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CAPITOLO 18
Rimasi senza fiato per la sorpresa. Lucius aveva scelto come cornice del nostro matrimonio non una maestosa sala da ballo, bensì un piccolo cortile interno dall’atmosfera intima, delimitato da pareti di pietra completamente ricoperte di piante rampicanti e intricati viticci di belle di notte, fin su dove iniziava l’edera che andava a formare una sorta di tetto sopra di noi. Gli ultimi boccioli bianchi di fine estate sembravano tante stelle sul punto di tuffarsi dal cielo in terra.
Le uniche fonti d’illuminazione erano la luna e le candele – c’erano candele ovunque – che erano state disposte in cima agli archi che davano sul cielo, a dozzine sul tavolo di pietra dove giacevano due calici d’argento e nascoste in mezzo al tripudio di fiori che crescevano rigogliosi nel giardino.
Era perfetto, proprio come aveva detto Lucius. Sebbene quello fosse il cuore del castello e lui tenesse molto al fatto che qui regnassero ordine e precisione, quel cortiletto possedeva un’indomita, quasi caotica bellezza, proprio come l’amore. Almeno quello che io provavo per Lucius, un amore incontenibile, un luogo selvaggio che risiedeva al centro del mio cuore e che in passato aveva dovuto lottare con il mio lato più razionale.
Quel giardino e la vista di Lucius mi strapparono un sospiro.
Lui era lì, che mi aspettava in fondo a un vialetto fra la vegetazione, in piedi davanti al tavolo di pietra, con un’espressione seria e risoluta. Non si trattava, però, di quel lato oscuro che faceva parte di lui. No. Era come se fosse così felice da non riuscire nemmeno a sorridere. Lo capii perché anch’io mi sentivo così. Provavamo una gioia tale che un sorriso non sarebbe bastato, una gioia così profonda da poter essere espressa solo con lo sguardo. Sapevo che gli invitati mi stavano guardando, ma a malapena mi accorsi della loro presenza su entrambi i lati del vialetto, e non iniziai subito a camminare verso Lucius. Restammo così, senza parole, persi nel tempo e nello spazio, persi l’uno nello sguardo dell’altra. Nonostante fosse abbastanza distante da me, capii ugualmente di essere riuscita nell’intento di farlo commuovere. Capii che non avrebbe mai dimenticato il momento del mio ingresso nel giardino, così come io non avrei mai dimenticato il suo portamento fiero, il modo in cui mi attendeva a testa alta con le mani dietro la schiena.
Se ne stava lì, perfettamente immobile, con gli occhi fissi nei miei per condividere solo con me quella straordinaria felicità, consapevole che quell’istante sarebbe stato irripetibile. Saremmo restati così per ore, se mio padre non avesse lasciato il mio braccio baciandomi sulla guancia. Così riuscii a distogliere finalmente lo sguardo da Lucius per rivolgerlo verso papà, che con le lacrime agli occhi mi disse: «Ti voglio bene, Jess».
Avrei voluto rispondergli ma mi si strinse la gola, così non mi rimase che sperare che capisse lo stesso ciò che avrei voluto dirgli. Un istante dopo, lui si fece da parte, perché, come tradizione voleva, da quel punto in poi avrei dovuto proseguire da sola. Non avevo un mazzo di fiori in mano. Dovevo presentarmi davanti a Lucius a mani vuote, a simboleggiare che da quel momento mi affidavo a lui senza riserve.
Feci un cenno a Mindy, che iniziò a camminare davanti a me a passo lento, e quando arrivò davanti al tavolo di pietra, andò a prendere il suo posto e si voltò verso di me. Gli invitati si alzarono in piedi e fecero lo stesso. Io li guardavo ma non li vedevo, non vedevo né Mindy che mi aspettava, né Raniero in piedi alla destra di Lucius. Ero di nuovo ipnotizzata dalla vista di Lucius. I suoi capelli neri brillavano sotto i raggi della luna che, insieme al bagliore delle candele, disegnavano il suo profilo: quegli zigomi alti, il naso dritto e la mandibola forte che mi avevano attratto sin da quando l’avevo conosciuto in Pennsylvania, in un giorno e in un luogo che sembravano lontani anni luce da tutto ciò che stavo vivendo in quel momento. Indossava uno smoking, scuro come i suoi occhi, perfetto come era perfetto quel giardino per l’occasione. Il vestito era sobrio – niente code, né risvolti di seta – ma quella semplicità non faceva che accentuare l’autorevolezza di Lucius, come se il suo potere fosse già così evidente da non aver bisogno di farne ulteriore mostra. D’altronde aveva l’aria di un principe anche quando indossava un semplice cappotto nero, una maglietta bianca, una cravatta e dei pantaloni neri stretti, come in occasione della cena che aveva avuto luogo la sera prima. Era teso, ma a suo agio, come si addiceva al guerriero che era stato educato a essere. Mi aspettava e io non riuscivo a credere che fosse davvero mio.
Era sempre stato così alto? Così attraente? Così irresistibile?
Mentre camminavo verso di lui, mi accorsi che qualcosa di colorato in realtà ce l’aveva: un panciotto grigio tortora, che richiamava il ricamo sul mio corpetto. Quando gli arrivai davanti, tolse le mani da dietro la schiena, come se non potesse attendere oltre di toccarmi, e fu allora che intravidi anche qualcosa di bianco sul suo braccio: la benda immacolata che gli avvolgeva il polso.
«Antanasia…» disse quando fui così vicina da udirlo. Ma la meraviglia e lo stupore – sentimenti difficili da controllare perfino per Lucius Vladescu – lo lasciarono senza parole. «Io… io…»
A quel punto sorrisi, perché avevo ottenuto il risultato che speravo. Lucius, mai a corto di parole, non riusciva a trovare quelle giuste per esprimere ciò che stava provando. Presi posto al suo fianco, e lui ricambiò il sorriso, mostrando, per la prima volta quella notte, i suoi denti candidi che avrei sentito di nuovo su di me, più tardi quella notte. Sollevai lo sguardo per incontrare il suo. Ero certa che niente mi avrebbe resa più felice del momento in cui avrebbe allungato la mano sinistra per prendere la mia destra. Il momento in cui le palme delle nostre mani si sarebbero incontrate, sia per sancire la nostra unione ufficiale, sia per riaprire gentilmente le ferite e lasciare che il nostro sangue si mescolasse.
La ferita, ancora fresca, mi diede una fitta mentre si riapriva e Lucius mi guardò attentamente, preoccupato e dispiaciuto di provocarmi altro dolore, ma io scossi la testa, impercettibilmente, perché capisse che non c’era motivo di preoccuparsi.
A un mio cenno, mi strinse più forte la mano, e io riuscii a malapena a nascondere una smorfia di dolore. Sentii il sangue uscire dalla ferita che si riapriva.
Credevo che l’istante in cui Lucius aveva affondato i denti nella mia gola sarebbe per sempre stato il più bello della mia vita, ma non era nulla paragonato alla celebrazione della nostra unione eterna al cospetto di amici e parenti. Niente, in confronto allo sguardo di desiderio e venerazione che vidi nei suoi occhi, come se ogni barriera fra noi fosse definitivamente crollata, mentre il nostro sangue gelido si confondeva.
Restammo così ancora un po’, per imprimere quel momento nella memoria, poi ci voltammo verso i più venerandi fra gli Anziani, i quali nel frattempo erano emersi dall’oscurità per avvicinarsi al tavolo di pietra. «Che la cerimonia abbia inizio…» dissero.
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