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Teodoro Klitsche de la Grange: «Dieci anni dopo»

Creato il 08 settembre 2011 da Tnepd

Teodoro Klitsche de la Grange: «Dieci anni dopo»

Editing in preparazione Teodoro Klitsche de la Grange DIECI ANNI DOPO Dopo un decennio dall’attentato delle due Torri, non appare granché utile accodarsi al coro delle deprecazioni (non perché non siano sacrosante, ma perché ovvie), quanto ragionare realisticamente su cosa ha rappresentato l’azione terroristica, quanto ne è derivato e sugli insegnamenti che se ne possono trarre.

In primo luogo: dieci anni fa era di moda la tesi – espressa da Fukuyama- che la conclusione della guerra fredda fosse la fine della storia; che il pianeta avesse una sola Superpotenza (gli U.S.A.); che non ci fosse nessun nemico, perché quello esistente (il comunismo) era collassato da 10 anni e niente faceva presagire che il sistema comunista sarebbe risuscitato (valutazione da confermare anche oggi).

Soprattutto, tutte tali tesi (e le altre similari) si fondavano su una convinzione: che il nemico non ci fosse più e neppure un conflitto (politico) estremo, per cui ogni tipo di lotta (residuata dopo la “fine della storia”) fosse gestibile con mezzi giuridici ed economici: governance, tecnocrazia, amministrazione delle cose (al posto del governo degli uomini). L’occidente, così rallegrato, si avviava, senza accorgersene, non tanto alla fine della storia, quanto, probabilmente (e sicuramente l’Europa) alla decadenza costituita da una variante di quel “dispotismo mite”, profetizzato da Tocqueville nella parte IV della Democratie en Amérique. Tutto questo coacervo di buone intenzioni (di cui com’è noto, è lastricata la strada dell’inferno) è stato… “falsificato” da quell’attentato, il quale provava: a) che le guerre non erano affatto finite, ma ne erano solo cambiati modi e soggetti; b) il nemico esiste (ancora) tant’è che si fa vivo, come e dove vuole (anche a Manhattan); c) che una società pacifica e ripiegata su se stessa e sulla propria gestione è quanto di più irreale si possa concepire; d) chi lo pensa è un Dulcamara sociale,  un venditore d’illusioni; e) adagiarsi sulle quali è la via più sicura per non risolvere e far incancrenire i problemi che sicuramente si presentano. Quanto alle prime due circostanze ricordate è inutile insistere sull’evidenza, ma non lo è ricordare come guerra e nemico possano manifestarsi nel XXI secolo: il “camaleonte” di Clausewitz assume forme diverse, ma resta – sostanzialmente – lo stesso. Un paio d’anni prima dell’attentato delle due Torri fu pubblicato uno studio di due colonnelli cinesi, divenuto famoso, nel quale si sosteneva che la nuova situazione creatasi dopo il 1989-1991 facesse sì che “da questo momento in poi la guerra non sarà più ciò che è stata tradizionalmente. Il che significa che, se in futuro l’umanità non avrà altra scelta che entrare in conflitto, non potrà più condurlo nei modi consueti… Quando la gente comincia ad entusiasmarsi e a gioire propendendo per la riduzione di forze militari come mezzo per la risoluzione dei conflitti, la guerra è destinata a rinascere in altre forme e su di un altro scenario… In tal senso esistono fondate ragioni per sostenete che l’attacco finanziario di George Soros all’Asia Orientale, l’attacco terroristico di Osama Bin Laden all’ambasciata militare in Sudan… rappresentano una ‘semi-guerra’, una ‘quasi –guerra’ e una ‘sotto-guerra’, vale a dire la forma embrionale di un altro genere di guerra”. Il tutto significava assimilare alla guerra delle situazioni in cui l’ostilità non è riconducibile al concetto classico della guerra (atto di forza). L’acuto giudizio dei colonnelli in effetti non fa che confermare sia il famoso discorso sul potere di Tucidide (l’ambasciata degli stranieri agli abitanti di Melo) sia, ancor più, il giudizio di Karl von Clausewitz e Giovanni Gentile che la guerra è un atto di forza (comunque un mezzo) per costringere un’altra (potenza) a fare la nostra (di potenza) volontà: se a raggiungere questo fine tuttavia non è necessario far marciare gli eserciti, ma bastano le scalate in borsa o gli attentati terroristici, ciò non toglie né che questi modifichino i rapporti di forza né che costringano l’aggredito ad adeguarsi alla volontà (e al modo di combattere) dell’aggressore. L’embargo sui materiali strategici (e il congelamento dei beni giapponesi) attuato dagli Alleati nel 1941 era più efficace contro il Giappone dell’intero esercito cinese (pur non essendo un “atto di forza”). Inoltre, farlo senza spargimento di sangue occulta nemico ed ostilità o comunque non li fa avvertire come tali: essendo nell’immaginario collettivo la guerra più legata al mezzo usuale (la violenza) che al risultato finale (il cambiamento dei rapporti di forza e l’ordine nuovo che ne consegue). É stato Osama a ricordarci come la guerra abbia diverse forme, e che il nemico esiste, anche se non si vede (anzi è tanto più pericoloso quanto più è invisibile e non visto) e a rottamare così le concezioni tardo – e post-moderne che negano la guerra e negano il nemico, degradato a criminale o qualificato come avversario, competitore, concorrente. Cioè la “controparte” in una situazione di contrapposizione politica non estrema (come, spesso, all’interno di uno Stato); in una gara sportiva (competitore); sul mercato (concorrente). Tutte rappresentazioni della realtà da cui traspare la volontà di escludere il politico (e con esso il nemico e la guerra); coll’arrière-pensée che è meglio non turbare i sogni dei popoli e, soprattutto, far mostra di avere la chiave per realizzarli. Ovviamente il maggior beneficiario di questa dottrina è il nemico, che così si dissimula più facilmente, non pensando affatto di non essere più nemico per accontentare gli auspici e le illusioni di pacifisti e benintenzionati. Ed  è altrettanto sicuro che non percepire il nemico, o peggio, pensare che non esista, è la via maestra per la comunità “di trovare più tosto la ruina che la preservazione sua”, come scriveva Machiavelli. Con ciò siamo arrivati ai punti c, d, e. A proposito dei quali, dobbiamo sempre ad Al-Quaeda  la lezione (e l’iniezione) di realismo dataci col plateale attentato dell’11 settembre. Quella doppia esplosione sbugiardò Dulcamara e paternostri, fine della storia ed “amministrazione delle cose”, pensiero debole e quant’altro. Il nemico esiste e lotta contro di noi. Questo è il messaggio – realista – delle due Torri: europei svegliatevi!. Del quale è necessario tener conto in ogni situazione, ivi compresa quella attuale: invece di limitarci a discutere se la “manovra” debba istituire il contributo di solidarietà o aumentare l’IVA, occorrerebbe interrogarsi se l’attacco alle economie occidentali, ma soprattutto europee, sia un puro fatto economico determinato da difficoltà finanziarie, o costituisca (anche e ancor di più) un’offensiva politica, volta a ridimensionare il potere delle comunità colpite. Se effetto dell’attentato fosse quello di destare durevolmente dal torpore onirico indotto dal buonismo imperante, avrebbe almeno prodotto un risultato, per noi, positivo. Ma occorre sempre tener presente che le sconfitte, gli insuccessi in politica, sono tra gli incerti dell’esistenza. Che è fatta di vittorie come di sconfitte, di successi come di crisi: non esiste la politica (e la vita) senza rischi ed insuccessi (e nemici). La differenza è nel come si percepiscono e si superano le crisi. Per una Roma repubblicana vitale, Canne fu l’anticamera dell’egemonia mediterranea; ad una Roma decaduta e impotente a cambiare, Adrianopoli fu l’avvisaglia del saccheggio e del crollo definitivo. Teodoro Klitsche de la Grange

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