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Negli anni 70 dopo aver letto "Racconto di Khatyn" di Ales Adamovich, Elem Klimov rimase colpito dal modo in cui veniva raccontato il genocidio dei bielorussi per mano dei nazisti durante la seconda guerra mondiale e così contattò lo scrittore Adamovich con cui instaurò un profondo legame di amicizia durato per gli anni a venire. I due autori partendo dal racconto scrissero una sceneggiatura che inizialmente fu chiamata "Uccidete Hitler" e che come sottolinea Klimov "con questo s'intendeva eliminare Hilter dappertutto, eliminarlo in se stessi, perchè ognuno di noi in un modo o nell'altro porta in sè elementi del male, chi in minor misura, chi in maggiore misura". Il progetto stava per essere accettato dagli studi "Belarusfilm", Klimov e Adamovich scelsero anche l'attore protagonista, un ragazzo siberiano di 15 anni, a questo proposito ci tenevano molto che l'attore interprete della storia fosse un ragazzo normale, proprio perchè a detta del regista l'attore che conosce il suo mestiere avrebbe usato le sue capacità come una difesa per non osare di varcare i limiti di sopportazione. Purtroppo però il Comitato per la cinematografia di Mosca nutriva un forte rancore verso Klimov che dopo la censura Agonya era finito nella lista nera. Così si dovette aspettare nuovamente altri anni, precisamente 7 anni prima che il film potesse avere uno spiraglio di luce. Il Comitato per la cinematografia rivalutò il progetto per la commemorazione del quarantesimo anniversario della Vittoria però voleva un altro regista, lo sceneggiatore Adamovich protestò, fu dalla parte di Klimov per tutto il tempo. Alla fine, riuscirono finalmente ad avere la meglio, ma dovettero cambiare il titolo della sceneggiatura in "Va' e Vedi" (titolo scelto dal fratello di Klimov mentre leggeva l'apocalisse di Giovanni). Le riprese furono tremendamente difficili e durarono nove mesi.
Perchè stai zitto?Perchè non mi vedi?Io esisto...Eccomi.Sei tu che non vivi, non senti gli uccelli.Sordo, cieco.Eccomi, ecco.Io voglio amare, fare figli. Mi senti?
Il risultato è un capolavoro cinematografico che trasuda in ogni sequenza di una forte e feroce necessità: chiudere definitivamente con l'oppressione della guerra indotta dalle dittature (nazi-fasci-soviet che siano) a sua volta perpetrate dal militarismo.L'incipit, quasi onirico, del film inizia con una condanna spietata del militarismo, mostrandoci il protagonista Florya insieme ad un altro bambino bielorusso che farnetica maledizioni al padre come ammattito dai giochi di guerra. I due disotteranno i fucili dalla sabbia per rispondere al desiderio immaturo e patriottico di unirsi con i partigiani.Klimov già dalle prime immagini fa un uso straordinario della mdp, attraverso primi piani diretti all'obbiettivo, ci rende partecipi e allo stesso tempo colpevoli di ciò che accade insieme ai personaggi. Tra pianosequenza e un uso virtuoso della steadycam veniamo immediatamente accompagnati con Florya tra i boschi devastati e villaggi incendiati dalla follia più oscura dell'uomo: le cicogne tedesche entrano nel territorio bielorusso e attaccano insistentemente.
La sequenza del genocidio nel granaio incendiato ha un impatto che smuove le budella, colpisce per la tensione, il pathos, la violenza non gratuita, perchè Klimov usa la violenza con onestà, senza compiacersi maniacalmente di ciò che racconta come succede ad esempio con un film di Tun Fei Mou, dove la violenza visiva diventa l'unico mezzo di consumo per appropriarsi di un pathos pressochè assente e insipido. Va' e Vedi infatti è un film che guarda con l'anima e tratta come tale ogni elemento nel suo campo visivo, hanno persino un'impatto metafisico quelle lunghe inquadrature insistenti sul fuoco degli incendi delle case come per sottolineare la purezza della natura, della sua progressione nell'accogliere, consumando ciò che rimane dei resti per trasformarli, per rigenerarli in qualcos'altro. L'uomo è come un animale malato, osserva se stesso e giustifica e amplifica i suoi istinti creando ideologie annientatrici che nascondono un esoterismo di tenebre in conflitto con le leggi della natura. Klimov ritrae i nazisti con una spietatezza caricaturale ma realistica, o meglio dire espressionista, l'orgia del male che compiono è resa perfettamente in tutte le sue sfumature più crude, grette e grottesche. Il tono plastico di alcune inquadrature spiazza per la straniante assenza di umanità che viene sovrastata dalla violenza psicologica e dallo scherno. Esemplare la scena della fotografia dove un soldato prende per la testa Florya come farebbe un cacciatore con la sua preda, in attesa di essere immortalato dallo scatto.
La poesia visiva di Klimov è singolare, ma manifesta sicuramente delle analogie con quella del cinema di Tarkovsky e Dreyer. Non a caso le musiche sono di di Oleg Jantchenko (compositore che ha collaborato con Tarkovsky) che restituisce alle immagini un significato sonoro perfetto nell'esprimere le atmosfere inquiete, confusionare ma anche solenni e oniriche della foresta nella prima parte che vedono protagonisti Florya e Glasha. L'intensa sequenza finale in cui l'ira militarista di Florya prende il sopravvento fucilando le immagini di repertorio della propaganda nazista di Hitler per poi svuotarsi improvvisamente di fronte l'archetipo della Madre e del figlio, rompe qualcosa dentro. Le lacrime dell'innocenza fluiscono quel modello umano che è stato ignorato, perduto e poi ritrovato troppo tardi, quelle lacrime fluiscono con i cori solenni e drammatici di Lacrimosa di Mozart attraverso un sincronismo audiovisivo imponente, anche la fotografia accoglie la sofferenza desaturandosi e l'uso della profondità di campo sulla faccia del protagonista intensifica la percezione globale dei suoi segni. Il volto ormai invecchiato di Florya non può che guardare un futuro senza vita, senza famiglia, senza amore (Glasha è stata ripetutamente violentata - profanata), il suo futuro è deperito come il suo volto ed è diretto solo verso la lotta contro l'oppressione di un'ideologia militarista e una passione nazista ormai prosperata dal potere e dall'ignoranza che necessita di essere annietata con gli stessi fucili che ha creato, per il bene di tutte le razze umane.
Si arriva al finale con un punto interrogativo esistenziale che agghiaccia e strazia anche i nostri occhi. Apre mille squarci sulla civiltà e sulla natura umana che non possono rimarginare in una risposta. E' sempre quel volto immobile che ci appartiene e che itera continuamente nella storia dell'umanità di fronte a ogni manifestazione del male.E' straordinaria per il realismo espressionista l'interpretazione di Alexei Kravchenko che insieme a quella di Renée Falconetti ne La Passione di Giovanna d'Arco va a dare sicuramente un contributo importante in tutta la storia del cinema.Non mi fermerò mai anche nel pensare che probabilmente si tratta del film antimilitarista più bello della storia del cinema. E' d'obbligo la sua visione prima di morire, ma soprattutto prima di continuare a leggere questo blog che porta con tanto onore il suo nome.
(E nessuno sentirà più la Madre foresta)
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