di Beatrice Nicolini*
Mali, Togo, Ghana, Costa d’Avorio, Benin e Niger. Tutti questi Paesi confinano con il Burkina Faso, già Repubblica dell’Alto Volta: un piccolo Paese dell’Africa occidentale (274.200 Km2, CIA World Fact Book) privo di sbocchi al mare e povero persino per gli standard della regione che ha sempre sofferto di carestie e di colpi di Stato militari. Il suo territorio è complessivamente pianeggiante; d’estate le piogge sono frequenti e il clima è tropicale, mentre da settembre a maggio soffia il vento secco dell’Harmattan, il vento del deserto che porta anche la rivoluzione. Nell’ottobre di quest’anno la popolazione (16.93 milioni – World Bank 2013) si è sollevata contro il Presidente Blaise Compaoré deponendolo.
Il Burkina Faso appartiene alla più ampia regione dell’impero del Songhai che fu un crocevia importante per scambi mercantili e una delle tappe fondamentali nei percorsi carovanieri trans-sahariani. Forti dunque furono sempre i contatti e gli scambi tra popolazioni, merci e idee. Le testimonianze architettoniche e monumentali di un passato glorioso dove le pitture con le penne di faraona decoravano le case di ocra e di nero, e il miele di Fada che era ricercato da molto lontano, si ritrovano nei centri principali di Tiébelé e di Bani. Qui, la presenza islamica – circa della metà della popolazione – si espresse in numerose tradizioni culturali spesso intersecate con le religioni africane tradizionali e il cristianesimo. E qui si trovano le sette moschee: in tipico stile sudanese, si tratta di una costruzione stupefacente perché rappresenta un uomo con il piede incrociato se vista dall’alto. Nonostante la distruzione sistematica dei resti monumentali del passato, sia dovuta ai regimi coloniali in Africa, sia dovuta alle cause ambientali, numerose sono ancora le occasioni di meraviglia in questa regione, dove le donne hanno conservato la memoria e la sapienza antica della lavorazione dell’oro quando il vicino Ghana era al centro dell’impero Ashanti e l’oro si trovava in grandi quantità persino nella terra rossa sul proprio cammino.
Nel 1896 la colonizzazione francese impose la sua dominazione sulla popolazione Mossi di Ouaga (come viene chiamata Ougadougou, la capitale), e sulle genti Dioula che vennero sottomesse. La Francia diede vita prima a un protettorato e poi a una colonia vera e propria. Gli abitanti presto furono costretti a servire militarmente nell’esercito coloniale francese durante entrambe le guerre mondiali e furono inclusi nei “tiratori senegalesi”. Corpo, questo, creato nel 1857. La lingua ufficiale è il francese ma esistono numerose lingue e dialetti soprattutto nelle regioni adiacenti ai confini con gli altri stati africani. Nel 1904 il protettorato fu annesso all’Africa occidentale francese. Nel 1919 il Burkina Faso divenne una colonia separata con il nome di Alto Volta e un governatore francese: Hesling. Nel 1932 la colonia fu smembrata per venire poi ricostituita nel 1947. Nel 1958 il paese ottenne l’autogoverno diventando una repubblica e due anni dopo la Francia concesse l’indipendenza. I colpi di Stato militari si susseguirono, l’instabilità politica fu permanente. Dal 1966 al 1978 i militari rimasero sempre al potere. Ma il 4 agosto 1984 l’Alto Volta prese il nome di Burkina Faso per volere di Thomas Sankara (1949-1987), definito il “Che Guevara d’Africa”, e il nome significa “terra di uomini integri”.
La figura di Sankara, appartenente al gruppo Mossi, cattolico, idealista, formatosi nell’esercito e professante le dottrine marxiste-leniniste, fu spesso in sintonia con grandi idealisti dell’Africa occidentale come Nkrumah del vicino Ghana. Sankara fu una figura certamente fondamentale per l’impronta lasciata non solo nel suo paese ma in tutta l’area dell’Africa occidentale dominata dalla Francia e afflitta da disgregazioni economiche e politico-istituzionali. Forti furono le sue dichiarazioni contro i regimi coloniali e le politiche adottate per le cure contro l’Aids. E ancora più forte fu la sua voce contro il debito estero contratto dai Paesi africani. Egli stesso, appassionato musicista-compositore di musica jazz, scrisse l’inno nazionale dal titolo “Une seule nuit”. Molte le riforme messe in atto da Sankara. Fu costruita la ferrovia che collega ancora oggi il Sahel e vennero assicurati 5 litri d’acqua e due pasti al giorno a ogni cittadino del nuovo Burkina di Sankara; egli stesso si ridusse lo stipendio a 450 dollari mensili tanto da dover chiedere prestiti ai propri famigliari. Sankara verrà fatto ammazzare a 37 anni insieme con dodici ufficiali dal suo oppositore politico, Blaise Compaoré, nel 1987. Compaoré è rimasto al potere per 27 anni, sostenuto dalla Francia e dall’Occidente, e rieletto per quattro mandati presidenziali, è stato deposto il 31 ottobre 2014 dai suoi cittadini. La sua intenzione era di modificare ulteriormente la costituzione per proseguire i mandati presidenziali.
Dopo un lungo processo negoziale andato in scena ad Accra, in Ghana, durante un vertice dell’ECOWAS, al quale hanno preso parte la potenza ospitante, Nigeria e Senegal, la giunta militare e le forze della società civile hanno trovato un accordo per portare avanti la transizione democratica, evitando così le ipotesi di una prosecuzione di un regime militare. Il Colonnello Isaac Zida e Michel Kafando, nominati rispettivamente Primo Ministro e Presidente ad interim, sono stati incaricati insieme all’esecutivo di traghettare il Paese a nuove elezioni entro il novembre 2015.
I burkinabé non vivono mediamente oltre i 50 anni, la disoccupazione è alta e numerosi sono i lavori stagionali e i passaggi attraverso i confini tra gli Stati contigui. La progressiva distruzione della savana (brousse in francese) per la coltivazione ora non consente altro che una coltivazione di sussistenza, molti sono gli incendi, e il Paese vive essenzialmente di aiuti internazionali. Le dispute ai confini sono numerose e risalgono al 2010 e sono in corso con la Sierra Leone soprattutto per il contrabbando di diamanti. In queste ultime settimane convulse molti abitanti del Burkina sono fuggiti in Costa d’Avorio a causa dei disordini, dell’instabilità e dell’alta incertezza politica nella capitale.
La successione militare al potere non è certo una modalità nuova per il Paese: i cittadini ne sono ben consapevoli, e, forti sia delle importanti tradizioni di coraggio politico che provengono dal passato e dei venti di rinnovamento politico-istituzionali provenienti dai Paesi dell’Africa sahariana, rifiutano la presenza di questa giunta militare e chiedono a gran voce che Zida se ne vada subito. La situazione è esplosiva ma non si dovrebbe commettere l’errore di scivolare troppo frettolosamente nella valutazione che immagina un effetto domino delle Rivoluzioni Arabe del 2011 perché ogni Paese e ogni regione ha tratto ispirazione dalle proprie origini, e dalle proprie esasperazioni e disperazioni per ribellarsi.
Se da un lato la globalizzazione consente, anche, la diffusione delle idee e delle rivolte, è vero che la vita dei burkinabé dipende dalla loro forza di ricreare un Paese dove le iniquità e la corruzione possano venir gestite da figure politiche prive di armi e provenienti dalla società civile.
* Beatrice Nicolini, membro del Comitato Scientifico di BloGlobal-Osservatorio di Politica Internazionale, è Docente di Storia e Istituzioni dell’Africa e di Storia delle Relazioni Internazionali, delle Società e delle Istituzioni Extraeuropee (Università Cattolica Sacro Cuore, Milano). Field Editor per E. Mellen Press, New York, USA. Vincitrice del Premio della Society for Arabian Studies di Londra per il volume Makran, Oman and Zanzibar. [vedi profilo]
Photo credits: Voice of America (VOA)
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