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Wojtyla, silenzi e grida

Creato il 10 aprile 2013 da Dragor

  Wojtyla

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   UN GENTILE LETTORE mi segnala un’interessante documento secondo il quale Karol Wojtyla «non tacque» durante il genocidio dei Tutsi in Rwanda. Vediamo come e quando ha parlato.   

  NEL 1978, quando Karol è stato eletto papa, in Rwanda il dittatore Juvénal Habyarimana regnava da 5 anni dopo aver fatto fuori il suo predecessore Grégoire Kaybanda, un ex seminarista sanguinario come lui. La dittatura di Habyarimana era costellata di persecuzioni e massacri a sfondo razziale (ci ha lasciato la pelle anche buona parte dei familiari di mia moglie che non sono partiti in esilio) e la comunità internazionale denunciava questi orrori, ma credete che nei 12 anni successivi alla sua elezione Wojtyla abbia pronunciato una sola parola di condanna? Che abbia preso le distanze dal regime? Che abbia denunciato le persecuzioni, le discriminazioni, le stragi ? Che abbia scomunicato il baciapile Habyarimana e la sua cricca? Nemmeno per sogno. Al contrario, la sua chiesa sosteneva incondizionatamente la dittatura della quale era parte integrante e coccolava il dittatore come un bebé. Il Rwanda era il paese più cristiano dell’Africa, a Kibeho appariva la Madonna, la gente riempiva le chiese, i missionari abitavano in conventi grandi come l’Escorial e Wojtyla non chiedeva altro. Per lui contava soltanto la sharia cristiana. Che cosa importava se i Tutsi venivano discriminati, perseguitati e massacrati? Gli stava bene a quei rompiscatole che pretendevano sempre di avere ragione invece di dire «si’, bwana» come gli altri negri. In fin dei conti era per ordine di Roma che nel 1957 monseigneur Perraudin, capo della chiesa rwandese, aveva scritto il Manifesto del Popolo Hutu, ricalcato sui testi razzisti europei, per aizzare gli Hutu contro i Tutsi colpevoli di volere l’indipendenza.

   I MASSACRI sono cominciati poco dopo. Ma credete che i predecessori di Wojtyla, i papi Roncalli e Montini, abbiano speso una parola per condannare il potere coloniale e a partire dal 1961 la sanguinaria dittatura del «diletto figlio» Kaybanda? Niente affatto. Nemmeno in occasione del “Genocidio di Natale” del 1961 (300.000 morti) che pure ha sconvolto l’opinione internazionale ed è stato filmato dal regista italiano Jacopetti nel documentario Mondo Cane.

   DURANTE IL REGNO di 3 papi la chiesa cattolica ha assistito con silenziosa approvazione al massacro dei Tutsi, quando non dava una mano agli assassini. Nel 1988 io stesso ho scritto una lettera a Wojtyla per invitarlo a cambiare politica in Burundi, dove i missionari alimentavano l’odio razzista per vendicarsi delle espulsioni decise dal presidente Baghaza. E’ rimasta inascoltata e poco tempo dopo i sanfedisti aizzati dai preti hanno massacrato 20.000 Tutsi a Kirundo e Bugarama.

   SUI MASSACRI in Rwanda e Burundi il silenzio complice dura fino al 1990, quando i ribelli rwandesi del FPR cominciano la loro pressione militare sul regime di Habyarimana per reclamare un governo più umano e il ritorno dei rifugiati Tutsi. Allora, dopo 37 anni di silenzio di fronte a massacri che sconvolgevano il mondo intero, dopo 37 anni di ottusa sordità agli appelli della comunità internazionale, dopo 37 anni di appoggio a una delle dittature più sanguinarie della storia, la chiesa cattolica nella persona del papa Karol Wojtyla comincia a piagnucolare sulla «devastante guerriglia», a ululare perché «la comunità internazionale non resti insensibile a tanta sventura», a supplicare di «fermare la violenza», il tutto condito con un’impressionante miscellanea di dei, cristi e madonne. Non mancano le condoglianze per la morte del dittatore genocidario Habyarimana alla moglie Agathe (capo dell’Akazu, la cricca degli assassini) e ovviamente «figlia diletta» di Karol Wojtyla.

   PERCHE’ questa improvvisa loquacità? Semplicissimo, perché la chiesa si sente in pericolo. Il terreno le scappa sotto i piedi. L’amata dittatura potrebbe crollare e senza dittatura addio potere. Finché morivano i Tutsi non c’erano problemi, ma adesso sta rischiando di sfaldarsi l’Hutu Power fermamente voluto dai cattolici. Infatti si disgrega sotto l’avanzata dei ribelli di Paul Kagame, i soli a fermare un genocidio al quale la chiesa partecipa con entusiasmo e spirito di vendetta. Dopo il genocidio nessun pentimento. Malgrado qualche generico atto di contrizione per salvare le apparenze, la politica della chiesa romana non cambia di una virgola. Lo dimostrano non soltanto gli articoli negazionisti, divisionisti e acrimoniosi sull’Osservatore Romano (alcuni firmati con 3 asterischi, quindi ispirati direttamente dal papa), non soltanto l’ossessiva predica d’odio razzista dei suoi emissari nella regione del Kivu ma anche la protezione accordata agli assassini. Dopo avere blaterato che «tutti dovranno rispondere dei loro crimini davanti a Dio e alla storia», Wojtyla aiuta i genocidari a scappare dall’Africa e cerca di nasconderli in parrocchie europee. Quando vengono scoperti, li difende con le unghie e coi denti. Rifiuta di estradare Athanase Séromba (uno dei più feroci criminali della storia, colpevole di avere ammazzato 2000 Tutsi, più vittime di Marzabotto e delle Fosse Ardeatine messi insieme, bruciandoli nella sua chiesa) e ricatta il vulnerabile governo italiano perché non lo molli. Il genocidario in sottana sarà estradato più tardi da Ratzinger sotto la pressione della comunità internazionale e del magistrato Carla Del Ponte.

     DOPO AVERE AIZZATO gli assassini per anni e avere continuato ad aizzarli dopo il genocidio, dopo essersi messo addirittura contro la legge per proteggerli, Wojtyla ha la faccia tosta di chiedere scusa per i «peccati» commessi dai preti in Rwanda (qui potete leggere il post che ho dedicato all’argomento nel 2006). La tipica furberia dei collitorti, puntare simultaneamente sul rosso e sul nero per avere sempre ragione - come i loro testi sacri che dicono tutto e il contrario di tutto – e abbindolare gli ingenui che in un colore o nell’altro troveranno la risposta ai loro desideri. Un’operazione di facciata per rifarsi una verginità. Del resto in Africa ci siamo abituati: mentre il grande sciamano piagnucola a Roma, da noi i suoi scagnozzi ammazzano. E’ cosi’ da secoli, chiunque si opponga alla dottrina della chiesa va semplicemente eliminato. Ma come al casino’ puntare simultaneamente sul rosso e sul nero dà 0 gettoni, nella vita dà 0 in morale. Quello 0 che merita la morale delle lacrime di coccodrillo.

Dragor


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COMMENTI (1)

Da daniel
Inviato il 15 aprile a 16:34
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Il primo leader mondiale a parlare di genocidio su Papa Giovanni Paolo II, se qualcuno avesse raccolto il suo griso d'allarme forse si sarebbero potuti limitare i danni e si sarebbero evitati i pianti di cocodrillo di Bill Clinton e di Kofi Annan. Leggi http://alberwandesi.blogspot.it/2013/04/per-non-dimenticare.html