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Angela Zurzolo ha detto... 23 ottobre 2010 07:30Salve Professore. Mi sono permessa di scrivere sul mio blog un articolo contenente le mie opinioni relativamente al suo articolo. Spero non si offenda. Cordialmente, AZ http://quandononsivuoleaprirelaporta.blogspot.com/2010/10/liu-xiaobo-critica-alle-critiche-sul.htmlRisponde Domenico LosurdoPretendere che l’ideologia agisca solo nel discorso degli altri e non nel proprio è la definizione stessa del dogmatismo! Quanto alla rivolta dei Taiping, essa non può essere separata dalle guerre dell’oppio. Ecco quello che scrivo nel mio libro su Stalin, richiamandomi a illustri storici (occidentali):Con una lunga storia alle spalle, che l’aveva vista per secoli o per millenni in posizione eminente nello sviluppo della civiltà umana, ancora nel 1820 la Cina vantava un Pil che costituiva il 32,4% del Prodotto interno lordo mondiale; nel 1949, al momento della sua fondazione, la Repubblica Popolare Cinese è il paese più povero, o tra i più poveri, del mondo. A determinare questo crollo pauroso è l’aggressione colonialista e imperialista che inizia con le guerre dell’oppio. Celebrate in termini enfatici anche dai più illustri rappresentanti dell’Occidente liberale (si pensi a Tocqueville e a J. S. Mill), queste guerre infami aprono un capitolo decisamente tragico per il grande paese asiatico. Il deficit nella bilancia commerciale cinese provocato dalla vittoria dei «narcotraficantes britannici», la terribile umiliazione subita («Donne cinesi vengono avvicinate e stuprate» dagli invasori. «Le tombe sono violate in nome della curiosità scientifica. Il minuscolo piede fasciato di una donna è asportato dalla sua tomba») e la crisi evidenziata dall’incapacità del paese di difendersi dalle aggressioni esterne svolgono un ruolo di primo piano nel determinare la rivolta dei Taiping (1851-1864), i quali pongono all’ordine del giorno la lotta contro l’oppio. E’ «la guerra civile più sanguinosa nella storia mondiale, con una stima dai venti ai trenta milioni di morti». Dopo aver contribuito potentemente a provocarla, l’Occidente ne diventa il beneficiario, dato che può estendere il suo controllo su un paese attanagliato da una crisi sempre più profonda e sempre più indifeso. Si apre un periodo storico che vede «la Cina crocifissa» (ai carnefici occidentali si sono nel frattempo aggiunti Russia e Giappone). Sì: «Man mano che ci si avvicina alla fine del XIX secolo, la Cina sembra diventare la vittima di un destino contro cui non può lottare. E' una congiura universale degli uomini e degli elementi. La Cina degli anni 1850-1950, quella delle più terribili insurrezioni della storia, il bersaglio dei cannoni stranieri, il paese delle invasioni e delle guerre civili, è anche il paese dei grandi cataclismi naturali. Senza dubbio il numero delle vittime nella storia del mondo non è stato mai tanto elevato».L'abbassamento generale e drastico del tenore di vita, la disgregazione dell'apparato statale e governativo, assieme alla sua incapacità, corruzione e crescente subalternità e assoggettamento allo straniero, tutto ciò rende ancora più devastante l'impatto di alluvioni e carestie: «La grande fame nella Cina del Nord del 1877-1878 […] uccide più di nove milioni di persone». E’ una tragedia che tende a verificarsi periodicamente: nel 1928, i morti ammontano a «quasi tre milioni nella sola provincia dello Shanxi». Non cè scampo né alla fame né al freddo: «Si bruciano le travi delle case per potersi riscaldare».Non si tratta solo di una devastante crisi economica: «Lo Stato è quasi distrutto». Un dato è di per sé significativo: «130 guerre si sviluppano tra 1300 signori della guerra tra il 1911 e il 1928»; le contrapposte «cricche militari» sono talvolta appoggiate da questa o quella potenza straniera. D’altro canto, «le ripetute guerre civili tra il 1919 e il 1925 possono essere considerate come nuove guerre dell’oppio. La posta in gioco è il controllo della sua produzione e del suo trasporto». Al di là dei corpi armati dei signori della guerra, dilaga il banditismo vero e proprio, alimentato dai disertori dell’esercito e dalle armi vendute dai soldati. «Si calcola che attorno al 1930 i banditi in Cina ammontino a 20 milioni, il 10% della popolazione maschile complessiva». Per un altro verso è facile immaginare il destino che incombe sulle donne. Nel complesso, è la dissoluzione di ogni legame sociale: «Talvolta il contadino vende la moglie e i figli. La stampa descrive le colonne di giovani donne così vendute che percorrono le strade, inquadrate dai trafficanti, nello Shanxi devastato dalla fame del 1928. Esse diventeranno schiave domestiche o prostitute». Solo a Shanghai ci sono «circa 50 mila prostitute regolari». E sia le attività di brigantaggio che il giro della prostituzione possono contare sull’appoggio o sulla complicità delle concessioni occidentali, che sviluppano a tale proposito «lucrose attività». La vita dei cinesi vale ormai ben poco, e gli oppressi tendono a condividere questo punto di vista con gli oppressori. Nel 1938, nel tentativo di frenare l’invasione giapponese, l’aviazione di Chiang Kai-sheck fa saltare le dighe del Fiume Giallo: 900 mila contadini muoiono annegati mentre altri 4 milioni sono costretti alla fuga. Circa quindici anni prima Sun Yat-Sen aveva espresso il timore che si potesse giungere «fino all’estinzione della nazione e all’annientamento della razza»; sì, forse i cinesi si apprestavano a subire la fine inflitta ai «pellerossa» sul continente americano.Di questa storia dell’orrore colonialista, a cui ha posto fine la fondazione della Repubblica Popopolare Cinese, non tiene alcun conto l’articolo di Angela Zurzolo, che è sottile e interessante ma che non spiega l’essenziale: perché è lecito infliggere la galera a coloro che negano il martirio inflitto dal Terzo Reich al popolo ebraico mentre invece è doveroso attribuire il premio Nobel per la Pace a coloro che negano il martirio inflitto dal colonialismo occidentale al popolo cinese?A di sopra dell’articolo campeggia un motto di Aldo Moro: «Tutto è inutile, quando non si vuole aprire la porta». Il motto è indubbiamente saggio, ma dà prova di dogmatismo chi pretende che esso valga per gli altri ma per se stesso!D.L.
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