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Pi è ormai un uomo adulto, ha una moglie e due bambini. Quegli occhi scuri però, curiosi, e quel suo disinvolto modo di fare, di porre domande, sembrano non averlo ancora abbandonato. Si capisce da subito che Pi è un uomo "particolare", che cattura fin dal primo sguardo. Ci si sente incollati alla poltrona non appena il giovane Yann Martel, scrittore alla ricerca di una storia, si siede e si abbandona completamente alla vita di Pi, raccontata dal protagonista a mò di fiaba illustrata.
Pi, come il Pi greco. Scommetto che questo insolito nomignolo sia stato il primo interrogativo che ci siamo posti, non appena abbiamo sentito del nuovo film di Ang Lee. Beh, se così non fosse per voi, per me lo è stato. In realtà si chiama Piscine Molitor Patel, un giovane che, per far fronte alle risa dei coetanei, impara a memoria le cifre del Pi greco e le scrive alla lavagna, presentandosi così ai compagni e agli insegnanti non come quello che porta il nome di una piscina bensì, come "il ragazzo del Pi greco". Tutto nasce dal curioso personaggio dello zio di Pi, il più caro amico del padre, un uomo che aveva il vizio di collezionare piscine e che, una volta vista quella di Parigi, ritenendola la più bella, non si trattenne dal suggerire all'amico di chiamare il figlio proprio come la Piscine Molitor Patel.
Il rischio è di raccontare per filo e per segno questa storia e, credetemi, lo farei pure, perdendomi in una recensione che diventerebbe un poema infinito, ma non lo faccio, sono buona e ragionevole (a volte). Quel che vorrei si capisse tra queste righe è che, Vita di Pi, è un film di un impatto visivo e di una forza emotiva come non vedevamo da anni, capace di illuminare e di portare in balìa del mare qualsiasi spettatore, anche il più razionale e distaccato. Qualche scettico potrebbe chiedersi: si va bene, ma come si può fare un film intero con un ragazzino indiano, una barca persa nell'oceano e una tigre del Bengala che porta il nome di un uomo? Dal 2003 ad oggi, quando la 20th Century Fox avviò il progetto, Vita di Pi è finito, anche se per poco, tra le mani di diversi registi. Il primo fu Shyamalan, di origini indiane e forse per questo interessatosi subito all'idea del film. Poi Alfonso Cuaron fino a Jean-Pierre Jeunet, il quale riscrisse addirittura la sceneggiatura. Ma abbandonò anch'egli il progetto e nel 2009 arrivò il regista taiwanese ( La tigre e il dragone, I segreti di Brokeback Mountain, Lussuria - Seduzione e tradimento) Ang Lee.
L'amore è una forza della natura. Lì c'erano le vette imponenti di Brokeback Mountain e un amore complesso, "diverso". Oggi ritorna quel messaggio come un'eco che rimbalza su quello specchio abbagliante e infinito che è l'oceano. Non spicca nulla all'orizzonte se non il corpo magro di questo ragazzo naufragato insieme alla sua famiglia mentre cercavano di raggiungere il Canada. Durante una tempesta la nave da merci e con essa gli animali dello zoo in cui Pi era nato, sprofondano in mare. Il solo a salvarsi è Pi, buttato su una scialuppa durante la tempesta. Questa però, che salverà Pi, prevede un insolito compagno di viaggio chiamato Richard Parker. Un grande regista, quale è Ang Lee, può tenere in mano un qualsiasi romanzo moderno, che parli di avventura, di viaggi alla scoperta di sé e immediatamente può comprendere quanto, di quelle pagine cosparse di magia, possa esser trasferito sullo schermo.
Dal romanzo omonimo di Yann Martel (lo scrittore, interpretato nel film da Rafe Spall) viene fuori forse uno dei film più ambiziosi e affascinanti di Lee (la prima volta alle prese con il 3D e, se c'è un film quest'anno che non me lo ha fatto maledire, è proprio questo). Un film sulla vita di un ragazzo alla ricerca di se stesso, attraverso un viaggio (metafora della vita stessa) e del ritrovarsi, solo dopo essere naufragato. Tema ricorrente nella letteratura e nel cinema, il viaggio, interiore o esteriore che sia, non importa. Dal poema di Omero al Robinson Crusoe di Daniel Defoe, i Viaggi di Gulliver e gli incontri del Piccolo Principe, tutto questo ci porta a credere che, l'uomo al rientro da un viaggio, non è più lo stesso. L'incredibile storia di Pi (e la mia mente ritorna alle storie di un uomo chiamato Edward Bloom...) mette lo spettatore di fronte a una serie infinita di interpretazioni sulla vita stessa. Su ciò che convenzionalmente riteniamo esser giusto o sbagliato, su ciò che dimora in noi, quali appigli afferrare nei momenti più difficili del nostro viaggio. Il giovane Pi ci parla di fede, e anche qui non c'è solo un Dio ma un' infinità di dei e divinità possibili. E se io volessi scegliere di professare Islamismo, Cristianesimo e Induismo insieme? Chi me lo vieta? Se mi trovassi in mare aperto, da solo su di una scialuppa e il mio unico amico, la mia unica salvezza è una tigre del Bengala? La fede, l'immaginazione, la razionalità e la speranza...
Quando ti senti perso, e prendo questo come il più bel messaggio lanciato da Lee, spetta a te decidere dove aggrapparti, come rimanere a galla e non sprofondare. Puoi vedere una tempesta e dopo il sole, come un segnale di Dio, oppure no. Puoi camuffare, ed attenuarla, la realtà in tutta la sua brutale forma e ridisegnare tutto, persino una zebra al posto di un marinaio, una iena al posto di un cuoco spregevole. Negli occhi di un dolce orangotango ritrovare quelli di tua madre che ti guarda per l'ultima volta. Puoi scrivere la tua storia e intraprendere viaggi diversi, anzi, te ne puoi lasciare anche un paio di riserva e decidere, alla fine, quale storia preferire.
È un grande film quello che ti dà la possibilità di scegliere..."io scelgo la storia con la tigre".#vitadipi
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