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"Trilobiti" di Breece D'J Pancake

Creato il 02 gennaio 2012 da Bens
Il destino è come la religione: un alibi. Ci sentiamo sicuri bivaccando nell'idea che a noi non spetti nulla, che siamo come un libro già scritto ancora da leggere, abbandonati nel flusso corrente di chi sfoglia una pagina dietro l'altra. 
Ovviamente per i sentimenti giacobini e para-nichilisti che mi fomentano, le sentenze sul dogamtismo del Fato le lascio ai discepoli dell'Apocalisse. Io, nel mio piccolo, sono convinta che al caso dobbiamo più di quanto siamo disposti ad ammettere, che tutto ciò che facciamo e siamo altro non è che una fortuita e casuale concatenazione di eventi. Sembra brutto, ma non lo è. Le cose più belle capitano per caso, le cose migliori capitano per sbaglio. Breece D'J Pancake non era nei miei piani, nel breve periodo almeno. E' stato un accidente, nel senso latino del termine. Trilobiti era accatastato su di un'altissima pila di libri accanto ad altre altissime torri di pagine e copertine, ed io l'ho semplicemente preso a caso, tra tanti altri.
Se c'è una cosa che muove questo blog e me, che leggo un libro alla settimana, abbuffandomi di parole lontane ed echeggianti, è un bisogno incontenibile di trovare qualcosa di vero da dire e tenere per sempre con me. 
Quindi sarò onesta: Pancake è lo scrittore più disperato, buono, acuto e triste che io abbia mai letto. E' lo scrittore migliore che io abbia mai letto. E come tutte le cose genuinamente meravigliose stanno in silenzio e timide si lasciano guardare, regalandoci sine pecunia una pace organica che stempra la nostaligia. Trilobiti è così. Dodici racconti cattivi come la vita, che si mescolano nei luoghi più dimenticati d'America, dove è tutto uno sporcarsi le mani con un motore fuori uso ed una claustrofobica passeggiata in miniera, per tornare a casa un'anonima serata di metà inverno e sbronzarsi di whisky. Dodici storie che ne raccontano una sola, fatta di abbandono e solitudine, di scelte imposte che condannano al vuoto. 
Per caso ho letto Trilobiti, per caso me ne sono innamorata, come succede tra due persone, come per i numeri giusti alla lotteria. Hanno paragonato Pancake ad Hemingway, ma è semplicemente ridicolo. Pancake ha la malinconia effemminata dei poeti inglesi del '700, rimanendo uno scrittore molto fisico, maschile; ha la lucidità di un cronista e il menefreghismo per le belle parole che riempiono la mancanza di idee. 
E' morto a 26 anni. Suicida, o forse è morto per sbaglio. 
Non sono una fan delle vite dissolute, condotte spernacchiando il futuro. Mi piacciono le vite che non fanno rumore, che accompagnano la porta e che mancano per quello che hanno dato e non per quello che hanno fatto. Pancake era un ragazzo in gamba e sono convinta sia morto per sbaglio. 
Ci tengo solo a ringraziarlo perché da oggi in poi non scriverò più una sola parola senza avere Trilobiti ben impresso sulla pelle.     

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