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Un caso di diabete e una dieta insolita.
Creato il 18 gennaio 2015 da Loredana De Michelis @loridemiData la sua buona forma fisica e le abitudini di vita sane, il centro di diabetologia lo aveva impiegato più volte come cavia per degli "esperimenti". In realtà si trattava di protocolli ritriti che il centro doveva applicare un numero x di volte per motivi burocratici e che consistevano nel far pedalare mio padre su una cyclette, mentre gli veniva somministrato glucosio per endovena e misurato il profilo glicemico.
Naturalmente non succedeva niente di eccezionale: mio padre era un atleta e mentre faceva ore di cyclette ad andatura costante, il medico picchiettava sul dispositivo che misurava i battiti del suo cuore, che continuavano imperterriti ad aggirarsi intorno ai 60 al minuto. Nonostante la prestanza, il suo diabete era lì e la sua glicemia saliva e scendeva a piacimento, apparentemente più legata allo stress che all'alimentazione, senza che questa consapevolezza inducesse qualche medico a tentare qualcosa che andasse oltre la solita dieta prestampata che vietava i dolci e limitava amidi e carboidrati.
Eppure, dal diario glicemico giornaliero di mio padre, si può evincere quali fossero le sue giornate lavorative più stressanti, quanto gli piacesse andare a pescare e quanto soffrì la settimana in cui ebbe l'influenza e, pur digiunando per giorni, ebbe costantemente una glicemia altissima.
I nostri pasti subirono dei tagli drastici e il pane scomparve da casa. Mio padre improvvisamente cominciò a rubarci le caramelle e a nascondersi pezzi di cioccolata (amara, secondo lui) nelle tasche quando andava a pescare. Insomma, per reazione prese ad assumere molti più zuccheri di quelli che mangiava prima che gli fosse fatta una diagnosi.
Il diabete continuò a peggiorare con l'età, fino a quando, a 64 anni, le pillole furono sostituite dall'iniezione giornaliera di insulina. Il pancreas, dissero i medici, perdeva progressivamente le cellule di Langerhans, che avevano il compito di metabolizzare il glucosio: destino ineluttabile, così era stato per gli avi, così sarebbe stato in futuro, come una tradizione.
Mio padre non si era mai lamentato ed era in ottima forma fisica, come solito: magro come uno stecco, iperattivo, mangiava come un leone e con la scusa del diabete faceva colazione con burro e pasta di acciughe, gorgonzola e prosciutto. Una colazione che avrebbe appesantito un bue ma non lui. La sera minestra, carne e formaggio.
La siringa d'insulina però non gli era piaciuta: se ingoiare qualche compressa non l'aveva mai fatto sentire malato, doversi fare un'iniezione ogni giorno gli faceva un altro effetto. Per la prima volta in vita sua mi telefonò spontaneamente, borbottando una richiesta di aiuto a modo suo.
Commossa e pervasa da una determinazione mai avuta prima, mi buttai a capofitto nello studio delle possibilità alternative e interrogai serratamente numerose persone più o meno esperte, tre le quali un signore con gravi problemi di pressione sanguigna e di colesterolo alto, che dopo numerosi infarti e by-pass falliti era stato letteralmente miracolato da un medico svizzero, che l'aveva messo a una dieta permanente ristrettissima di verdure crude e frutta. Il signore in questione era il mio datore di lavoro e non faceva che parlare entusiasta della sua esperienza. Il commercialista dell'azienda, un uomo verdognolo e magrissimo, viveva da anni con un tumore allo stomaco che si era ridotto e poi fermato, sempre grazie alla dieta ad hoc consigliata dal medico svizzero novantunenne.
Io, per l'esperienza legata allo sport, sapevo quanto una dieta iperproteica, che era quella che mio padre faceva da sempre, facesse sentire nervosi e iperattivi. Mio padre però non avrebbe mai accettato di mangiare solo mele e banane per mesi. Le banane inoltre erano sulla lista nera del centro di diabetologia, anche se il medico svizzero sosteneva che i disturbi del metabolismo fossero da imputarsi ad una confusione del sistema immunitario, che andava "resettato" ritornando a mangiare il cibo più antico, quello su cui sopravvivevano le scimmie antropomorfe e a cui i nostri geni erano più abituati.
Alla fine scovai un medico, che pur essendo clinicamente molto preparato, valutava la possibilità di trattare certi pazienti con terapie integrate o alternative. Accettò di ascoltarmi con pazienza e facemmo anche un profilo vagamente psicologico di questo padre aggressivo e nervoso, che aveva sempre avuto strani modi di dire, come "Farsi il sangue amaro" oppure "Ingoiare amaro" quando si riferiva a fatti spiacevoli o frustranti, a cui lui era particolarmente sensibile.
Il medico cambiò la dieta di mio padre: aumentò di poco i cereali, decuplicò le verdure, introdusse spezie e semi oleosi. Però tolse le proteine: con grande disappunto di mio padre, c'era soltanto il pesce (che lui odiava) il venerdì. Addio formaggi, burro e pasta di acciughe. Un bicchiere d'acqua in più alla mattina e niente alcool.
In qualche modo questo medico riuscì a farsi ubbidire da mio padre e ottenne la collaborazione di mia madre, che si inventò mille ricette per rendere la situazione di "grande sacrificio" più tollerabile. Mio padre in tre mesi perse quel poco di pancia che aveva e attaccò a lamentarsi che stava morendo di fame. Le analisi però erano perfette: dopo 32 anni di presenza costante, il diabete era scomparso e anche gli altri valori erano assolutamente nella norma.
Ad una notizia di questo genere mi aspettavo una grande esplosione di entusiasmo e festeggiamenti per la vittoria contro una malattia considerata cronica, ma non fu così: mio padre si presentò al centro di diabetologia con il suo foglio di valori perfetti quasi chiedendo scusa e dicendo solo vagamente di avere seguito una dieta più ristretta del solito, senza menzionare il fatto che in questa dieta erano state ridotte le proteine e non i carboidrati. Al centro di diabetologia non batterono ciglio e si limitarono a prescrivergli di nuovo le pillole invece dell'insulina: "Per prevenire" dissero.
Mio padre, forte dello scarso entusiasmo dei medici, colse la palla al balzo e interruppe la dieta: "Troppo costosa" disse (?) "E poi io sono un essere umano, non una capra". Fu
inutile cercare di spiegargli che tre quarti degli esseri umani che abitano la Terra mangiano esattamente come gli era stato suggerito di fare e non soffrono di diabete: mio padre riprese la sua dieta a base di carne e formaggi. Pochi mesi dopo aveva la sua siringa, dalla quale non si è più separato.
Personalmente non seguo diete vegetariane o vegane, anche se mi tengo aggiornata sulle ricerche serie riguardanti il rapporto tra cibo e malattia. Ho sicuramente capito che "mangiare integrale" "togliere il sale" "usare grassi vegetali" e via dicendo, non sono rimedi sufficienti in caso di problemi di salute. Ho capito che un corpo sano e che consuma calorie può alimentarsi di quasi qualunque cosa, ma un corpo vecchio e/o malato ha invece bisogno di qualcosa di più personalizzato di una semplice "dieta in bianco".
In linea generale sono dell'opinione che una dieta grassa e proteica sia più adatta a un corpo in crescita e una più minerale e vegetariana si accordi meglio con un corpo che va verso una fase di riposo e di decrescita, ma non ho prove scientifiche per sostenere questo e il caso di mio padre non può certo avere l'attendibilità di una ricerca.
Non ho mai capito perché, sebbene nel caso di mio padre fosse ovvio che lo stress giocava un ruolo importante, nessun medico abbia mai proposto un ansiolitico, per esempio. Se avesse contribuito ad abbassare i livelli di glicemia, gli si sarebbe potuto proporre uno stile di vita diverso, in modo graduale. Sarebbe stato un modo più attento di curare e al tempo stesso un risparmio da parte della sanità pubblica. Lo stesso dicasi per una maggiore attenzione nel prescrivere una dieta più personalizzata.
Mio padre, grazie alla sua incredibile energia, a differenza di altre persone che hanno lo stesso problema e seguono la stessa cura, è ancora in buona forma pur continuando a mangiare dolciumi di nascosto.
Chissà se avesse proseguito con la dieta speciale.
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