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caffè

Da Paride

Due colpi ben assestati. L’acqua corre nella serpentina, affonda un tot di bar, sprofonda e si fa infondere. Anni e anni lo stesso sfrigolio, cento, mille e più volte, ma ancora sorrido. Due dita e mezzo di perfezione. Sarò pignolo. Sono sempre rimasto affascinato da quel rapido movimento, quello di far ruotare la tazzina in maniera tale che il manico risulti rivolto verso la destra del presente. Centottanta gradi e silenzioso l’angolo si chiude, tac. Prego a lei.
Ora lascia che le narici siano i tuoi occhi
Non sbirciare
Allunga due dita e afferra a caso una bustina
Anzi
Prendi proprio quella
Strappane un angolo e vuotala
Manciate di cristalli piovono dall’alto
Si adagiano
Galleggiano
poi tentennano e scompaiono
Agita
Agita ancora
Agita e agitati.
Emozionati e calmati.
Ma in realtà è solo un sfizio, il disgusto lontano, la necessità velata. Filosofeggiare su un gesto quotidiano.. il senso è tutt’altro: cercalo fra me e te e l’uomo di Vitruvio che ci unisce.
Ho bisogno di scrutare i tuoi occhi, inventarmi mille storie. Contrapporre il massimo riserbo alla tua piena fiducia. Fiducia nel mio essere scontroso, o nel mio caffè che sai di essere il migliore.
O magari questo ti irrita, o forse non ci pensi. Mi sento minuscolo, mentre travestito da tazzina, piattino e cucchiaino, gravito fra pensieri e parole preziose, fra accadimenti e persone che nel vorticare collidono senza raggiungere mai la tua attenzione. E non importa quante misure io tracci, o quanta accortezza ci metta nel riempire la doccetta della mia San Marco, nulla annullerà l’ineluttabilità del tuo sguardo, quando il giudizio sul mio essere adatto o meno a questo lavoro così aulico, continuerà ad aleggiare cattivo in questo spazio così stretto. Riconoscilo, senti l’aroma della socialità; per renderlo così invitante seleziono personalmente pregiate miscele popolari, da dosare e poi scomporre in tante nicchie eterogenee.
E mi diverto, ma tu, così insipidamente normale, uguale a tanti altri, continui ad essere la cosa più importante che ho. Forse il vero motivo per cui sono ancora qui dietro.
Ho bisogno di scrutare i tuoi occhi, inventarmi mille storie, tirare ad indovinare. E poi uscire la sera, camminare per ore, oltrepassare la linea di confine che ci divide, per vestire i tuoi panni ed ordinare “Un caffè, per favore”.


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