Magazine Società

Tana

Creato il 21 maggio 2010 da Lanterna
Io non sono un'amante della casa in senso classico: mi interessa avere mobili funzionali e robusti, preferibilmente economici, gli oggetti d'arredo hanno una funzione (in genere fanno da contenitore), il riciclo e il fai da te regnano sovrani. Mi piacerebbe una casa pulita e in ordine, ma spesso non mi riesce di averla: ci sono troppe cose che mi interessano di più delle pulizie. Capisco che per alcuni possa essere uno shock, esattamente come se non mi lavassi: vorrà dire che, se troveranno buone scuse per non venirmi a trovare, non mi offenderò.
Ciononostante, la mia casa mi piace. Mi piace starci e viverla, girare nelle sue vicinanze, sentirmi nel mio territorio. Probabilmente sono un animale territoriale, ma non nel senso di conservatore: mi piace, ogni volta che mi trovo in un posto, conoscere e ricordare bene il mio territorio.
Per esempio, nonostante ci sia stata 3 settimane in tutto, la casa di Levanto la sento mia: conosco i difetti dei due divani, le magagne delle portefinestre della sala, progetto di cambiare la doccetta perché è un po' scomoda. Mi sveglio aspettandomi di sentire il profumo di bomboloni e brioche della vicina pasticceria, se mi sveglio di notte aspetto la campana del Comune per capire che ore sono. Ovviamente ne esco per andare al mare, al parchetto o alla stazione, ma se c'è brutto tempo me la godo come un gatto che si acciambella sul divano.
È stato così anche per la mia casa da single, che anzi difendevo con la stessa tenacia di una gatta: era aperta agli amici a qualsiasi ora di qualsiasi giorno, ma i rari ragazzi che ci portavo andassero fuori dalle balle una volta fatto il mio comodo. Non ci volevo estranei, non volevo che qualcuno potesse piantarci le tende.
Quando ero single, mi capitava relativamente spesso di passare il weekend a casa: durante la settimana molti accoppiati uscivano, ma poi il finesettimana raggiungevano famiglie e/o fidanzati. Io mi riposavo, scrivevo, ascoltavo musica, guardavo la TV. Il tutto in neanche 25 metri quadri, che erano il mio territorio.
Quando invece abitavo ancora in famiglia, non riuscivo a sentire mie le case in cui sono stata: nonostante i miei siano il contrario dei genitori che fanno pesare il mantenimento ai figli, ero pur sempre a casa loro. Non decidevo io i budget o la lista della spesa o i lavori da fare o i bucati: subivo richieste altrui, seppur ragionevolissime.
Credo che questo abbia fatto sì che il sogno di andare a vivere per conto mio sia stato uno dei miei primi sogni da sempre. E, siccome non sarebbe diventato realtà fino al 2002 (con un troppo breve soggiorno genovese nel 2000), ho sempre riversato questa mia passione nella narrativa.
Ogni volta che scrivo una storia, ho chiarissime le case in cui la storia si svolge. Potrei riprodurne senza sforzo la planimetria e l'arredamento.
A volte, le case delle mie storie sono case esistenti. Per esempio, uno dei miei primi esperimenti di romanzo poteva vagamente somigliare alla saga degli Evangelisti della Vargas (o alla situazione di "Prima di morire addio"): c'erano questi quattro studenti che abitavano nello stesso appartamento. L'appartamento che si è materializzato nella mia mente esiste, al quarto piano di viale della Libertà 18, e ci ero stata anni prima insieme al legittimo proprietario. Era un appartamento semiabbandonato, usato un po' come magazzino un po' come appoggio per chi volesse stare in pace o non avesse tempo/voglia di tornare a casa in periferia. Poi è stato dato alla prima figlia che si è sposata e probabilmente sarà stato messo giustamente a posto, perdendo parte del suo fascino.
Altre volte, le case delle mie storie si autodispongono in modo da assecondare i movimenti narrativi, come se già quando non scrivevo fumetti la mia mente progettasse le storie per immagini o sequenze. Per esempio, la casa di Luca in Viola è disposta nel classico modo delle case da sit-com (l'inquadratura principale prevede un totale del soggiorno visto dalla parete cieca, con porta d'ingresso sulla destra, porta della cucina sul fondo e porta della zona notte sulla sinistra), ma l'arredamento è interamente IKEA (avrò visto troppi cataloghi?).
Ci sono poi case che vedo, magari fotografo (ma magari anche no, perché mi piace ricordarle con i miei filtri mentali) e restano lì, a sedimentare ed aspettare la storia giusta. Per esempio, ce n'è una a Chiavari, poco distante dalla stazione: in mezzo a tante case indipendenti degli anni '30-'40, tutte di solito curate abbastanza bene, c'è questa casa con due sfingi a lato dell'ingresso, un po' cadente, con le persiante mezze rotte, un po' lugubre (probabilmente perché non viene ritinteggiata da un pezzo e ha assunto un colorino grigiastro). Non è abbandonata, perché a volte si vedono alcune finestre aperte e qualche luce accesa. Probabilmente è una seconda casa di qualche famiglia di Milano o che che non vuole/può spenderci soldi per metterla a posto e ne usa solo le parti ancora decenti.
Ecco, io quella casa la metterò in una storia. Non so ancora quale, ma sicuramente sarà una storia di atmosfere un po' paurose.
Forse avrei dovuto mettere a frutto questa passione e fare l'agente immobiliare. Qualcuno si candida ad assumermi?

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :