La chiamano arte, la chiamano fiesta única y excepcional. La corrida è solo tortura. Barcellona è la prima città spagnola continentale che alza la testa e si ribella a questa tradizione, perché non c'è dignità a guardare un animale morire, in preda a un delirio di eccitazione.
Si dice che la Catalogna abbia vietato le corride perché sono la manifestazione di una hispanidad che politicamente rifiuta. Può darsi sia vero, ma è il risultato quello che conta.
I soliti finti artisti, finti intellettuali, finti uomini e finte donne tireranno in ballo tutta la retorica del caso. Parleranno di arte e cultura, rito e passione, archetipo della vittoria dell'umanità sull'animalità, patrimonio indisperdibile e irrinunciabile. Canteranno le gesta di mille e più toreri come fossero eroi. Eroi del nulla, come vivisettori in camice bianco e punta di diamante che sacrificano vite per niente nei loro laboratori illuminati da una luce sinistra, la stessa che avvolge il traje de luz.
La verità della corrida è molto più semplice. La verità è negli occhi terrorizzati dei cavalli incornati che nessuno sente nitrire perché subiscono il taglio delle corde vocali; lo strazio dei loro lamenti sarebbe troppo anche per il pubblico taurino più aficionado. E' nello spavento e nei rantoli del toro agonizzante che soffoca nel suo sangue, fiaccato e condannato prima ancora di entrare nell'arena. Nel giro d'affari che prospera su questo orrore. Oggi tra la vita e la morte Barcellona ha scelto la vita.