Che Gareth Evans avesse le carte in regola per dire la proprie sul cinema delle arti marziali orientali era chiaro fin da Merantau (2009) dove, oltre a scoprire la giovane star Iko Uwais e rendere omaggio all’arte del Silat indonesiano, era riuscito ad amalgare con straordinaria naturalezza lo storytelling di matrice evidentemente europea con il contesto tutto asiatico della vicenda.
“Giacarta, Indonesia. Un palazzo inespugnabile per la polizia è un vero e proprio covo dove si nascondono ladri, assassini o stupratori. Una squadra di Swat deve irrompere nell’edificio per arrestarne il proprietario, Tama, noto e potente signore della droga. Muovendosi alle prime luci dell’alba, riescono a entrare nel palazzo, ma, quando la loro copertura salta, si ritrovano intrappolati e assediati, con tutte le uscite bloccate e l’intero edificio contro di loro. La loro missione diventa così una lotta per la sopravvivenza, stanza dopo stanza, piano dopo piano”
I meno sensibili agli elementi caratteristici della nuova cinematografia asiatica hanno liquidato l’operazione come un thriller, che mutua la propria natura dai contemporanei videogames in stile Metal Gear, inframezzato dai combattimenti ben coreografati. Fortunatamente al Toronto Internation Film Festival hanno capito il valore artistico e tecnico di The Raid, premiandolo come vincitore assoluto (guarda caso seguiranno l’hanno dopo i riconoscimenti del Festival di Dublino e dell’Amsterdam Fantastic Film Festilval…). Un film che rigenera l’action moderno senza dimenticare il senso ed il ritmo narrativo, che delinea senza strafare le psicologie di ogni singolo personaggio coinvolto, che non arretra davanti alla manifestazione cruda e talvolta antiestetica della violenza. Sia chiaro: tutto girato, coreografato e fotografato splendidamente, ma l’atmosfera resta sporca e decadente, come una rielaborazione speculare dell’italiano Gomorra (2008), anch’esso ritratto pop ed al contempo documentarisco di verità sconvolgenti. La forza della pellicola è infatti nel totale disincanto di fronte ai fatti rappresentati, facenti parte di un sistema divenuto normale amministrazione criminale, in cui gli stessi controllori sono vittime sacrificali di giochi “alti” cui lo stesso film accenna senza approfondimenti chiarificatori. Conclude la riuscita dell’opera l’interessante soundtrack elettronica del trio Aria Prayogi, Joseph Trapanese e Fajar Yuskemal, pura benzina adrenalinica sul fuoco vivo di un action come non se ne vedevano da anni!
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