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Una vera #Europa politica potrebbe salvarci dalla #crisi?
Creato il 26 giugno 2012 da Intervistato @intervistatoE' quindi difficile ritenere che oggi si possa mettere in qualche modo in discussione la presenza della Grecia nella moderna Europa, visto che è proprio sulle sue fondamenta greche e latine che essa si poggia.
L'Europa è entrata in crisi molte volte nella sua storia ma nessuno si aspetta (e soprattutto nessuno si augura) che la Storia possa ripetersi ancora alle stesse condizioni, soprattutto quelle del Martedì Nero del 1929, fra le concause della Seconda Guerra Mondiale. La popolazione europea di oggi è più vecchia e decisamente meno militarista di allora. Anche se ci sono segnali che anche oggi preoccupano: il ritorno in moltissimi paesi agli estremismi di destra e di sinistra e la possibile reazione populista ne sono solo un esempio. Inoltre stanno emergendo movimenti anti-conformisti, come Grillo ed il Partito dei Pirati, che potrebbero mettere in discussione il percorso europeo.
(Fortunatamente) è quasi certo che il populismo del nostro tempo non ci porterà a nessuna guerra. Ma resta il problema di governare, cosa che in Europa è sempre più difficile: non c’è infatti nessun leader europeo eletto due volte. Con il clima generalizzato di austerità, chi è in carica risulta sempre perdente ad ogni possibile elezione.
Resta il fatto che il lungo processo d'integrazione europea ha garantito ad oggi oltre 60 anni di pace nel nostro continente, dato troppo spesso dimenticato; il più grande risultato di questo faticoso (e a volte doloroso) progetto resta comunque l'Euro, conquista per oltre 320 milioni di europei in 17 Paesi diversi, un pezzo di Europa in mano a ciascuno di noi ogni giorno. Ma una moneta non basta a renderci un popolo e la formula “unita nella diversità”, che doveva contraddistinguere l'Europa, e quindi il progetto europeo, mai come oggi suona poco più che uno slogan.
Il 1 gennaio del 2002, Romano Prodi, allora presidente della Commissione europea dichiarava: “Sono certo che l’Euro rafforzerà l’economia dell’Europa e contribuirà molto allo sviluppo di una identità europea”.
Forse non è andata esattamente così, ma lo stesso Prodi ammoniva già allora che la moneta da sola non sarebbe bastata e che la prima crisi avrebbe costretto gli europei a guardare più lontano. Con l'introduzione dell'Euro, il forte Marco tedesco di fatto cambiava nome diventando qualcosa di nuovo: l'unione monetaria era una vera e propria scommessa politica ed economica sul futuro degli europei.
Una scommessa che dava poche certezze (come il Trattato di Maastricht del 1992, largamente in deroga per diversi Paesi della zona euro) e molte incertezze (nessuna reale unione politica, fiscale, di bilancio fra i Paesi dell'UE, e nessuna omegenizzazione concreta in ambito economico-finanziario, per esempio con misure simli alla Tobin Tax, mai entrate in vigore).
Inoltre l'unione monetaria era stata concepita su una banca centrale europea debole (la BCE) e sul Sistema europeo delle banche centrali (SEBC): un meccanismo basato su un compromesso al ribasso, tipico di molte politiche europee.
Questi squilibri restano a tutt'oggi fra le cause principali della crisi economica europea che stiamo vivendo, e che potrebbe durare oltre una decade se non si dovesse cambiare drasticamente il passo. Anche nel migliore degli scenari possibili, questa crisi ha già consegnato un enorme shock economico-finanziario all'Europa Latina e soprattutto a quella dei PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna).
Va ricordato infatti che l'effetto domino causato dal fallimento di economie perifiche (proprio come la Grecia) sarebbe devastante su tutta l'Europa, basti pensare che l’attuale 42% delle esportazioni della Germania è nell'eurozona e pesa otto volte l’ammontare dell’export tedesco verso la Cina. A nessuno converrebbe quindi far fallire i propri principali clienti. Già Helmut Kohl aveva capito che l'unione monetaria poteva essere un embrione di una federazione e che non costituiva in sé la meta.
Quindi c'è una soluzione possibile? Forse si, proprio con un sistema federale basato su una carta fondativa più simile alla Costituzione Americana degli Stati Uniti d'America (e non al timido tentativo della Costituzione Europea di Roma del 2003, bocciata dal referendum francese e olandese del 2009), anche se probabilmente all'Europa basterebbe anche solo una confederazione.
In ogni caso l'obiettivo sarebbe sintetizzabile in tre grandi scelte non più rimandabili per il nostro continente: vera unione bancaria europea, ricapitalizzazione delle banche europee in crisi con i fondi provenienti dal Meccanismo Europeo di Stabilità, e un nuovo piano che assicuri la conversione di parte dei debiti nazionali in Eurobond (ovvero il progetto proposto proprio da Prodi e Quadrio Curzio sugli EuroUnionBond già il 23 agosto del 2011). Restando con i piedi per terra, il fiscal compact a confronto sarebbe una passeggiata.
Nei prossimi post cercherò di fare una sintesi di queste tre grandi sfide che potrebbero cambiare per sempre il volto dell'Europa che conosciamo. Stavolta non decidere potrebbe essere davvero l'ultima scelta che l'Europa comunitaria fa.
Jacopo Paoletti
Could a true political Europe save us from the crisis?
The Greeks called Europe the western part of the world they knew, and in opposition to the East they valued its freedom, a fundamental factor in the associative life in Greece. It is very difficult today to think that Greece's presence in Europe can be discussed, since it is on its Greek and Latin foundation that it currently stands.
Europe has seen several crisis in its history but nobody expects (and most of all nobody wants) that History repeats itself in the same conditions, especially those of the Black Tuesday of 1929, among the concauses of the Second World War. The European population of today is older and definitely less militarized than then. Even though there are worrying signals: the return of right and left wing extremisms in many countries and the possible populist reaction are just an example. Moreover, anti-conformist movements are starting to grow, such as Grillo and the Pirates, that could put the European path in doubt.
(Luckily) it is almost certain that nowaday's populism won't bring us to a war. But there's still the governmet problem, which is becoming more and more difficult in Europe. There is no European leader that is elected twice. With the generalized austerity climate, who is in charge always loses elections.
And yet the long process of European integraation has guaranteed more than 60 years of peace in our continent, a fact that is too often forgotten: the greatest result of this difficult (and sometimes painful) project is the Euro, the achievement of 320 milion Europeans in 17 countries, a piece of Europe in our hands every day. But a currency isn't enough to make us a people, and the definition "united in diversity", that was supposed to characterize Europe and the European project, now almost sounds like an empty slogan.
On January the 1st 2002 Romano Prodi, who was then President of the European Commission declared: "I am certain that the Euro will reinforce Europe's economy and will contribute greatly to the development of an European identity."
Maybe that's not exactly how it went, but Prodi himself said that a currency by itself wouldn't be enough, and that the first crisis would constraint Europeans to look further. With the introduction of the Euro, the strong German Mark simply changed its name, becoming something new: the monetary union was a true political and economical bet on the future of European people.
A bet that gave few certainties (like the Maastricht Treaty of 1992, largely notwithstanding for several countries of the Euro zone) and many uncertainties (no real political, fiscal, accounting union among the countries of the EU, and no concrete omogeneization in the economical and financial field, for example with measures such as the Tobin Tax, that has never been applied).
Moreover the monetary union had been conceived by a weak European Central Bank (the BCE)and on the European System of Central Banks (SEBC): a mechanism based on lowering compromise, typical of many European politics.
These unbalances remain among the main causes of the European economical crisis we're living, and that might last more than a decade if things aren't changed drastically. Even in the best of scenarios, this crisis has already been a huge economic and financial shock to Latin Europe and especially the PIIGS (Portugal, Italy, Ireland, Greece and Spain).
We must remember that the domino effect caused by the failure of periferal economies (such as Greece) would be devastating on all of Europe, just think that the current 42% of export from Germany is towards the Eurozone and weights eight times the amount of German export towards China. Nobody wants to see their main clients fail. Helmut Kohl had already understood that the monetary union could be the embryo of a federation and that it didn't constitute a goal per se.
So is there a possible solution? Maybe, with a federal system based on a Foundation Act more similar to the American Constitution (and not the timid attempt of European Constitution of Rome in 2003, sunk by the Holland and French referendum), even though Europe could probably even do only with a confederation.
In any case the goal would be synthetizable in three great choices that cannot be delayed for our continent: a true European bank union, ricapitalization of European banks in crisis with funds from the European Stability Mechanism, and a new plan that can ensure the conversion of part of the national debts in Eurobonds (which is the project Prodi and Quadrio Curzio had proposed on the EuroUnionBond on the 23rd of August 2011). Keeping our feet on the ground, the fiscal compact in comparison would be a piece of cake.
In the next posts I'll try to make a synthesis of these three great challenges that might change Europe as we know it forever. This time not taking a decision might truly be the last choice comunitary Europe makes.
Jacopo Paoletti
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