Un’amica mi ha raccontato che, appena arrivata in una classe come insegnante di sostegno, in una scuola superiore, si è trovata a gestire una situazione inattesa. I compagni di classe del suo allievo non le riconoscevano un ruolo preciso, gli insegnanti non l’avevano presentata alla classe e così, in questa prima superiore, la sua figura era per tutti un’incognita.
Un giorno, la professoressa era in ritardo, i ragazzi agitati, in piedi, nei corridoi. Lei si decise a prendere in mano la situazione in attesa di un sostituto. Si inserì tra i ragazzi richiamandoli all’ordine ed invitandoli ad entrare in classe e sedersi. Un ragazzo la guardò con aria di sfida e le disse: “Ehi! Tu non sei la mia insegnante!”
La docente spiegò allora alla classe le sue funzioni e il suo ruolo nei dettagli. Però quello che turbò la ragazza fu il modo: “Possibile rivolgersi così ad un’insegnante? in prima superiore non si sa dare del lei? E’ questo il modo di rivolgersi agli insegnanti?”
Quello che talvolta manca nei bambini (e nei ragazzi, come nell’esempio!) è l’esperienza comunicativa: non tutti sanno cioè interagire in contesti e in modalità diverse da quelle familiari.
Per quanto riguarda dare del tu o del lei, condivido molto le riflessioni di Crescere Creativamente (Alla maestra davamo del Lei): “Ho concluso che tu o il lei non significano nulla… se ridotti a mera formalità, se non sono supportati da rispetto reciproco. Non significano nulla se non si insegna ai bambini, a casa come a scuola, che esistono registri comunicativi differenti a seconda dei ruoli e perfino con la stessa persona a seconda dei momenti. “
La capacità di rivolgersi alle persone secondo registri differenti è un’abilità molto complessa, che non si finisce mai di acquisire e che cambia anche nel tempo.
Fino a qualche decennio fa, le relazioni con gli insegnanti erano diverse. Anche in famiglia, la relazione con i genitori era più asimmetrica, nel senso che i figli imparavano che non potevano rivolgersi ai genitori nel modo in cui questi si rivolgevano a loro.
Oggi, la situazione è molto cambiata. Non si tratta di dare giudizi o preferenze. Si tratta di prendere atto di una situazione che ha due conseguenze, a mio avviso, sulle pratiche di interazione dei bambini di cui insegnanti e genitori possono tener conto:
- i genitori che hanno un rapporto molto diretto e simmetrico coni bambini, dovrebbero permettere loro di vivere anche situazioni sociali diverse, in cui tutte le azioni linguistiche cambiano rispetto alle loro abitudini (non si interrompe, non si prende la parola a proprio piacere etc.);
- gli insegnanti che si sentono rispondere in modi imprevisti, possono leggerli nel contesto familiare, in modo da dare occasioni e tempo ai bambini meno esposti a pratiche comunicative asimmetriche e socialmente più complesse di diventarne padroni senza subirne gli effetti e i giudizi negativi.
Che esperienze avete vissuto a riguardo? Vi è successo di vedere qualche bambino meno esperto nella comunicazione in contesti complessi? Quali sono le esperienze migliori, secondo la vostra esperienza, per esporre i bambini ad esempi complessi di socializzazione?
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Photo credits: First Grade Factory