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Se all'esclamazione Tutti i santi giorni! seguisse l'immagine che Paolo Virzì ne dà, con il suo ultimo film, non si avrebbe più paura di affrontare la tanto temuta, quotidianità. Parliamo dei nostri giorni e il più delle volte gettiamo in queste due parole tutta la nostra frustrazione, le conseguenze delle abitudini che si radicano, senza chiedere permesso.
Dalla sua Livorno, scelta per La prima cosa bella, il regista si trasferisce nella capitale e racconta la storia di Guido e Antonia. Lui (Luca Marinelli) è un giovane toscano fissato con i Santi, appassionato di storia antica e letteratura. E' un portiere di notte, nella hall di un albergo. Lei (Thony) è una cantautrice mancata, siciliana e dipendente presso un autonoleggio. Il film è in buona parte ispirato al romanzo di Simone Lenzi, La generazione. Tornando alle abitudini che non fanno paura, diciamo che il titolo è un po' il riflesso del personaggio di Guido. Lascia la hall dell'albergo per cui lavora e il primo pensiero, rientrando in casa, è quello di portare la colazione alla compagna, recitando per lei ogni giorno, la vita di un santo.
Questa coppia appare fin da subito come l'emblema della felicità "fatta di due". Fanno l'amore tutti i giorni, parlano, litigano, ridono e ogni tanto ricordano com'erano ieri. Dei sogni che non hanno mai dimenticato, lei ancora scrive canzoni e lui, quella laurea che in Italia non serve, altrove magari gli avrebbe davvero cambiato la vita. Una casa modesta, due lavori precari ma un rapporto che da solo basta a collaudare tutto. Quando si dice che la verità di una coppia viene fuori nelle situazioni difficili, è vero. Per Guido e Antonia la prova da superare è il desiderio di un figlio che non arriva. Fare l'amore tutti i giorni non basta, amarsi come si amano i giovani protagonisti disegnati da Virzì, non basta.
Ma chi guarda il film sa, che non è così. Perché dopo aver vissuto una serie di rocambolesche avventure, tra i corridoi di una clinica che sta "pappa e ciccia" con il Papa, dopo aver consultato e seguito alla lettera i metodi più all'avanguardia di una ginecologa apparentemente simpatica, questo figlio tanto atteso, non arriva. Il dramma del non riuscire ad avere un figlio si scaglia contro la vita dei due aspiranti genitori, senza un chiaro verdetto medico che proclami la sterilità di uno dei due. Allora Guido nei momenti liberi, nella sua hall, inizia a fare ricerche su internet, sogna tre figli nell'utero di Antonia, sperando che la fecondazione assistita abbia successo. La più grande difficoltà, quando si parla di drammi da vivere in due, è quella di riuscire a far parlare entrambe le parti. Virzì ci riesce, perché da una parte c'è un uomo che "vorrebbe" un figlio e non lascia mai un istante la propria donna e sa, che il suo "vorrei un figlio" non sarà mai l'equivalente del "voglio un figlio" di Antonia. Per lei però, si avventura nelle salette da spermiogramma, grida ai presenti fuori dalla clinica di fare silenzio e rimprovera dei ragazzi un po' caciaroni, nel locale dove Antonia sta cantando. Lui, Guido, che se la gentilezza lo vedesse con i propri occhi si sentirebbe a disagio...
Il suo stare al mondo in effetti mette a disagio anche lo spettatore, la sua pacatezza spaventa perché è quasi inverosimile. Antonia è invece l'elemento più genuino del film. E' nelle sue sfuriate di fronte a un ginecologo cattolico che le dà dell'attempata, che la maggior parte di noi si riconoscono. Nei suoi pianti e nella sua trasparenza nell'affrontare il suo dramma. Virzì lascia che questa diversità lampante tra i due, diventi l'appiglio per la salvezza. E lascia che lo spettatore rifletta sulla difficile convivenza, allargata alla società odierna, non della coppia. "Perché se due non hanno un figlio è reato?". Antonia se lo chiede spesso, ha paura che il suo Guido con lei non sarà mai un uomo felice, perché non può dargli un figlio.
Tutti i santi giorni è un film "vero". Un film che dà speranza e diffonde, quel concetto che ai più sfugge, e che vede nei legami (quelli sinceri), la migliore possibilità di salvezza.
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