E’ famosa questa citazione del filosofo Umberto Galimberti: «A me non piace la definizione di “ateo” perché ad affibbiarmela sono coloro che credono in Dio e guardano il mondo esclusivamente dal loro punto di vista, dividendolo in quanti credono o non credono. In questa etichettatura c’è tutta la prepotenza del loro schema mentale, che fa della loro fede la discriminante tra gli uomini».
Oltre all’assurdità dell’argomentazione (forse non è al corrente delle manifestazioni di “orgoglio ateo” promosse da certe sette razionaliste), il filosofo ignora che i primi ad essere chiamati “atei” furono proprio i cristiani, i quali venivano accusati di non credere a tutte le divinità del mondo greco-romano. Ma, a parte il contraddittorio ragionamento del filosofo Galimberti, rimane il dubbio che siano realmente parole sue. Sembra infatti che, come il suo collega ateo-militante Corrado Augias (cfr. Ultimissima 28/4/11), il filosofo abbia un vizio persistente per il “taglia-copia-incolla” delle opere altrui (più comunemente chiamato “plagio”).
Spesso il vice-direttore de Il Corriere della Sera, Pierluigi Battista, ne ha parlato, come in un recentissimo e durissimo articolo dove dice: «Umberto Galimberti avrebbe potuto pur dedicare una parola al suo modo di scrivere, di riprendere i pensieri altrui, di (non) usare le virgolette regolamentari nelle citazioni, di (non) menzionare le fonti cui generosamente attinge per confezionare libri di grande successo. Avrebbe potuto, ma non ha voluto. Non che Galimberti avrebbe dovuto sottoporsi all’autocritica, come pure intimano gli innumerevoli pensatori comprensibilmente irritati nel vedere i loro pensieri trasferiti pari pari e senza virgolette sulle pagine di libri firmati da un altro. Ma qualcosa dovrebbe pur dire per rispondere ai giornali, in primis “Il Giornale” e “Avvenire”, che hanno puntualmente documentato, con puntigliosa e incontrovertibile precisione, una serie impressionante di «prestiti» . Prestiti, che grossolanamente potrebbero definirsi esercizi di «copia-e-incolla» o, più elegantemente, esercizi di immedesimazione mimetica nei concetti e nelle parole altrui». Battista conclude perentorio: «E’ esteticamente sgradevole l’accanirsi su un intellettuale in difficoltà, stritolato da documentatissime accuse che rischiano di compromettere una reputazione intellettuale costruita nei decenni. Ma chi si impanca a maestro di etica dovrebbe essere in grado di superare difficoltà e imbarazzi. Rispondere umilmente alle domande più feroci e non assumere l’aria di chi ritiene quelle domande un oltraggio al proprio piedistallo. Questo sì, che sarebbe moralmente «superiore».
Addirittura in questi giorni è uscito un libro, intitolato “Umberto Galimberti e la mistificazione intellettuale” (Coniglio Editore 2011), nel quale l’autore, Francesco Bucci, analizza dettagliatamente il vizietto di Galimberti. Intervistato da Avvenire, ha dichiarato: «I suoi lavori sono costruiti utilizzando pezzi di scritti precedenti, suoi o altrui. Non hanno consequenzialità, i vari pezzi talvolta si contraddicono l’un con l’altro [...] Ripete esattamente le stesse parole in conferenze, convegni e occasioni diverse. E poi ha sicuramente un archivio tematico, nel quale pesca a seconda delle occasioni. Aggiunge qualche riga per cucire insieme i pezzi e apporta alcune modifiche. Un vecchio articolo dove parlava della “violenza assurda degli ultrà” diventa una riflessione sulla “violenza nichilistica degli ultrà”. Di originale rimane pochissimo, quasi nulla. Sembra un enorme lavoro di copiatura o, quando va bene, di parafrasi: di Heidegger, di Jung… E i suoi lavori, assemblati con materiale più volte riciclato, non hanno più alcun senso [...]. Arrivo a domandarmi se non voglia farsi scoprire. Ormai trascrive capitoli interi, con tanto di titolo». L’autore ha anche inviato la sua opera al rettore dell’Università Ca’ Foscari, di cui Galimberti è dipendente: «Con il mio saggio ho avuto un insperato riscontro positivo dalla sua università, la Ca’ Foscari. Il rettore non è più lo stesso di tre anni fa, quello che sosteneva di non poter far nulla; l’attuale mi ha risposto immediatamente quando gli ho inviato il mio materiale, assicurandomi che valuterà se avviare un’indagine. Vedremo».
Ricordiamo che in un articolo del 2001 Galimberti, oltre a elogiare l’Illuminismo, sosteneva che, al contrario dei credenti, «quelli che solitamente sono definiti “atei” sono persone che nel loro pensiero e nella loro azione si attengono rigorosamente ai dettami della pura ragione». Che Galimberti mostri nelle sue opere ragionamenti molto interessanti è fuor di dubbio, peccato che però appartengano evidentemente sempre a qualcun altro (magari un credente come lo psichiatra Carl Gustav Jung…).