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TartaRugosa ha letto e scritto di: Francesco Piccolo (2013) Il desiderio di essere come tutti Einaudi

Creato il 31 gennaio 2015 da Paolo Ferrario @PFerrario

TartaRugosa ha letto e scritto di:

Francesco Piccolo (2013)

Il desiderio di essere come tutti

Einaudi

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La lettura di questo libro è stata per certi versi liberatoria.

Di qualche anno più giovane di me, Francesco Piccolo ha attraversato gli ultimi decenni del Novecento e l’avvento del Duemila vivendo con spirito critico ed emotivo gli eventi storico-politici che quelli della mia generazione ben conoscono e, a loro volta, partecipato con diversi gradi di intensità.

Mi piace la scrittura di Piccolo. Contiene leggerezza e profondità, umorismo e serietà, sagacia e intuito, nonché, dettaglio per me non superficiale, un uso mirabile della punteggiatura. Insomma, le sue pagine scivolano mentre, preso per mano, entri, vivi e sorridi, perché in molte di quelle righe ci sono risvolti non troppo lontani dal comune idem-sentire.

Sensazione già commentata in questo spazio dopo la lettura di “Momenti di trascurabile felicità” e che ora ritorna, impellente, in questo suo raccontarsi.

A dire il vero lo scorrere l’indice mi aveva un po’ insospettito: le due uniche parti distinte “La vita pura: io e Berlinguer” e “La vita impura: io e Berlusconi” mi apparivano un ennesimo tentativo di cercare a tutti i costi una collocazione, l’una a detrimento dell’altra.

Ho dovuto invece immediatamente ricredermi quando, trascinata a ritroso nel tempo e scaraventata in ricordi e riflessioni, ho trovato molte affinità di pensiero e di posizioni con l’autore.

Perché in quel “tutti” c’ero anch’io e in quel pezzo di storia narrato si erano annidate speranze, illusioni e delusioni in cui individuale e collettivo, sia pure in forme diverse, non potevano restare in silenzio.

Di quel pezzo di storia narrato, mi limiterò a considerare i fatti che più mi hanno consentito di rivivere i miei turbamenti giovanili, portando alla memoria non solo gli eventi, ma anche, banalmente, frasi e luoghi comuni raccolti alla spicciolata, se non fra le pareti domestiche, senz’altro fra opinioni e pareri di gente vicina.

Classica, per esempio, la diffidenza verso il partito comunista e i rischi cui poteva essere sottoposto il nostro Paese, se il suo potere si fosse effettivamente affermato.

Scrive Piccolo a proposito del suo essere comunista e del confronto col padre: “Qualsiasi cosa farò, che non sarà in sintonia con quello che pensa lui, sarà da comunista. … Faccio il comunista ma poi vado a chiedergli le chiavi della macchina … fa il comunista con i soldi di papà. Voglio vedere se poi viene veramente (il comunismo)”. La frase che tormenterà l’autore per tutta la vita è proprio questa: “il fatto che lui vuole vedere cosa farò io, e quelli come me, se poi il comunismo viene veramente … Mio padre penserà sempre due cose ossessivamente: una, che se viene veramente il comunismo si scoprirà che in fondo nessuno è comunista; e l’altra, più pericolosa e più martellante nei miei confronti, che il comunismo è un sistema di divisione continua, meticolosa e ossessiva, di qualsiasi cosa si venga in possesso, volontariamente o involontariamente. Ed è per questo sistema morboso della divisione che pensa che se viene il comunismo poi nessuno vuole essere comunista. Per mio padre .. se uno è comunista e dovesse avere una macchina, poi, il bollo lo dovrà pagare Berlinguer. Se ne avrà due, dovrà darne una a un operaio”.

Forse queste convinzioni subirono una scossa non indifferente quando il segretario del Partito Comunista Enrico Berlinguer, dopo i fatti del Cile, presenta un nuovo progetto politico per la difesa della democrazia e per evitare la deriva del golpe fascista successa al popolo cileno: “se è vero che una politica di rinnovamento democratico può realizzarsi solo se è sostenuta dalla grande maggioranza della popolazione, ne consegue la necessità non soltanto di una politica di larghe alleanze sociali ma anche di un determinato sistema di rapporti politici, tale cha favorisca una convergenza e una collaborazione tra tutte le forze democratiche e popolari, fino alla realizzazione fra di esse di una alleanza politica”. Quindi due parole chiave: il dialogo (il compromesso) e il progresso (contro i conservatori, contro i reazionari). Un progetto difficile e tortuoso, tuttavia accolto da un importante interlocutore, Aldo Moro, che vede nell’alleanza la possibilità di continuare ad esercitare il proprio potere ancora a lungo nel futuro.

Succede però che al  momento del voto Moro viene rapito, evento che scuote a tutti i livelli “Il rapimento di Moro, quella operazione di guerra che aveva ucciso uomini, che adesso erano riversi nel sangue, penzolanti fuori da una macchina, quelle voci lente e addolorate che commentavano in diretta quello che non comprendevano, comunicando quindi uno stupore atterrito che faceva anche più paura, una paura che non se ne è andata più per un sacco di tempo – tutto questo era la prova definitiva che anche io, come ognuno, facevo parte della comunità”.

E quando Moro viene ucciso, muore anche il compromesso storico. Anche questo è inciso nella mia memoria quando, adolescente, mi trovo ad incrociare il Movimento studentesco. Quello della sinistra estrema, quello che aveva in odio il partito comunista perché considerato troppo “di destra” e troppo poco innovativo. In quell’élite di esaltati o masticavi il loro incomprensibile linguaggio o eri un diverso, un borghese, uno che la vera rivoluzione avrebbe spazzato via per lasciare spazio alla rivincita del calpestato proletariato: “se poi facevamo (anzi, facevano) la rivoluzione, tutti i borghesi di merda venivano cacciati via a calci in culo. Io ero un borghese di merda, quindi anch’io sarei stato preso a calci in culo, il giorno che avremmo fatto la rivoluzione. E certo, fa il comunista con i soldi di papà, mi dicevano. … A sedici anni la mia situazione era la seguente: a casa, se nominavo il PCI, ero considerato una specie di terrorista; fuori casa, se nominavo il PCI, ero considerato una specie di democristiano. Quindi, per un po’, ho smesso di parlarne”. Non è certo per quelli del Movimento che Berlinguer smette di cercare contatto con coloro che erano diversi e restare con coloro che si assomigliavano.

Se la DC trova come nuovo alleato Bettino Craxi, Berlinguer ritorna all’opposizione proponendo un programma etico, più che politico e alternativo. E così i comunisti “appresero con sollievo la decisione del nuovo corso di stare fuori dai giochi”.

Piccolo viveva al sud e ricorda di quei tempi il terremoto; io, del nord, di quegli anni ricordo la “Milano da bere”.

Sono già una studentessa lavoratrice quando accade l’ultimo atto di Berlinguer: la richiesta del referendum abrogativo della legge sulla scala mobile. Due giorni dopo, durante un comizio a Padova, nella piazza del mercato delle Erbe da me attraversata ogni volta che dovevo sostenere un esame, Berlinguer si sente male e l’11 giugno 1984 muore.

Ricordo quel giorno. Piazza San Giovanni a Roma contava forse più di 2 milioni di persone. Anche TartaRugoso era fra loro per rendere l’ultimo saluto a un uomo e alla sua idea di difendere con tenacia la purezza dell’etica e dei valori.

E leggendo le pagine di Piccolo emerge con più chiarezza nei miei pensieri che quel che resta bloccato e fissato nel tempo è l’idea di associare all’innovazione (Craxi) cinismo, disinvoltura, corruzione da cui, con estrema forza, “la sinistra si ritirava per sempre … sicura di stare dalla parte della ragione …Dall’entrata mancata nel governo e dal rapimento di Moro, nasce un’idea di purezza che non morirà più … E’ qui che sta il grande cambiamento: della vittoria non importava più nulla; bisognava soltanto segnare una volta e per sempre una linea di demarcazione, un’idea definitiva di diversità; bisognava sfilarsi dalla vita pubblica reale e rappresentare un’alternativa astratta, pulita, arroccata. Un’alternativa pura. Da quel momento in poi, ogni sconfitta politica diventava un rafforzativo delle proprie idee. Una conferma che il mondo è corrotto e che il progresso è malato. Una conferma, quindi, che le persone giuste e i pensieri giusti sono minoranza, fanno parte di un mondo altro, che non comunica più con il Paese – perché il resto del Paese, impuro e corrotto, si è perduto”.

Non che nel corso degli anni successivi non si sia riaffacciato il pensiero di una coalizione democratica allargata per raggiungere la funzione di governo, ma la fissazione della purezza a tutti i costi permane grazie alla “rifondazione” comunista, il cui stratega Bertinotti riesce a dare una svolta tassativa alla possibilità di garantire all’Italia un governo non di destra stabile.

Nel suo patto di desistenza con la sinistra, nel momento più cruciale e per via della purezza dei principi etici, Bertinotti, con grande sgomento degli alleati, riconsegna l’Italia al vituperato Berlusconi: “in quel momento si consuma, si esaurisce in un tempo brevissimo la rinascita dell’ultima spinta riformista del nuovo corso del centrosinistra”.

Su tutte le osservazioni possibili, è l’enunciato di Weber che richiama a un insegnamento per me fondamentale. “Max Weber distingue due modi di agire nella pratica politica: l’etica dei principi e l’etica della responsabilità.

Nella sostanza, chi si comporta secondo l’etica dei principi, non tiene conto delle conseguenze delle proprie idee. Cioè: fa delle scelte secondo i suoi ideali, agisce in un modo che ritiene giusto, e questo può bastare: le conseguenze che derivano da ciò che è stato fatto non interessano. .. Chi agisce secondo l’etica dei principi non si  occupa del fatto che a seguito di una decisione giusta le circostanze possano peggiorare lo stato dei fatti; l’importante è aver preso la decisione giusta, in sintonia con i propri ideali.

L’etica della responsabilità, invece, per ogni decisione da prendere tiene conto delle conseguenze prevedibili. Ingloba, nell’idea di giustizia, anche le conseguenze. … Chi fa politica secondo l’etica dei principi, segue le sue idee e tiene conto soltanto di quelle – in pratica si sottrae a un vero e proprio atto politico; chi fa politica secondo il principio della responsabilità, si pone ogni volta il problema di ciò che accadrà in seguito a una sua decisione – in pratica mette in atto un’azione politica”.

Ecco come ricordo quei giorni, esattamente come Piccolo:”Il gesto di Bertinotti è compiuto in nome della purezza, segue la sorda etica dei principi. Il Governo Prodi era stato il riscatto da questa purezza senza fertilità; se avesse portato a termine il suo mandato, probabilmente adesso vivremmo in un Paese diverso”. Se non altro, ma non mi consola, sono esente dal senso di colpa di Piccolo, che Bertinotti l’aveva votato.

Quello che invece trova completamente il mio accordo è la riflessione sull’era Berlusconi. L’essere “contro” è solo servito a rinforzare il principio secondo il quale se si è “contro” si è nel “Giusto”. “Da questa parte, dalla parte degli antiberlusconiani, si sono posizionati “tutti gli altri”. E siamo tanti. Con pensieri molto diversi, ma costretti a stare tutti insieme. Stiamo tra di noi, comunichiamo tra di noi. Ci confermiamo le nostre ragioni, ci rassicuriamo su un assunto fondamentale su cui abbiamo molto bisogno di essere rassicurati: che il mondo migliore è il nostro, assomiglia a noi e alla vita che viviamo, alle scelte che facciamo riguardo non soltanto a regole e leggi, ma anche a salute, cibo, educazione, linguaggio, libri, film, viaggi. Abbiamo pensatori di grande fama e carisma che stanno insieme a noi, ci rassicurano, dicono che siamo giusti e facciamo cose giuste; anche se il mondo sta andando da un’altra parte non ci dobbiamo preoccupare; stanno sbagliando e un giorno si ravvederanno, comprenderanno e torneranno. … Mai nessuno che metta in dubbio le nostre idee, si chieda se c’è qualcosa che non funziona, si chieda perché gli altri riescono a penetrare i desideri di una quantità di gente superiore alla nostra … Siamo assolutamente sicuri che il mondo è diviso in due, quelli che stanno sbagliando tutto e quelli che stanno facendo tutto bene, e per una coincidenza infelice la maggioranza continua a essere cieca e a guardare quelli che sbagliano”.

Il desiderio di essere come tutti è con acutezza messo in risalto dal racconto di un fatto personale. Piccolo ha una casa un po’ piccola che ha ampliato con la costruzione di due soppalchi però non risultati a catasto. Nel programma di Berlusconi, nella propaganda che precede le elezioni, era elencato un condono tombale in cui quei due soppalchi ci stavano benissimo. Piccolo e moglie naturalmente votano il Partito Democratico, ma “intanto che speravamo vincesse la sinistra, non ci sarebbe dispiaciuto del tutto se avesse perso la sinistra, a causa di quei soppalchi. Non ce lo siamo mai detti, ma sapevamo l’uno dell’altra non che ci avrebbe addirittura fatto piacere, anzi, per carità, ci saremmo indignati e incazzati anche stavolta. Solo che stavolta ci saremmo indignati e incazzati ma fino a un certo punto, perché un piccolo vantaggio ce ne sarebbe venuto”.

Conclude Piccolo che “questo è solo un Paese e la Storia ha insegnato che la corresponsabilità degli accadimenti è di coloro che vincono e di coloro che perdono, anche se non in parti uguali; poiché probabilmente in ognuno di noi al di qua del confine c’è una percentuale di superficialità, di spensieratezza e anche di mostruosità – che siamo sicuri di non avere, ma che abbiamo”.

Intanto oggi è stato eletto il nuovo Presidente: Sergio Mattarella.

Buona fortuna Italia e buon lavoro italiani


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