Vien quasi voglia di difenderlo il nuovo film di Placido, perché frutto di polemiche a priori, da parte di soggetti che il film non l'hanno nemmeno voluto vedere, perché lontano dagli schemi e dagli schermi della produzione televisiva nostrana, che quasi irritano e dimostrano come il nostro sia un paese dedito allo scandalo e al falso dibattito perché fondato su basi spesso fittizie e gratuite.Placido aderisce al suo personaggio completamente, restituendoci quello che era Vallanzasca secondo la rappresentazione immaginifica che ne è ricavabile da quegli anni, in cui è stato il nemico pubblico nr. 1 del nostro paese e forse per questo non gli viene perdonata l'incapacità o la non voluta analisi delle ragioni e della psicologia di un uomo che ha compiuto delle scelte, con conseguenze mortali per le sue vittime.Assistiamo alla messa in scena di un uomo spavaldo, ironico, bello, astuto, affamato di potere come ogni gangster per eccellenza e questi sono aspetti del personaggio innegabili, evidenti, che potrebbero già da soli consolidare l'idea che sia stata giusta la lotta nei suoi confronti e ancor più giustificato il dolore di chi è stato colpito dalle sue azioni criminali, che in buona parte rinnega per attribuersene altre, seppur non in maniera così evidente.Potrebbe definirsi un film partigiano? Forse sì, in parte per il ritratto aderente all'immagine iconica che regista e autori della sceneggiatura e dialoghi (tra cui lo stesso Kim Rossi Stuart) ne hanno tratto dai resoconti dell'epoca e dai testi di riferimento, in cui si annovera la stessa autobiografia di Vallanzasca; in parte per l'interpretazione di Kim Rossi Stuart che assorbe e ruba la scena, che trova un contraltare attoriale in Filippo Timi, figura tragica, che aiuta a far salire la tensione e a creare il giusto pathos nei momenti drammatici che contano, in una storia che ha il sapore di un cinema di genere effettivamente non prono al gusto imperante della televisione o del cinema adeguantesi agli stilemi dell'apatia spettatoriale.Un film non perfetto per molti aspetti, alcuni già visti sopra, altri nel corso del racconto, nelle emozioni messe in scena in alcuni passaggi e in quella simpatia forse troppo marcata verso il personaggio, ma che in parte si imputa a quella prevalenza dell'icona sul messaggio e sull'immagine reale dell'uomo Vallanzasca.Stona, infine, anche un po' il titolo con quell'idea di angeli del male, come se fossero caduti da un paradiso che già nell'infanzia trova forse i suoi retaggi di criminalità, come per i protagonisti di Romanzo Criminale e qui si assapora una sorta di richiamo ideale e immaginifico del regista Placido al suo stesso cinema e che dimostra come egli ami immergersi in storie scomode, seppur non sempre con risultati apprezzabili, ma non certamente da imputarsi alla volontà di apologia,come ritenuto dai più, di un uomo che della sua scelleratezza ha fatto uno stile di vita a suo tempo e di cui lui e anche altri, ne hanno pagato care le conseguenze, semplicimente da ricercare in una scrittura che sembra poter trovare la sua giusta strada attraverso una ricerca di genere che da tempo sembra smarrita qui da noi.
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