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Una reazione profonda e duratura

Da Marcofre

(…) credo che l’importante in un’opera di narrativa sia questo: la reazione dev’essere profonda e duratura.

Francis Scott Fitzgerald scriveva questo nel 1934, a un suo amico scrittore. Parlava del proprio romanzo “Tenera è la notte”, e concludeva la sua lettera affermando che se il finale si fosse rivelato inefficace, gli sarebbe piaciuto che l’effetto si producesse dopo. Anche a costo di non essere ricordato come autore del libro.
Strano vero? In un mondo dove l’affermazione del singolo viene considerata giusta e legittima, uno scrittore arriva a tanto. E non si dica che Scott Fitzgerald è un autore riconosciuto e famoso.

Non lo è stato affatto: fu riscoperto solo dopo la sua morte. Nell’ultimo anno della sua vita vendette complessivamente 40 copie. Adesso con Amazon chiunque rischia di vendere di più; ma la sua opera che effetto avrà sul lettore?
Non dico che l’affermazione di un libro sia irrilevante, e nemmeno Scott lo credeva, ne sono quasi certo.

Però egli sapeva che la storia, la sua efficacia debba prevalere su tutto il resto. Anche su chi scrive.
E a questo fine lo scrittore si deve concedere senza alcuna riserva, sempre. Non può esserci il calcolo furbesco, immaginare per esempio di “trattenersi”, di “misurarsi” perché altrimenti l’ispirazione finisce troppo presto.

La reazione deve essere profonda e duratura.

In questa frase c’è tutto quello che serve a capire cosa deve essere quel bene liquidato con il nome di “libro”. Una storia, breve o lunga che sia, deve generare una reazione.
Raymond Carver diceva di prendere a pugni il lettore, se non ricordo troppo male. Qui abbiamo un’affermazione simile, forse meno drastica.
Bisogna tentare di scrivere qualcosa in grado di produrre una crepa, una frattura in chi legge.

E il risultato non deve soltanto increspare la superficie, ma scendere in profondità, installarsi laggiù e lavorare. Produrre cioè altri effetti nel tempo; non è detto che ci sia un chiaro segnale di cambiamento. Le conseguenze di certe letture arrivano dopo, e possono essere imprevedibili.

Ecco il motivo che spinge tante persone a stare lontano dai libri; o a chiedere a certi autori di non angustiare il povero lettore con storie di alcolizzati, poveri, cialtroni.

La vita è già difficile, perché anche nel libro bisogna trovare storie tristi? Un poco di allegria, che diamine!
Piccola domanda.
E se la (nostra) vita fosse difficile perché ci siamo sempre accontentati della mediocrità? O di andare a rimorchio di chi grida e sbraita?


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