Mille pensieri mi son passati per la testa nelle ultime ventiquattro ore. Anzi, a dirla tutta, negli ultimi mesi.
Da sempre affezionata alla politica tout court, ho sempre pensato di vivere in un paese che mi stava stretto: diseguaglianza sociale, mancanza di diritti civili, arroganza e corruzione.
Eppure, durante ogni campagna elettorale, che per me è sempre stato un continuum e mai un preciso momento dell’anno, quel pensiero mi ha sempre dato la forza di battermi per delle idee e dei programmi.
Ogni volta che ho tolto dal ripiano del mio scaffale la mia tessera elettorale, mi son sentita sempre parte di un qualcosa, motore di un cambiamento. Tuttavia l’indomani del voto non ha mai rispecchiato le aspettative della vigilia. Nelle ore successive agli spogli rabbia e amarezza si fondevano, un po’ per il dubbio di non aver fatto abbastanza, un po’ per la consapevolezza di esser sempre parte della minoranza.
Di una cosa sono certa: tra i miei stati d’animo non era presente la “speranza”. Son passati esattamente trentacinque mesi dal giorno in cui smisi di usare questa parola : accadde subito dopo un profondo intervento trasmesso a Rai Per Una Notte di Mario Monicelli, artista e uomo a cui devo tutta la mia stima. La speranza, anzi la falsa speranza di queste elezioni era racchiusa nelle promesse di restituzione IMU, nelle urla populiste, nell’ idea che si potessero raggiungere degli obiettivi aggirando la legge e calpestando la democrazia, senza pagarne le conseguenze.
Sarà per colpa di questa falsa speranza, dello scarso interesse a smascherarla, che il risultato elettorale fa si che oggi l’Italia si debba preparare ad affrontare una situazione di instabilità precaria, in balia di un Parlamento frazionato e difficilmente propenso al compromesso per il bene del paese.
Noi potevamo fare di più, potevamo esser diversi, potevamo accogliere più giovani, potevamo esser più esperti, potevamo esser più comunicativi, potevamo evitare di porci sulla difensiva o forse potevamo rinunciare all’ idea di una base solida e solidale in nome di un leader carismatico capace di trascinare maggiormente le masse.
Potevamo esser qualsiasi cosa: ma probabilmente niente avrebbe convinto la maggioranza degli italiani dell’ importanza della competenza e della responsabilità verso il paese, del valore dell’onestà in campagna elettorale e nella vita in generale, della bellezza della diversità delle persone ma dell’uguaglianza dei loro diritti.
Sinceramente, non riesco ad avere rammarico nei confronti di queste elezioni: ho visto donne rivoltarsi contro la violenza quotidiana subita dai propri compagni, anziani entusiasti di partecipare alla vita politica per il bene dei propri nipoti, piccoli imprenditori sostenuti dai propri concittadini nella loro lotta alla mafia, omosessuali fiduciosi della realizzazione di un futuro col proprio partner garantito da diritti oramai riconosciuti nella maggior parte delle democrazie occidentali, ragazzi che si sentono italiani desiderosi di poter un giorno esser accolti con più affetto nel nostro paese senza essere chiamati, peraltro erroneamente, immigrati.
E se politica significa amministrazione della città (o del paese, nel nostro caso) per il bene di tutti, non importa quante campagne elettorali perderò, quanta rabbia accumulerò, quante delusioni politiche avrò, quante volte dovrò restare minoranza: non scenderò a compromessi su questi temi soltanto perché la maggior parte dei miei concittadini non è ancora pronta a un cambiamento simile, alla mia piccola rivoluzione.
Per questo motivo, in vista del vostro cambiamento e in attesa di nuove elezioni (che, ahinoi, si svolgeranno ben presto), oggi porterò una maglietta a cui tengo particolarmente, mostrando a testa alta dove volgo il mio sguardo rispetto alle vostre idee: in direzione ostinata e contraria.
Veronica Orrù | @verocrok
In opposite and obstinate direction
I was absolutely unprepared to a scenario like this one (never underestimate Murphy's law!), I had a totally different article in mind, but given the results, I'll try to avoid yet another analysis of numbers and possible allegiances.
A thousand thoughts have gone through my head during the last 24 hours. Actually the last few months, to be honest.
I've always been affectionate to politics tout court, I've always thought I live in a country which is too small for me: social inequality, lack of civil rights, arrogance and corruption. And yet, during each elections campaign, which for me has been a continuum and not just a precise moment of the year, that thought has always given me the strength to fight for ideas and programs.
Every time I took out from the drawer my elections card, I've always felt part of something, engine of change. However the day after the vote has never reflected the expectations of the eve. During the following hours, anger and bitterness fused together, a little for the doubt for not having done enough, a little for the awareness that I've always been a part of the minority.
Of one thing I am certain: there was no "hope" among my feelings. Thirtyfive months have passed since I've stopped using that word: it happened right after a deep intervention aired by Rai Per Una Notte by Mario Monicelli, artist and a man I owe all of my esteem to. Hope, or the false hope of these elections was closed inside the promises of giving back the IMU, the populist shouts, the idea that we could reach goals by not respecting the law and disrespecting democracy, without paying any consequences.
Maybe it's because of this false hope, of the scarce interest in unveiling it, that the elections result constrains Italy to prepare to face a situation of instability, in the hands of a fractioned Parliament and hardly open to compromise for the good of the country.
We could have done more, we could have been different, we could have received more young people, we could have been more expert, more communicate, avoid putting ourselves on the defensive or maybe we could give up the idea of a solid base in the name of a charismatic leader capable of moving the masses more.
We could have been anything: but probably nothing would have convinced the majority of Italians of the importance of competence and responsibility towards the country, of the value of honesty in elections campaign and in life in general, of the beauty of diversity of people, but of the equalness of their rights.
Honestly, I can't be sorry towards these elections: I've seen women revolt against the daily violence suffered on the hands of their lovers, old people enthusiastic for participating in the politic life for the good of their grandchildren, small entrepreneurs sustained by their fellow town citizens in their fight against mafia, homosexuals confiding in the realization of a future with their partner guaranteed by rights that are now recognized in the majority of western democracies, young people who feel Italian willing to be one day received with more affection within our country without being - wrongly - called immigrants.
And if politics means administration of the city (or the country, in this case) for the good of everyone, it doesn't matter how many elections campaigns I will lose, how much anger I will accumulate, how many political disappointments I'll have, how many times I'll have to remain in minority: I won't compromise on these topics only because the majority of citizens still isn't ready to a change, to this small revolution.
For this reason, in anticipation of your change and waiting for new elections (which unfortunately will happen soon enough), today I will wear a t-shirt which I care particularly about, showing where I direct my eyes compared to your ideas: in obstinate and opposite direction.
Veronica Orrù | @verocrok