Magazine Marketing e Pubblicità
La prima credo sia stata Stefania Boleso, ma ho visto anche altri contributi, perdonatemi se non riesco a ricostruire le fonti che ho letto in rete.
Ne ha parlato anche Barbara MammaFattaCosì, la mamma di un bimbo down, in termini comprensibilmente positivi. Lei scrive nei commenti:
"meglio un passino qui, nella pubblicità, che nessun passino in nessun luogo".
Io ho già esposto in privato a Barbara il mio disorientamento. Provo a condividerlo qui, insieme ad altre associazioni mentali forse confuse. Vi avviso che non arrivo al dunque, anche perché il tema è complesso, molto.
Ovviamente prima della nascita di G. non mi ero mai posta la questione, successivamente ho guardato ogni attività pubblica che ha i bambini come soggetto con un occhio diverso. In "attività pubblica" ci metto dentro tutto: pubblicità, moda, arte, spettacolino di natale, blog, foto su facebook, racconti delle mamme al parco.
Mi sono posta un mare di domande. Ho letto qua e là. Ho osservato. Sono partite un po' di autocritiche.
Già, perché io ci sono in mezzo.
Io pubblico foto di G. qui e su fb. Perché lo faccio?
A volte perché se devo esprimere qualcosa posso farlo solo attraverso una sua espressione, o le sue mani, o le gambe che saltano.
Ma credo, più in generale (e ruga ammetterlo), perché so che condividere le immagini dei figli è un modo di sentirsi parte del gruppo: abbassa le difese, intenerisce, un "che amooore" ed è già inclusione.
E veniamo al punto.
Nel caso della campagna pubblicitaria Target i bambini si stavano divertendo. Lo dicono le espressioni, i gesti. Il bambino down è incluso ed è un bellissimo messaggio, non vi è dubbio.
Ma io mi chiedo: attraverso i bambini, chi vuole essere incluso?
Ricordo un post di Navigo a Vista che tempo fa aveva presenziato ai casting per sfilate di moda in scala ridotta. La situazione descritta era questa, leggetelo se vi piace il brivido.
I genitori "mostrano" i bambini per dire al mondo: guarda, sono orgoglioso, ho prodotto qualcosa di bello e di buono e lo faccio sapere a tutti.
Pensateci bene. Lo facciamo tutti nelle situazioni pubbliche, lo facciamo sempre. Io lo faccio.
Di questa cosa mi imbarazzo un po', lo ammetto. Cerco di non esagerare. Vado a periodi. Ogni tanto mi censuro ogni tanto splafono.
Ho amiche e colleghe che hanno deciso di non avere figli e ci faccio caso ora, molto. Se parlo o condivido un'immagine di G. cerco di farlo con un senso, non in modo superficiale.
In alcuni casi faccio la snob.
I concorsi fotografici su facebook, per esempio. Mmm...di solito non li apprezzo.
Poi, in uno, ho visto Killò. Oggettivamente un figo.
L'ho votato non per lui, però. L'ho votato perché ho colto come una richiesta di BarbaraMFC, una richiesta che la rendeva uguale a me: Includetemi nel gruppo. Mio figlio è come i vostri = io sono come voi. Ho bisogno dell'abbraccio di voialtre per i momenti duri.
E dunque tutto questo entusiasmo per la campagna Target mi sembra riportato ad una dimensione privata e credo di aver afferrato qualcosa nel punto di vista di Barbara. Mi siedo virtualmente a fianco a lei, tazzina di caffè caldo nella mano, e ascolto il suo racconto, per capire un mondo che non conosco e che ho temuto - più o meno consciamente - durante la mia gravidanza.
Bene, nella piccola dimensione riesco ad orientarmi, ad avere un'opinione. E nei massimi sistemi della comunicazione? No, lì sono analitica e anche un po' acida, ho domande a cui non so rispondere.
Mi pare che tutto si riduca al concetto di BELLO.
I bimbi down sono belli.
E i bimbi meno belli? quelli con disabilità gravi? Per loro non vale il discorso dell'inclusione?
e da adulti, quando saranno meno belli? cosa si dirà ai casting di questi bambini cresciuti? cosa spiegheremo?
Credo che l'inclusione attraverso la bellezza sia limitante, banalizzante.
Non è quello che si fa utilizzando l'immagine femminile? Non è quello di cui ci lamentiamo sempre?
Io credo che i bambini dovrebbero essere tutti scartati ai casting.
Io credo che i bambini debbano solo essere ascoltati.
Credo che si debba promuovere la vera comunicazione, quella dialogica. Incominciamo ad accogliere Barbara come una di noi, senza appiccicarle addosso l'etichetta di "mamma di Killò, il bambino down". Io sono molto interessata a Barbara nell'insieme. Incominciamo subito ad includerla. Lei è una di noi e noi non ci definiamo solo attraverso i figli. Non abbiamo bisogno di casting, noi.
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