Sulle rive di un lago senza fondo sorge il luogo più sacro dell’Iran preislamico.
Chi lo eresse e perché?
Che legame vi è tra esso e le Torri del Silenzio?
Fra le montagne dell’Iran nord-occidentale si stende un lago largo 100 metri, dallo specchio azzurro e profondo, tradizionalmente ritenuto insondabile.
Alimentato com’è da sorgenti termali, il continuo fluire delle sue acque ha formato con il tempo un bacino di depositi minerali, dai fianchi che si elevano a picco per più di 40 m.
Noto oggi come Takht-i-Sulaiman, ‘Trono di Salomone‘, questo misterioso e stupendo lago calato nel suo calice di pietra, era venerato come luogo più sacro dell’Iran prima dell’avvento dell’islamismo. Fu la combinazione di fuoco e acqua ad attrarre gli antichi fondatori dell’Iran, gli Arii, sul questo posto situato in una regione d’intensa attività vulcanica e sismica.
Il sacro lago si era costituito in sostituzione di uno precedente, sito nelle vicinanze e prosciugatosi nel corso di un terremoto.
Gli Arii onoravano il fuoco e l’acqua in quanto elementi di Ahura Mazda, la divinità principale del loro pantheon, e della dea delle acque, Anahita.
La terza divinità per importanza era Mitra, il dio della luce celeste, attorno al quale sorse in seguito un austero culto misterico che mise seriamente in pericolo il ruolo del cristianesimo come religione ufficiale del tardo Impero Romano.
Gli Arii consideravano la contaminazione degli elementi - la terra, il fuoco e l’acqua - una grave sciagura, e tramandarono questo principio e l’uso rituale degli altari del fuoco agli Zoroastriani.
Chi erano gli Zoroastriani?
Per oltre duemila anni la fortuna dei seguaci di Zoroastro ha attraversato fasi alterne di favore e decadenza.
Nel 1976 se ne contavano in tutto il mondo solo 130.000, viventi per la maggior parte a Bombay, in India, dove essi trovarono rifugio quando i musulmani invasero l’Iran e dove sono noti con il nome di Parsi.
Ritenuta la più antica delle religioni rivelate, lo Zoroastrismo predica gli insegnamenti del saggio Zarathustra, conosciuto dai Greci come Zoroastro.
Questo sacerdote di fede ariana, vissuto nella Persia orientale poco dopo il VI secolo a.C., abbandonò l’ortodossia e dichiarò di essere il profeta scelto da Ahura Mazda.
Lo Zoroastrismo, o Mazdeismo, era una versione riformata del credo ariano, che sottolineava il principio del dualismo: l’eterno conflitto tra il creatore Ahura Mazda e il suo avversario Ahriman, tra il Bene e il Male, tra la Verità e la Menzogna.
Magi, appartenenti in origine a una tribù che viveva nell’Iran nord-occidentale, erano comunemente considerati in tutto il mondo antico, gli officianti per eccellenza dello Zoroastrismo.
I tre Saggi che, secondo la tradizione, partirono da Saveh, in Iran, per assistere alla nascita di Gesù a Betlemme, erano per l’appunto dei Magi. E da questa parola deriva il termine ‘magia’, usato in passato per denotare i riti dello Zoroastrismo. In seguito, quando quella religione venne sostituita da altre, finì semplicemente per significare ‘stregoneria’.
Il fuoco restò l’elemento centrale dello Zoroastrismo in quanto simbolo di Ahura Mazda. Proprio come i loro antenati, i Parsi moderni mantengono perpetuamente acceso nei templi il fuoco sacro. I sacerdoti usano ancora indossare dei veli per non contaminare con il fiato la purezza del fuoco e si prendono cura di bruciare solo legna pulita e ben asciutta.
La contaminazione o profanazione dei tre elementi continuò a costituire un peccato. Era proibito ardere i rifiuti per non inquinare il fuoco, ed essi dovevano essere distrutti con degli acidi.
La dimostrazione più spettacolare di questo culto della purezza era l’usanza di erigere delle dakhmes, grandi torri rotonde rivestite di pietra in cima alle quali venivano esposte nude le salme dei defunti. Durante il rito di esposizione, gli avvoltoi spogliavano i cadaveri della carne mentre lo spirito dei morti viaggiava verso il cielo, trasportato dai raggi del sole. In seguito, le ossa così spolpate e sbiancate venivano seppellite o gettate nel pozzo centrale della dakhme.
Il Fuoco Reale
Sotto la sontuosa dinastia sasanide, che governò l’Iran dal III al VII secolo d.C., lo Zoroastrismo fu proclamato religione di stato e i suoi scritti furono raccolti nell’Avesta. In tutto l’Iran furono costruiti altari del fuoco con falò perennemente accesi. Certuni, posti in cima ad alture rocciose, ardevano all’aria aperta ed erano visibili a grande distanza. Altri erano invece racchiusi in templi del fuoco noti come chahar taq, ’quattro archi’, perché di struttura quadrata, con quattro pilastri congiunti da archi e reggenti una cupola.
Quasi ogni città o villaggio, così come ogni provincia, aveva il proprio fuoco sacro, al pari delle diverse classi sociali. Vi erano così l’Atur Gushnasp, il fuoco dei guerrieri e dei re, l’Atur Burzen-Mihr, il fuoco dei contadini, e l’Atur Farnbog, il fuoco dei sacerdoti.
Questi tre grandi fuochi sacri furono probabilmente consacrati all’inizio dell’era dei Parti, verso il 150 a.C., e si diceva che fossero stati accesi da Ahura Mazda per proteggere il mondo. Attualmente si conosce l’esatta ubicazione di uno solo di essi, l’Atur Gushnasp, il Fuoco Reale. Le sue fiamme divine bruciavano nel tempio del fuoco sorgente nell’antico sito di Takht-i-Sulaiman.
Queste rovine uniche al mondo furono riscoperte nel 1819 dall’esploratore inglese Sir Robert Ker Porter, ma fu solo nel 1959 quando, durante una campagna di scavi dell’Istituto Archeologico Tedesco, vennero rinvenute delle impronte stampate nell’argilla, che il sito dimostrò effettivamente di essere la città in cui, in passato, ardeva il Fuoco Reale. Emerse inoltre che Takht-i-Sulaiman era un luogo sacro già molto tempo prima che il suo tempio fosse stato restaurato e una città costruita dal re sasanide Cosroe I (513-79 d.C.).
Fu questo sovrano a fare di Takht-i-Sulaiman il principale luogo di pellegrinaggio e di culto dell’Iran.
A quell’epoca egli aveva già innalzato il leggendario palazzo di Ctesifonte sul fiume Tigri, così immenso che il popolo lo crederà in seguito opera dei geni.
Takht-i-Sulaiman era tagliata in due parti da una Strada delle Processioni, che correva in linea retta dalla spettacolare entrata della porta nord, attraverso il tempio del fuoco e l’altare ove ardeva il Fuoco Reale, per terminare sulle rive del lago. Dopo la gloriosa cerimonia d’incoronazione a Ctesifonte, i re sasanidi compivano a piedi un pellegrinaggio per ricevere l’investitura divina presso l’altare del Fuoco Reale. Il rituale aveva un suo duplicato simbolico nei grandi bassorilievi che furono incisi, nei primi 150 anni di regno della dinastia, sui fianchi delle colline in tutto l’Iran, ma soprattutto nella provincia di Fars. Essi sovrastavano le pozze alimentate dalle sorgenti o le rive dei fiumi e celebravano la monarchia: mostravano, infatti, i re sasanidi intenti a ricevere i diademi dagli dei Ahura Mazda, Anahita o Mitra.
Saccheggiata dai Bizantini nel 624, la città sacra di Cosroe sarà ricostruita e utilizzata dai Mongoli, e fra gli altri anche dal famigerato Abaqa Khan che, nel XIII secolo, proprio qui si avvelenerà anche se nel 1285, il suo ministro delle finanze, Shams ad-Din Juvayni, fu accusato di averlo avvelenato. Ma il Fuoco Reale era ormai estinto, e infine anche il più spettacolare dei luoghi sacri si trasformò nella desolata massa di rovine che si offrono tuttora alla nostra vista.