Ho il dente avvelenato, la lingua da vipera e mi girano le scatole: per un lunedì che era iniziato bene, guarda tu se me lo dovevo rovinare qui all'asilo. Con chi ce l'ho? Mi verrebbe da rispondere "con un bambino" ma non è così, lo so bene. In realtà ce l'ho su con il modello di educazione che ultimamente, sembra andar tanto di moda, quello che vede vincente il più forte e il più prepotente, che istiga al litigio o peggio ancora alla violenza, perché il più forte è quello che mena. Dunque nella classe di Cestino c'è un bambino, uno del primo anno come lui, ma fisicamente più grande e di gran lunga più vivace. Lo so perché lo vedo, all’entrata e all’uscita, è sempre in mezzo a qualche guaio e a notarlo ci vuole poco. Poco male è un bambino, se non fosse che ultimamente lo sento rivolgersi a Cestino in una maniera che non mi piace. Parla di schiaffi, botte e calci in mia presenza e se le prime volte rimanevo un po' stupita e pensavo a qualche scaramuccia tra i due, ora mi sto innervosendo. Cestino se lo guarda di traverso ma gli sorride e dice "Non ti preoccupare" io indago e domando “Che cosa è successo?” ma a sentir lui va tutto bene, “Non è successo niente”.Ora è chiaro, o per lo meno lo spero, che sia solo una questione di parole, che in una classe con 25 bambini, ma pur sempre classe, e soprattutto sotto l’occhio “vigile” delle maestre, dalle parole non si passi ai fatti e che quel bambino dica in realtà cose di cui ignora l’esistenza. In caso contrario potrei scatenare una guerra. L’istinto mi dice di intervenire in sua difesa, la ragione mi suggerisce di “no”, che se la deve vedere da solo e in un modo o nell’altro, sbrogliarsela. Mamma ci sarà sempre ma non può starti troppo vicino. Ultimamente prendo fuoco con facilità, sono spesso una mina vagante e se colpisco, faccio danni ma non riesco a capacitarmi che un treenne usi questo linguaggio, e spero che sia solo quello. Tuttavia a malincuore lo capisco, perché il consiglio che sento sempre più spesso ripetere dagli adulti è “Se ti picchiano, tu picchia più forte!” e una frase cosi, detta a un bambino piccolo, è un meteorite che cade sulla terra, distrugge il suolo che tocca e non permette più a nulla di crescere. Sono a metà tra il preoccupato e lo scocciato, si mi rompe che qualcuno si rivolga a mio figlio in quel modo. I genitori del “teppista” probabilmente no, e non ci credo che non sappiano o peggio ancora che non vedano e non sentano, che è colpa del mondo fuori che lo ha “rovinato” e che loro no, queste cose non le dicono. Ha poco più di tre anni ‘sto bambino. Comunque ora ho un problema, in più: capire se lasciar correre, intervenire, chiedere, come e a chi. Andare dalle maestre e palesare l’esistenza del “bimbo manesco” (e quindi fare la parte della mamma chioccia e scassap…e!), appostarmi dietro le finestre per scoprire la verità, o andare a prendere per il cravattino mamma e papà, e spero di scovare una soluzione perché non vorrei trovarmi impotente ad insegnare a mio figlio a picchiare più forte.




