Magazine Diario personale

Cagnocavallo

Da Antonio

L’antica professione del cambio della valuta era esercitata a Napoli da individui denominati “Cagnacavallo”. Il bizzarro nome gli derivò direttamente dal primo nominale interamente in rame, il Cavallo – simbolo rampante di Napoli –, introdotto nel regno di Napoli da Ferdinando I d’Aragona nel 1472. Abbarbicato al suo banchetto il cambia-valute attendeva i “furastieri” (gli stranieri) e gli indigeni per effettuare il cambio delle monete e trattenere una piccola percentuale di commissione sul valore complessivo da tramutare nella nuova valuta, proprio come i nostri Change. Una descrizione dettagliata del lavoro di Cagnacavallo ci viene offerta nel 1845 ad opera di Nicola Castagna, nel triste racconto dell’orfana cambia-monete di nome Rosaria. Il rudimentale banchetto poggiava su quattro rotelle. Le monete di rame erano esposte in bella vista sul banco, appoggiate in monticelli, pronte così per l’uso all’arrivo di un cliente. Le monete d’argento erano invece accumulate in scodelle e conservate nei piccoli cassetti, “tiraturi”, di cui era provvisto il banco, oppure erano avvolte in un panno e conservate nella tasche dei vestiti (esterne e soprattutto interne) o nella scollatura dell’abito se il cagnacavallo era donna. Le monete d’oro, invece, erano raramente cambiate da questi ambulanti, essendo costoro nella maggior parte dei casi persone umili e non in condizione da disporre di quantitativi di monete auree, tali da poter esercitare la professione anche per questo metallo. Il cambio di tali monete, pertanto, avveniva in botteghe, spesso dall’insegna in lingua straniera (francese, più di recente inglese), aperte da qualche cagnacavallo più fortunato che ostentava l’opulenza del metallo nobile attraverso le sue vetrine. I cagnacavallo erano più facilmente donne che uomini. Spesso capitava che un cagna cavallo arricchito divenisse usuraio, prestando “e’ denare c’ ’o ‘nteresse” (ma i tassi imposti alla povera gente erano modesti, addirittura generosi se raffrontati a quelli degli usurai napoletani di oggi)  oppure si trasformasse in “‘Mpignatore”.



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