Nella speranza di rimandare il più possibile il secondo incontro con l’artroscopio, dato che il più saggio consiglio che tutti mi danno – “perché non dimagrisci un po’? – non lo sto mettendo in pratica, nelle ultime settimane mi sono dedicata alla scoperta di cure alternative che non prevedano l’utilizzo di sostanze chimiche.
Ho deciso, infatti, di saltare la terza infiltrazione di corticosteroidi e lidocaina per puro istinto di conservazione e perché, dopo la botta d’euforia iniziale, la situazione è ritornata al punto di partenza. A proposito: tra pochi giorni sarà passato un anno dalla rottura del menisco. Credo festeggerò con una bottiglia di passito e quel che resta dei cantuccini senesi. Ho scoperto un paio di giorni fa che il mio ortopedico è conosciuto nell’ambiente come “Il Puntura” per la sua tendenza ad estrarre un ago subito dopo averti detto “buongiorno, si accomodi”. Non so se questa propensione è dovuta al fatto che guadagna 150 euro a somministrazione o se cerchi di ricorrere al bisturi solo come ultima spiaggia. E’ un suo problema; il mio è evitare, a quarant’anni, di iniziare un cammino di abusi farmacologici prima del tempo.
La prima cura alternativa che ho sperimentato, sublime quanto il consiglio di essere casti per evitare di prendere l’aids, consiste nell’ignorare di avere il problema. “Oh ginocchio, mi fai male? Fai pure: a me non interessa.” Vi ricordate quando da bambini ci mettevamo le mani sulle orecchie, canticchiavamo ossessivi “lalalalalalala non ti sento lalalalalala” e invece non ci perdevamo una parola? Ecco, stesso effetto.
La seconda cura alternativa prevede invece fasi compulsive di spalmatura di estratti d’arnica, a diversa titolazione, e di creme all’artiglio del diavolo. Il loro profumo mi piace da impazzire e mi segue tutto il giorno perché ormai ho i pantaloni aromatizzati. Ho seri dubbi sulla loro efficacia ma proseguo imperterrita. Anzi, dato che nutro cieca fiducia nelle proprietà della propoli, affibiandole anche quelle che non possiede, la prossima settimana affiancherò un unguento a base di questa ad arnica e artiglio.
La terza cura alternativa prevede il ripescaggio di rimedi atavici: sono l’unica persona al mondo allergica all’argilla, probabilmente, quindi devo ripiegare su pratiche meno note ma altrettanto astute. Qualche giorno fa mio padre mi ha riferito, dietro indicazione di una signora che viva qui ma viene da lì, che in Romania si fanno applicazioni di cavolo verza, meglio se stirate in modo da ammorbidirle: un paio di foglie per qualche notte di fila. Anche da noi il rimedio sembra essere conosciuto, viste le reazioni di quelli a cui l’ho raccontato. Mio padre si è quindi procurato la materia prima, insieme a qualche costina – come perché? non vorrai mica usarle tutte tu? – così ha risolto anche il problema di un paio di pranzi, e mi ha lasciato alle prese con queste foglie scure e tutte rugose che, durante la notte, danno un fastidio incredibile a tutto il mio corpo tranne che a quello di Hoffa, che invece dovrebbe essere il primo ad accorgersi del loro potere curativo.
A mia difesa, prima che pensiate che io sia poco scientifica, in queste svolte terapeutiche, vi racconto che, una ventina di anni fa, curai un fastidiosissimo grappolo di verruche subplantari gettando dietro le spalle, in una notte di luna piena, sette fagioli e facendo implacabili applicazioni di succo di celidonia. Le verruche sparirono, io evitai il bisturi e capii che ci sono delle cose per le quali non esiste risposta, solo cieca fiducia ed effetto placebo.
Se qualcuno conosce altri rimedi, mi piacerebbe conoscerli. La quarta cura alternativa, non ancora messa in pratica, potrebbe ridurmi in questo stato: