Papa Francesco parla spesso di povertà, di una “Chiesa povera per i poveri”. Abbiamo già fatto notare come queste espressioni vanno lette alla luce dell’interpretazione cristiana e non con la lente della demagogia mediatica. La povertà cristiana infatti non coincide con la miseria economica, ma identifica la posizione morale dell’uomo verso la realtà, denaro compreso. Il povero nel cristianesimo è colui che non pone la speranza e la salvezza in quel che ha e in quel che potrebbe avere, è certamente in antitesi all’opulenza, e guarda ad un distacco dal denaro anche se questo non equivale necessariamente ad avere il portafoglio vuoto: «il denaro deve servire non governare», ha spiegato infatti il Pontefice.
Il paradosso cristiano è che un povero geloso e attaccato a quel poco che ha non sta vivendo la povertà evangelica, al contrario invece di una persona ricca libera dal denaro e che lo investe con intelligenza per l’aiuto dei fratelli. Certo, è doveroso evitare gli sprechi ed eliminare orpelli e argenteria varia, ma chi vuole una Chiesa priva di denaro è in fondo chi spera che scompaia dalla scena pubblica: sarebbe infatti incapace di aiutare i poveri, fallirebbero le opere di carità nazionali e internazionali, le missioni nel Terzo Mondo, le scuole cattoliche, le chiese da costruire, ristrutturare e mantenere. Nessun peso nell’ambito culturale, sanitario o formativo per la gioia della cultura laicista (e non laica!). Per questo il “Fatto Quotidiano” e altri autorevoli portavoce di questo movimento ideologico hanno interesse a strumentalizzare queste parole del Pontefice.
Per quanto detto appare dunque incredibile che una persona tanto colta ed intelligente come Vittorio Messori sia cascato nel tranello concedendo un’intervista al quotidiano di Padellaro, sopratutto a Carlo Tecce ingordo anticlericale. Messori è comunque riuscito ad esporre il suo pensiero: «Il Vaticano è uno speciale e piccolo Stato, ma è pur sempre una realtà burocratizzata che distribuisce appalti, commesse, denaro e non può farne a meno. Non può rinunciare a una struttura di governo, comunque funzionale per la diffusione evangelica. Un po’ di serietà. Gesù aveva una disponibilità economica, persino un tesoriere che poi l’ha tradito, Giuda Iscariota. Quando fu crocifisso, le guardie notarono che aveva un abito cucito con un solo pezzo di stoffa, un lusso raro, e se lo giocarono a dadi perché costava. Era di valore. Gesù vestiva Armani».
Una battuta quest’ultima che ha fatto rizzare i capelli ai finti moralisti come Adriano Celentano, lo stesso che ieri invitava a far chiudere il quotidiano “Avvenire” e “Famiglia Cristiana”. Il cantante ha infatti inviato una lettera a “Repubblica” pubblicata in prima pagina dove, da predicatore del politicamente corretto come è purtroppo diventato, ha contestato Messori affermando: «Pa’ Francesco vorrebbe una Chiesa povera, invece la vogliono ricca perché col denaro è più facile comprare il “BUIO” dove nascondere i “peccati”, tipo i gravi abusi sui minori e il silenzio di chi sa e tace e il più delle volte insabbia». Ha proseguito: «lo scrittore e storico Vittorio Messori, del quale leggo sempre con interesse gli editoriali», ha detto che Gesù vestiva Armani. «A mio parere è veramente una Cazzata», usando il linguaggio tipico degli intellettuali e degli studiosi. Ha quindi concluso con altre affermazioni retoriche, del tipo: «noi sappiamo quanto Gesù tenesse ai poveri, a differenza dello Ior». E’ curioso che proprio Celentano faccia discorsi di questo tipo: pochi anni fa, in una bella intervista in cui emergeva tutto il suo fervore cattolico (ancora non era girotondino noglobal), raccontava di sé: «Quando ero giovane non ero ricco e non potevo permettermi di realizzare alcuni sogni. Ora sono ricco e ho tutto ciò che desidero, però la gioia e le emozioni che ho provato nel visitare la Grotta di Lourdes non le avevo mai provate prima» (G. Mattei, “Anima mia”, Piemme 1998, p. 82). Se il denaro è un male in se stesso, secondo i suoi appelli alla Chiesa, come questo si concilia con i suoi racconti autobiografici?
Andando a dare un’occhiata alla storia del cristianesimo, il prestigioso sociologo Rodney Stark (capitolo 5 di “Il trionfo del cristianesimo“, Lindau 2012) ha spiegato -citando i maggiori storici del cristianesimo, come G.W. Bauchanan, Abraham J. Malherbe, Arthur Darby Nock, Harry Y. Gamble, Edmond Le Blant, Marta Sordi, Alan Millard ecc.- che il cristianesimo è iniziato come un movimento di privilegiati (smontando l’idea marxista che invece esso nasca dalle classi povere ed emarginate della società con lo scopo di lenire la loro miseria materiale). Molti membri del primo gruppo di cristiani appartenevano alla nobiltà, erano persone colte e istruite e tendevano a conquistare seguaci in quell’ambiente, anche se ovviamente tanti erano i convertiti anche dalle classi povere. La stessa famiglia di Gesù era decisamente benestante, Giuseppe era quel che oggi chiamiamo un imprenditore edile, avevano proprietà a Cafàrnao come a Nazareth, ogni anno si recavano a Gerusalemme per la Pasqua, cose che le maggior parte delle famiglie non potevano permettersi. Gesù stesso faceva costantemente esempi riferiti alla ricchezza, suggerendo un uditorio privilegiato: proprietà terriera, investimento, affitto, eredità e la parabola dei talenti rivela «una certa familiarità con le pratiche bancarie». Infine, ricordiamo che lui stesso era una persona benestante, molto istruita. Esiste tra gli studiosi oggi una “quasi certezza” che fosse un rabbino molto colto, aveva a disposizione del denaro, aveva un tesoriere, le sue missioni e dei suoi apostoli erano finanziate spesso da donne ricche convertite (come Maria di Magdala e, successivamente, la ricca commerciante Lidia, Fil 4,16), indossava una tunica inconsutile, cioè tessuta tutta di un pezzo come era solito usare il Sommo Sacerdote.
Roberto Rusconi, ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università Roma Tre, ha confermato l’intera visione sulla questione e il giusto concetto di povertà cristiana: «Certamente Gesù non era un pezzente, e magari nemmeno Giuseppe. Da un certo punto di vista non è mai esistita una Chiesa povera, mentre la Chiesa ha sempre avuto – come istituzione – il problema di come gestire i beni che possedeva, che generavano ricchezza e soprattutto potere. In altri termini, può essere estremamente antistorico usare la categoria di povertà al di fuori del contesto. Il problema della Chiesa è costituito dai beni che generano la ricchezza e non vengono utilizzati per i poveri». La povertà cristiana identifica l’atteggiamento morale nell’amministrazione del denaro, ovvero senza farsene un idolo. Non dovrebbe oggi essere strumentalizzata per fini ideologici da personaggi che non comprendono come interpretare le parole di Papa Francesco.
La redazione