L’altra sera, durante il terzo quarto di gara quattro fra New York e Miami un signore barbuto è crollato sul parquet mentre conduceva un contropiede per i Knicks. Si capisce subito che è qualcosa di serio, e mentre viene portato via assicurato ad una barella, i replay mostrano il ginocchio destro piegarsi in maniera innaturale. Il signore barbuto finisce la sua partita dopo 25 minuti in cui ha sbagliato 4 tiri su 4 presi, 2 assist con 4 palle perse e 2 punti frutto di 2 liberi. Non una gran partita. Ed alla fine il referto dice lussazione della rotula destra e lacerazione dei legamenti anteriore e mediale del crociato. Ennesima operazione in vista e 12 mesi di riabilitazione. Manca l’ufficialità ma oramai è chiaro. Carriera finita.
Il signore barbuto si chiama Baron Walter Louis Davis, ha 33 anni ed anche se non si direbbe dalla sua ultima partita, è stato un NBA All-Star, uno dei giocatori più spettacolari della sua epoca ed uno dei protagonisti del più grande upset nella storia dei playoff NBA.
Davis, conosciuto come Baron, BD, Boom Dizzle, Bulletproof ed altri nomi ancora, nasce a Los Angeles e va al liceo a Santa Monica, in una scuola privata. Finito quello continua la sua cavalcata californiana scegliendo UCLA come college, ci resta due anni, il tempo di vincere Freshman of the Year della Pac-10 e di farsi male al ginocchio, sempre quello. Viene preso con la terza scelta assoluta dagli ormai defunti (o meglio divisi in due) Charlotte Hornets al draft del 1999, draft pieno di ottimi giocatori (Odom, Andre Miller, Terry, Maggette, Posey) ed All-Star come Brand, Francis, Szczerbiak (ebbene sì!), Rip Hamilton, Marion, Artest, Kirilenko, Ginobili ed appunto Davis. Draft ricco quindi ed il Barone inizia in sordina, partendo sempre dalla panchina nella prima stagione e terminando con medie di 5.9 punti e 3.8 assist. La svolta è la stagione successiva (2000) in cui Davis raddoppia le sue statistiche giocando le 82 partite da titolare in una franchigia un po’ allo sbando, reduce dalla cessione del suo giocatore più rappresentativo, Glen Rice, e prossima al trasferimento a New Orleans (che avverrà due anni dopo).
Da lì in poi non riuscirà più, tranne che in un’occasione, a giocare una stagione completa per colpa degli infortuni, ma nonostante tutto aumenterà costantemente i propri numeri, prima in The Big Easy (New Orleans) e poi a Golden State. Proprio con i Warriors il Barone vive forse il momento più alto della sua carriera: è il play titolare di una squadra super talentuosa e piena di carattere (garra, direbbero gli argentini), in cui il quintetto legge: Baron Davis, Monta Ellis, Stephen Jackson, Jason Richardson e Biedrins, con Matt Barnes, Pietrus e Al Harrington dalla panchina (e Jasikevicius spettatore non pagante…). Una squadra che spara fuoco da tutti i cilindri, imprevedibile e tutta all’attacco, che riesce a fare l’impensabile: da 8th seed battono in 6 gare la miglior squadra della regular season, i Dallas Mavericks, una cosa mai successa dall’avvento delle 7 gare a serie, e portando sullo schermo di milioni di persone la marea gialla dei tifosi del “We Believe”. Quella squadra si confermerà schizofrenica andando a perdere 1-4 contro i jazz al turno successivo, in cui l’unica cosa da ricordare per i warriors è la schiacciata devastante che Davis rifila in faccia a Kirilenko, uno dei migliori difensori e stoppatori dell’NBA. Il Barone terminerà quei playoff, gli ultimi disputati prima di questi, ingloriosi, con i Knicks, con 25.3 punti e 6.3 assist di media.Dopo di ciò passerà 3 anni ai Clippers e due con i Cavaliers, prima dell’approdo ai Knicks, mentre le sue cifre continueranno a calare. Le sue medie in carriera sono di 16 punti, 7 assist, 4 rimbalzi e 1.8 rubate, due volte All-Star, convocato al Rookie Game del 2001 e membro della nazionale USA che fece una magra figura al mondiale 2002. Nonostante gli scarsi traguardi raggiunti con le sue squadre il Barone è sempre stato un fan favourite per via del suo gioco spettacolare (anni ed anni in cui quasi ogni giorno nella top 10 giornaliera c’era una sua schiacciata od un suo alley-oop) e della sua personalità istrionica. Produttore di film ed attore in alcuni di essi, nominato per un Emmy Award per il suo documentario sulla rivalità delle due gang più famose di L.A. e d’America, i Crips ed i Bloods. Un personaggio a tutto tondo insomma, che con ogni probabilità chiude qua la sua carriera NBA e forse ne apre un’altra, nel mondo dello spettacolo.