Ci svegliamo senza l’ossessione del post di buongiorno sulla bacheca di Facebook, aggiungendo anche la solita tazzina di caffè. Facciamo un colpo di telefono alla fidanzata, vincendo quella pigrizia che ci fa ripetere ogni mattina “tanto la becco dopo in chat e le invio un un cuoricino”. Sconfiggiamo la sindrome del “pendolare incazzato” con la lettura di un buon libro, senza finire tra i feed di Facebook e l’imposizione del privato di amici, parenti e nemici.
Sul posto di lavoro, per dare il bentornato alla collega dopo una lunga convalescenza, ci barcameniamo tra lunghi corridoi e rampe di scale pur di abbracciarla, senza lasciarle un messaggino in privato con “passo dopo”.
Nel primo pomeriggio, guardiamo in vetrina un vestitino che piacerebbe a nostra sorella e ci ricordiamo del suo compleanno. Ops, senza l’allarme del calendario di Facebook, preserviamo l’autenticità dello smemorato che non vuole ficcarsi in testa la ricorrenza.
Ci priviamo dell’oscenità di sapere della nascita del primo nipote attraverso l’ecografia postata in bacheca; facciamo visita al vicino defunto al camposanto senza la passerella dei “cimiteri 2.0″ in versione social; sfogliamo assieme a nostro figlio un bell’album fotografico senza la smania di fare l’upload di centinaia di gallery; torniamo a guardare negli occhi nostra moglie invece di occuparci di contabilità social, accumulando i commenti e mi piace che rendono la nostra pagina facebook migliore nell’ottica che “l’erba del vicino è sempre più verde”.
Il video Look Back di Facebook, editato con gli algoritmi, propone come momenti significativi quelli che mai e poi mai avremmo salvato. C’è una vita che non si lega all’anniversario del nostro vivere digitale a tutti i costi. E’ un’altra e nessuno ce la porterà via, neanche chi reputa vita online e offline un concetto superato, perché dovrebbero essere come “destra” e “sinistra”. Disconnessi e felici? Si può.