Alla fine dell’anno scorso, per una volta tanto, non ho allungato la lista dei buoni propositi. Come scrivevo qui, ne ho già abbastanza da poter riempire il prossimo lustro. E così, tra il freddo di dicembre e il caldo del Messico, ho deciso che questo sarebbe stato l’anno del Proficiency, per gli amici CPE.
L’impresa richiede una preparazione che, al momento, non ho e che non so se raggiungerò in tempo per la sessione d’esame. Poco male, l’importante è provarci. Se lo passassi potrei gongolare: “oh, che brava che sono”; se non lo passassi potrei affermare, senza paura di essere smentita: “eh, sai , è difficilissimo”. Quindi dormo sonni sereni.
La cosa che non manca mai di rendermi perplessa, negli ultimi anni, però, è il modo in cui gestisco le ore di studio. Sono stata per molto tempo una professionista dello studio: ore lunghe dopo ore lunghe, libri aperti sulla scrivania, quaderni di appunti, schemi sinottici ed evidenziatori che andavano da tutte le parti. Adesso, probabilmente, è subentrato il rigetto e sono diventata una procrastinatrice perfetta, altrimenti detta asina, in linguaggio scolastico vintage.
Eppure, al momento della decisione, tutti i ferri del mestiere erano già pronti: i libri li ho comprati anni fa, i quadernoni, le biro e le matitine colorate sono stati accuratamente selezionati nell’attimo stesso della risoluzione; ho stilato il piano di studio, perfetto sotto ogni punto di vista, non appena pubblicate le date d’esame.
Ogni venerdi sera penso che, davanti a me, ci sono due giorni liberi dal lavoro da riempire di esercizi di grammatica e pisolini. Ogni domenica sera tiro le somme della faccenda e mi accorgo che di pisolini ne ho fatti tanti ma di esercizi quasi nessuno.
Metto in atto, nei confronti di me stessa, strategie evasive. Ieri, per esempio, ho fatto finta che occuparmi della mia contabilità fosse una faccenda di estrema urgenza: entrate, uscite, risparmi, tabelle pivot divise per voci di spesa, vecchi documenti archiviati nel cestino. Cose così, che inizio senza pensarci e arriva mezzogiorno.
Quando decido che è ora di sedermi alla scrivania faccio come i gatti, che girano su se stessi sette volte prima di trovare la posizione ideale. Controllo le email, mi alzo, mi risiedo, faccio un giro su google, mi allontano, ritorno, controllo il sito dell’esame perchè sai mai che in dieci minuti abbiano aggiunto importanti comunicazioni, inizio un quaderno nuovo, pasticcio un quaderno vecchio. Insomma, non sto arrivando a capo di niente.
E pensare che a me studiare piace e che l’inglese mi piace ancora di più, specialmente quando mi ritrovo sotto gli occhi gli esercizi di pronuncia con demenziali filastrocche. Pat put purple paint in the pool.
Boh: forse è solo passata la stagione dello studio ed è iniziata quella dell’oblio. Voi che ne dite?