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terapia del sonno -lato A-

Da Paride

Occhi sbarrati nel buio. All’improvviso.
Cristo santo, fa’ che sia mattina.
Sara cerca la sveglia. La avvicina al viso. La fissa finché non si abitua all’oscurità. Mette a fuoco le lancette. Novanta gradi netti.
Cristo santo!
Sono le tre di mattina. Sara ha due possibilità. La prima è tornare a dormire.
Alle tre e un quarto sale l’odore di caffè dalla cucina. Sara si riscalda le mani vicino ai fornelli. Gli occhi rossi e le labbra bordeaux. Ascolta la vecchia caffettiera tossire, sputacchiando spruzzi di caffè bruciacchiato tutt’intorno. Le macchia il pigiama di mille gocce color marcio. Colori dell’autunno.
Fuori fa freddo.
Magari poi torno a dormire.
La mattina il mondo è troppo stanco per accoglierti. Il sole non si alza alle tre solo perchè ti sei alzato tu. Il sole non ti ama, non ti ha sposato.
Il sole non ti preparerà mai il caffè.
Cos’è il caffè? Un misero gesto d’amore. Quando l’amore manca, il caffè è una droga mentale. Imbottirti di caffè non ti renderà amato.
Ma è sempre qualcosa.
Un surrogato d’amore. E cos’è l’orzo?
Tanto è quasi l’alba.
Sara lo chiama “metodo di scomposizione del tempo”. Consiste nel suddividere i periodi di attesa in intervalli più piccoli, considerando i mesi come periodi, i giorni intrasettimanali come “quasi weekend”, e suddividendo le giornate in fasce orarie e le ore in gruppi di minuti. Contrariamente ad Achille, la tartaruga ora corre che pare una scheggia.
Il segreto sta nello scordare il tempo che passa.
È ancora scuro, fuori. Ma se ieri è finito, finirà anche quest’oggi.
Sara sta in piedi davanti al balcone, nella mano una tazzina fumante e in bocca un sapore aspro. Guarda fuori ma fuori non c’è niente. Guarda se stessa e si accorge che il mondo che non c’è fuori, è tutto sulle sue spalle. Sara non si sente più le forze nelle gambe, e va a sedersi.
Nessuno porta il cane a pisciare, alle 3 e mezza.
Se ieri è finito, oggi non è ancora iniziato. Il paradosso delle tre e mezza è che è troppo tardi per andare a dormire, e troppo presto per svegliarsi; così Sara si fa tenere compagnia da piccoli omini in HD che fanno e dicono cose di minimo interesse. Sara si concentra sui gesti. E poi sulla musica. E poi sullo sfondo. E il mondo le sembra troppo grande per stare in quella scatola. Vede che non ce n’è che uno spicchio.
L’unica falce di Terra visibile da qui.
E anche intorno, non ce n’è che uno spicchio.
Eppure c’è posto per tanti, qui. Ci sono così tante sedie.
Ma non c’è posto per nessuno, in realtà, in quella stanza. Tanta gente che le mancava se l’è scordata. Perchè vuoi o non vuoi le cose vanno avanti e se vai avanti guardando indietro, prima o poi sbatti. E Sara c’ha già il naso storto.
La tv ha un palinsesto per tutta la giornata, per tutto il mese, e, probabilmente, per tutta la durata dell’Homo sapiens.
Sara anche ce l’ha. E forse questo vuoto è solo ribellione a quello che già c’è, prima ancora di arrivare. Forse questo silenzio è solo il compendio di tutto quello che le diranno senza che sia domandato. Forse questo buio è solo il contrappeso dei mille dettagli che non sono lì per lei, che non le interessano, che le sfuggiranno.
O forse è solo sonno.
Io penso per scompenso di realtà.
Sara ride dentro. Fuori le sfugge un ghigno nervoso. Lo stomaco stretto e le gambe che si scontrano ritmicamente scandendo i secondi. Le cinque non sono ancora l’alba, ma ci vanno vicino. Fa notte presto ora. Il giorno dura meno. Sara ne è sollevata. Anche se non dorme per più di due ore. Ma una volta che è l’alba, è quasi mattina: e la mattina, tra una cosa e l’altra, passa; poi il pomeriggio, dopo pranzo e i cartoni in tv, va via che non te ne accorgi nemmeno; arriva la sera, se ceni alle 7 praticamente la giornata è già chiusa, fuori è buio da un pezzo; due ore di polizieschi da macellaio e poi computer, o chi lo sa, magari un libro, qualcosa di costruttivo. Poi il sonno che non arriva, poi di nuovo divano, e tv; di nuovo sola nel salotto, come al risveglio, di nuovo buio, come al risveglio; e per cercare di non pensare Sara accende la tv, e sul divano si addormenta: lì si addormenta sì; pensa sia perchè non si sente obbligata a dormire. Ma una volta a letto, poi, si sente obbligata a svegliarsi. Perchè è normale svegliarsi nel letto.
E ad ogni risveglio sbarra gli occhi nel buio. Prega che sia mattina. Ma mattina non è mai. Ma prima o poi arriva. E allora tanto vale aspettarla alzati. Piuttosto che sbarrare gli occhi sulle tre, sulle tre e mezza, sulle quattro, sulle cinque meno un quarto, fino alla nausea.
Sono passati solo dieci minuti, è passata solo mezz’ora, ancora solo un quarto d’ora. Tanto vale svegliarsi e ignorare gli orologi.
Il metodo di scomposizione del tempo in fondo ha sempre funzionato, 25 anni sono passati tanto in fretta che Sara neanche se n’è accorta.



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