Immaginatevi per un momento bambini. Sentirete i profumi e i silenzi della montagna e il vento che vi soffia addosso. D’un tratto inizierete a correre, quasi senza volerlo. Il prato si allungherà all’infinito e nel cielo vedrete volare non uno, ma mille aquiloni. Ora riaprite gli occhi. Voi siete di nuovo grandi, ma gli aquiloni ci sono ancora. Hanno la forma di piovre, guerrieri o farfalle giganti e danzano a ritmo di musica, cadenzati da battaglie immaginarie. Non siamo lontani da Torino.
Dall’altra parte, un ragno gigante resta sospeso sulla ragnatela come un tappeto volante: è talmente grande da oscurare il cielo. Eppure vola etereo e senza motori: gli bastano un prato verde e l’aria di montagna per librare alto e farci sentire come parla il vento del nord. A noi non resta che ascoltarlo. Perché quando vola, l’aquilone parla con la voce del vento. E ci racconta del vento di tramontana e di come l’aquilone ne abbia preso in prestito il nome.
di Marco Casazza
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