Sentir dire a Cuperlo, con quel suo tono sussiegoso che contraddistingue certi esponenti del mondo politico italiano, che “L’impianto che Matteo Renzi propone non apre una fase nuova, ma riproduce il ventennio che vorremmo lasciarci alle spalle”, è come sentir dire a un bue che l’asino è un cornuto.
A Cuperlo, classico uomo d’apparato di partito, tipico “prodotto d’allevamento”, va detto infatti che è invece la sua candidatura, espressione di un preciso modo d’intendere la politica, a (ri)proporre una vecchia dannosa concezione dei partiti, portatori di gravi infezioni di cui oggi soffre questo Paese.
Quella impersonata da gente come Cuperlo è una politica che considera sé stessa un mondo a parte, tutto rivolto al proprio interno, un mondo completamente staccato dalla vita di tutti i giorni, un mondo che si preoccupa più di organigrammi, della creazione e gestione di centri di potere, dell’esistente, che di risolvere i problemi concreti, di creare una società al servizio dei cittadini.
Credo che questo modo di vedere, di pensare, di agire, di rapportarsi al prossimo, sia tra i motivi che stanno alla base della distanza, sempre maggiore, che separa la classe politica italiana (con partiti sempre più chiaramente rappresentanti dei propri iscritti e non dell’elettorato) e i cittadini.
Quello che però non è ancora sufficientemente chiaro a tutti è che questa distanza non è affatto casuale, ma è un risultato tenacemente voluto da chi considera i cittadini come un fastidio (anche se parla di democrazia).
E francamente sarebbe ora che questo modo d’intendere la politica gli italiani se lo lasciassero definitivamente alle spalle e guardassero in avanti.