Il direttore dell’Institute for Family Policies di New York, Lola Velarde, ha denunciato presso la sede dell’ONU le falsità del femminismo circa la necessità di legalizzare l’aborto per ridurre la mortalità materna. Sono vecchie bugie, ampiamente smentite oggi dagli studi scientifici.
Nel suo intervento alla conferenza del 19 settembre scorso ha spiegato che «senza garantire il diritto alla vita e alla famiglia, non si possono raggiungere gli obiettivi di sviluppo programmati delle Nazioni Unite». E’ passata dunque a sfatare il mito principale dei sostenitori dell’aborto: la salute materna. Attraverso esso si è voluto gestire i recenti casi di Beatriz in El Salvador e di Savita in Irlanda, fallendo in entrambi. Ha quindi citato il caso dell‘Irlanda, un paese con leggi severe in materia di aborto (applicato solo in caso di oggettivo rischio di morte della madre) e considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come il paese più sicuro al mondo per partorire.
E’ intervenuto anche il dott. Monique V. Chireau, professore all’University Medical Center in North Carolina (USA), spiegando che il basso tasso di mortalità materna in Irlanda dimostra che «il trattamento delle gravidanze ad alto rischio non richiede una falsa scelta tra i bisogni e i diritti della madre e del bambino. In effetti, i dati del Ministero della Sanità britannico mostrano che negli ultimi 20 anni ha non è stato necessario nemmeno un aborto per salvare la vita della madre». Inoltre, il dott. Chireau ha sottolineato che «i medici hanno il dovere di fornire assistenza alla salute considerando gli interessi sia della madre che del neonato».
Non a caso alla conclusione del recente Simposio di Dublino, organizzato dal “Committee for Excellence in Maternal Healthcare” presieduto da Eamon O’Dwyer, professore emerito di ostetricia e ginecologia presso la National University of Ireland (NUI) e presenziato dei principali esperti del settore medico, ginecologi, psicologi e biologi molecolari, ha concluso i lavori sostenendo che «l’aborto diretto – la deliberata distruzione del nascituro – non è mai necessario dal punto di medico per salvare la vita di una donna» e «il divieto di aborto non influisce in alcun modo sulla disponibilità delle migliori cure mediche per le donne in gravidanza».
Il Cile è un altro esempio di legislazione pro-life e di maternità sicura, essendo il secondo paese del continente americano, dopo il Canada, con il tasso di mortalità materna più basso. Sul caso cileno ha parlato il dottor Elard Koch, direttore dell’Institute of Molecular Epidemiology (MELISA) che ha presentato uno studio completo con i dati degli ultimi 50 anni mostrando che dal divieto di aborto iniziato nel 1989 la mortalità materna in Cile è diminuita del 69 per cento. Koch ha anche presentato i dati relativi al Messico dove ha comparato i 14 stati con leggi permissive in materia di aborto ai 18 che hanno leggi più restrittive, mostrano che questi ultimi offrono risultati migliori in tassi di mortalità materna.
La redazione