotta contro un sistema, di smuovere altre persone a parlare e agire.
La consapevolezza che l’uso delle parole e dei silenzi sia una vera e propria azione non ci è sempre chiara, ma basta pensare all’esempio più noto, quello della formula del matrimonio, per capire quanto potere reale hanno un ‘sì’ o un ‘no’!
Imparare a parlare, ad esempio secondo N. Chomsky, è una cosa naturale che non ha bisogno dell’educazione, proprio come crescere in altezza o raggiungere la pubertà. Tuttavia, se è vero che, in determinate condizioni, tutti i bambini imparano a parlare se non hanno problemi di linguaggio o di sviluppo, è anche vero che il linguaggio ha dei margini di ampliamento molto considerevoli, che vanno al di là del nostro corredo naturale. La scrittura e la lettura, per fare un primo esempio, sono competenze che l’essere umano acquisisce su stimolo e non per natura. Anche le abilità oratorie, teatrali si affinano con il tempo e la dedizione e non si sviluppano da sole. M.A.K Halliday ha proposto di chiamare questo margine di abilità linguistiche, che si conquistano, il “potenziale funzionale del linguaggio.” Imparare a leggere, scrivere e parlare e agire in modo funzionale nelle diverse situazioni sono abilità che si apprendono, di solito con l’esempio o attraverso l’educazione.
L’educazione pone spesso l’attenzione sulle aspettative sociali su come le cose devono essere dette o fatte, ha cioè un atteggiamento normativo. A questo dovrebbe essere complementare un atteggiamento descrittivo, esplorativo, libero da giudizi: infatti, ad esempio, insegnare che ‘non si grida’ è un insegnamento solo parziale, perchè ci sono situazioni e circostanze in cui si può o si deve gridare! Educare i bambini all’osservazione e alla riflessione sul linguaggio, e in particolare sul linguaggio in uso, può avere molti vantaggi per i bambini.
Nel sistema scolastico inglese, ad esempio, è entrato in uso l’acronimo KAL (knowledge about language) per descrivere la competenza metalinguistica, l’abilità cioè di riflettere su come funziona e come si usa la lingua. L’esperienza empirica e un numero crescente di studi stanno dimostrando che la KAL ha un effetto di potenziamento sulle abilità orali e su quelle di lettura e scrittura, tanto che è in discussione l’idea di inserire questa materia in modo trasversale nelel diverse discipline, perchè il linguaggio è il mezzo fondamentale di istruzione per tutte le materie e non solo per le lingue. Oltre ad essere, come si è detto, il mezzo fondamentale anche per molte delle nostre azioni.
Nella rubrica pubblicata dalla scorsa settimana su Pianeta Mamma, possiamo sperimentare delle attività di gioco o di riflessione che possono aiutarci a sviluppare nei bambini la curiosità sul funzionamento della lingua e, di conseguenza, la loro abilità ad usarla nelle diverse situazioni. Questa settimana, proviamo a giocare con due elementi fondamentali dell’uso del linguaggio: prendere la parola e ascoltare. A domani con le prime non-regole del gioco!
Se ti fa piacere, resta in contatto con il blog unendoti al gruppo su Facebook
Letture di approfondimento
Marina Sbisà (2007). Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita. Laterza, Roma – Bari.
Fucile Maria (2007). Azione linguistica, azione sociale: la teoria degli atti linguistici. Bonanno