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The Leadcrow - Cantiere (IV parte)

Da Lerigo Onofrio Ligure @LerigoOLigure
Batté la testa contro la parete della cabina, continuando a fluttuare senza una direzione ben definita, il colpo non fu forte, ma sentiva la testa in subbuglio e lo stomaco sottosopra – Dannati freeiani! – imprecò una voce maschile che CJ identificò come propria. Una sensazione che non sentiva da tanto tempo si abbatté sui pensieri intorpiditi dal sonno, mentre continuava a fluttuare a gravità zero. Il buio della cabina, unito all’assenza di gravità lo obbligarono ad annaspare in cerca di appiglio. Tentò di accendere la luce arrancando sulle paratie gelide e quando l’illuminazione artificiale gli riempì gli occhi comprese di aver di nuovo sognato di essere una donna. La figura seminuda di un uomo sulla trentina aveva sostituito le forme della Capitana spaziale, i fluenti riccioli ramati erano cortissimi capelli, tagliati quasi a zero proprio a causa di quel viaggio. Dannazione, di nuovo il sogno. Imprecò battendo un pugno sulle paratie della propria cabina. Erano mesi che non sognava più la Magpie e l’equipaggio eterogeneo che l’abitava, eppure era a conoscenza di ogni cosa, l’idea di fare i mercanti, l’arrivo di nuovi ufficiali come Brooksie e persino i dubbi che la donna aveva riguardo le sue scelte. Persino la memoria di Vincent McHorn era vivida come lo era stata durante il sogno, come se il cordoglio della donna non fosse ancora scemato. C’erano anche i ricordi di una vita a Vancouver, la vita che CJ stava cercando di portare avanti in mezzo a tutte le difficoltà che gli si erano presentate davanti negli ultimi mesi, con Ariane e l’ufficializzazione della loro relazione. – A tutto l’equipaggio, attracco previsto per le ore 0432, ora stazione. – dissero sull’interfono – Si raccomanda di non utilizzare i servizi e di assicurarsi ai supporti di attracco, la compagnia non sarà responsabile di eventuali infortuni causati dalla negligenza dei passeggeri. – Afferrò una maniglia per spingersi verso la branda e cercare il display con l’orario della nave e della stazione spaziale, le due cifre gli ballarono brillanti sugli occhi e CJ dovette strofinarsi le palpebre per capire quanto tempo avesse per sistemarsi. L’orario della nave differiva da quello della stazione di circa quattro ore, la stessa differenza di tempo che c’era tra la rotazione terrestre e la rotazione della stazione. La LoneStar aveva adottato un giorno di ventotto ore per migliorare l’efficienza dei turni di lavoro e soprattutto per consentire alla squadra sulla stazione di interagire meglio con i laboratori sulla Terra. Nelle comunicazioni c’era un ritardo sufficientemente lungo da impedire una vera e propria discussione tra il cantiere e la Terra, ma ciò non impediva di condividere informazioni e risultati dei test. LoneStar aveva quindi assunto quattro squadre di specialisti che riuscissero ad adattare il proprio ritmo circadiano al giorno di ventotto ore, costringendo anche le aziende che collaboravano al progetto a cercare gente simile. Per la Atlantis era stata una fortuna avere CJ, il quale si era adattato sin dal primo viaggio verso Comet Station, non senza difficoltà. Un cicalino avvertì che stava per iniziare la decelerazione. Ormai è routine! Si disse aggrappandosi al corrimano più vicino, entro poco la rotazione della stazione avrebbe generato una leggera gravità anche sulla nave e la passerella su cui aveva orientato i piedi si sarebbe trasformata in pavimento. CJ si allacciò l’imbracatura della branda e fece un lungo sospiro, odiava quella parte, esattamente come la odiava il suo alter ego nei sogni. Non è la stessa cos… La prima decelerazione lo colse impreparato, mozzandogli il fiato e risvegliando il mal di spazio che lo tormentava da sempre. La nave dove viaggiavano, la Mule, era un vecchio modello a propulsione ibrida, uno dei primi che utilizzava i propulsori ionici e forse l’ultimo a sfruttare ancora i propulsori a propellente solido, le manovre di aggancio erano quindi ancora rozze e molto scomode in confronto a quelle che CJ aveva visto nel futuro. Nei tuoi sogni, non è il futuro, ma solo dei dannati sogni! Si ripeté mentre la nave decelerava ancora. Le cose andavano bene e quei mesi, benché più tranquilli, non erano stati affatto privi di stress: Ariane aveva perso il bambino ed entrambi si erano ritrovati con una relazione in crisi e l’azienda infuriata per dover porre rimedio alla loro situazione senza creare un precedente pericoloso. Due mesi prima Hubert Pale aveva chiamato sia CJ che Ariane nel proprio ufficio, li aveva accolti con i suoi soliti modi sbrigativi e poco formali, ma l’aveva fatto con uno sguardo per nulla fraterno. Dalla lunga discussione che ne era seguita CJ aveva dovuto accettare l’idea di andare nello spazio, mentre Ariane era stata nominata responsabile della sezione public relations, tagliandola fuori dalle attività dell’ufficio commerciale e dalle commesse di CJ. La terza decelerazione fu meno forte delle altre e gli consentì di pensare ancora alla sua compagna e alla loro relazione, naufragata dagli impegni di entrambi e da quello stupido incarico nello spazio che il Vecchio gli aveva consigliato di accettare per non mettere in difficoltà tutta la sede di Vancouver. Se solo la stazione fosse più vicina alla Terra potresti tornare nei weekend, invece siete troppo lontani persino per una telefonata! Ora che hai più bisogno di lei, Ariane sarà troppo lontana! Si rimproverava quel destino, anche se l’aveva visto arrivare quando entrambi erano entrati nell’ufficio dei loro rispettivi responsabili. In qualche modo il suo corpo percepiva la nave in lento avvicinamento al punto d’attracco, la memoria dei precedenti viaggi era aiutata anche da una certa familiarità in quei movimenti, tipica degli spaziali del suo sogno. Uno scossone, seguito da un clangore metallico e dal tonfo tipico del tubolare d’attracco, chiarirono che la procedura era andata a buon fine e che il viaggio era concluso. Comet Station li aveva agganciati e molto presto i controlli ambientali della Mule avrebbero adattato l’atmosfera a quella della stazione, dando la possibilità ai nuovi venuti di acclimatarsi. CJ fissò l’orologio, il comandante aveva fatto male i propri calcoli e la nave era arrivata con una mezz’ora abbondante di ritardo, ma per CJ non faceva molta differenza: era stato inviato a Comet Station per partecipare all’avvio del progetto Kestrel e tanto sarebbe rimasto. Era una punizione e un premio allo stesso tempo, dopotutto il Vecchio era il capo perché sapeva sfruttare quel tipo di situazioni. Ci mise poco a vestirsi e uscire nel corridoio, diventato una passerella e non più un pozzo ascensionale. Riuscì ad arrivare al portello mentre era ancora chiuso – Signor Jennings, potrà passare tra poco. – lo rassicurò il marinaio addetto, fissando la spia rossa dello sblocco – Terzo viaggio, vero? – – Già. – annuì CJ spostando meglio l’unica valigia a mano che gli era stato concesso portare – Niente bagagli ingombranti stavolta. – avrebbe voluto portare Ariane con se, ma non era stato possibile, anzi: non sarebbe più stato possibile. Che strano, hai passato anni a sognare lo spazio, ma da quando la donna e la Magpie sono diventati il tuo sogno ricorrente vorresti essere sulla Terra ogni giorno!

The Leadcrow - Cantiere (IV parte)

Ogni sogno ha il suo incubo peggiore!


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