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Come leggere un racconto /6 – Greenleaf di Flannery O’Connor

Da Marcofre

La mattina dopo, non appena il signor Greenleaf si presentò alla porta posteriore, gli disse che c’era un toro randagio nella tenuta (…).
“Sono tre giorni che è qua”, rispose lui, rivolgendosi al proprio piede destro, che teneva in avanti, un po’ inclinato, come se cercasse di vedere la suola.

 

Ecco finalmente il signor Greenleaf. Nella parte precedente sappiamo qualcosa di lui, e questo qualcosa merita di essere letto con la dovuta cura:

 

Strisciava, con la testa incassata nelle spalle, e pareva incapace d’andar dritto in avanti.

 

L’ho già scritto in tutte le salse: poche parole, e quelle giuste. Dove per “poche” non intendo affatto che debbano essere di quantità minima a tutti i costi e sempre.

Ma se sono quelle giuste saranno quasi sicuramente poche, perché non c’è ragione di dilungarsi. Questa frase grazie alla quale Flannery descrive il signor Greenleaf non è solo un modo per indicare al lettore un modo di muoversi e camminare. Spesso il lettore si ferma solo a questo livello di comprensione. Anche l’autore che non osserva, che non fa lavorare i sensi si comporta in maniera analoga.

Ma azioni, modi di fare volentieri parlano, indicano della persona in questione le peculiarità.

Naturalmente, il signor Greenleaf non era un serpente che “strisciava”: lo so io, lo sapeva Flannery. Però era necessario usare questa espressione per definire in un colpo solo la natura di questo personaggio. Il resto ci sarà, però a questo punto sappiamo già tanto di costui. Ci fa forse sobbalzare questo

 

strisciava

 

si potrebbe pensare perfino che l’autore abbia esagerato. O che si sia sbagliato a usare questo verbo. O forse il traduttore…

Ci sono molti modi di narrare una storia. Anche il “semplice” resoconto di un fatto accaduto per strada, ottiene da ciascuno dei testimoni un taglio differente. Lo sanno bene anche le forze dell’ordine quando devono raccogliere le testimonianze e non di rado si trovano a che fare con persone che affermano di aver visto cose che altri dichiarano inesistenti. E non è detto che qualcuno abbia avuto le traveggole.

Un autore costruisce un mondo suo proprio: Tolstoj, Dickens, Zola. Usa certi materiali, alcune strategie, se vogliamo definirle così. A volte lo fa per accalappiare l’attenzione del lettore in modo grossolano, ma qui parliamo oggi di Flannery O’Connor. Il suo modo di scrivere, comune a tutti i grandi della letteratura, ha uno scopo. Andare oltre quello che gli occhi vedono, oltre la realtà, per rendere conto di quello che c’è “sotto”.

Una maniera grossolana per indicare che spesso, quando Flannery scrive una cosa non lo fa solo per far alzare il sopracciglio al lettore. Sta lavorando un po’ sotto quel sopracciglio, per manomettere qualcosa.

Tutti gli scrittori che restano nella storia della letteratura sono sabotatori. Alcuni ci riescono in maniera eclatante, altri lavorano dietro le quinte, e quando si termina la lettura di un loro racconto, si ha l’impressione di aver perso e guadagnato. Perso una sicurezza, guadagnato un dubbio. Seminano la storia di piccoli dettagli che hanno come scopo di indicare come il terreno su cui ci si sta muovendo, non è uno dei soliti.

Questa non è solo la storia di un fittavolo fannullone e di una donna proprietaria di una fattoria nel sud degli Stati Uniti. A prima vista di quello si tratta, però Flannery comincia il suo lavoro di svelamento, ricorrendo proprio a immagini particolari.

 

strisciava

 

e prima c’era:

 

(…) assunse l’aspetto di una minacciosa corona di spine.

 

Mica facile scrivere. In fondo era possibile narrare proprio la storia di un toro che invade il terreno di una donna e da lì innescare una tirata contro i dipendenti fannulloni.

O viceversa, parlare della presunzione di questa donna che possiede una fattoria, e maltratta il povero fittavolo. O ancora, scagliarsi contro l’allevamento del bestiame considerato la prova della dittatura del profitto sulle bestie e la natura.

Sarebbe stata una bella storia, ma l’autore interroga se stesso, il proprio talento, e fa le sue scelte. Libero il lettore di leggere e abbandonare, ma libero l’autore di decidere quale debba essere lo sviluppo di un racconto.

A proposito della signora May:

 

(…) una donnetta con gli occhi pallidi e miopi e i capelli grigi che le stavano ritti sulla testa come la cresta di un uccello infastidito.

 

Se ricordiamo ciò che Flannery ha scritto nelle pagine precedenti su questo personaggio, potrebbe persino scapparci un cenno di assenso dopo che gli occhi avranno letto questa frase. Non ci si attendeva nulla di diverso. La signora May doveva essere così, e basta. Il suo modo di parlare, di considerare il mondo, gli altri, erano tipici di una “donnetta”. Tutto combacia, si fonde.

Quello che è visibile agli occhi del lettore, si sposa con quello che si intuisce attraverso smorfie, parole e occhiate, e queste a loro volta rimandano a quella dimensione sotterranea dove giace l’essere umano e il suo mistero.

 

Come leggere un racconto /5 – Greenleaf di Flannery O’Connor.


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