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#Elezioni2013: l'importanza di non farsi chiamare mafioso

Creato il 22 febbraio 2013 da Intervistato @intervistato
Il 6 dicembre 2012 i giudici del tribunale di Milano hanno condannato 40 persone nell’ambito del maxi-processo alla ‘ndrangheta in Lombardia scaturito dall’operazione Crimine-Infinito del luglio 2010.
#Elezioni2013: l'importanza di non farsi chiamare mafioso Quel giorno ero presente in aula e con altri colleghi abbiamo portato a casa un file audio interessante, inquietante e che apre a una riflessione che dovrebbe accompagnarci alle urne, per chi ci andrà, in questa tornata elettorale.

Al termine della lettura del dispositivo da parte del giudice Anna Balzarotti, si sono sollevate le proteste dei parenti degli imputati e ovviamente degli imputati stessi. Urla e scene a cui sono più o meno abituati i cronisti giudiziari, oggi come oggi anche a Milano.
Niente di nuovo sotto il sole, se non che l’attacco più forte da parte dei detenuti sia arrivato nei confronti di Regione Lombardia, costituita parte civile e destinataria di un risarcimenti danni di 1 milione e 200 mila euro. Erano quelle le settimane in cui deflagrava anche il caso Zambetti, arrestato per voto di scambio con esponenti proprio della’ndrangheta ed assessore alla Casa in giunta Formigoni, e altre storie poco edificanti a livello nazionale fatte di mafia e politica e di latrocini pubblici.
«Regione Lombardia - si alzava l’urlo dalle gabbie e tra i famigliari degli imputati - siete dei ladri, i mafiosi siete voi, i mafiosi che si costituiscono parte civile!». Ecco, sentendo quelle parole dagli imputati e leggendo le cronache politiche del periodo si palesava che la politica offriva però il fianco a insulti di questo genere.
Da qui un sollecito ai partiti, ma anche agli elettori, perché fino a che un mafioso potrà permettersi di esclamare frasi come questa, e fino a che la politica permetterà di farlo, trafficando di fatto con esponenti della criminalità organizzata, come sarà possibile dire di voler contrastare la mafia davvero?
Da qui “l’importanza di non farsi chiamare mafioso” e di non poter essere indicato come tale, permettendo che l’affermazione che configuri un politico o un rappresentante delle istituzioni come mafioso, diventi un insulto e non più una mezza verità.
Certo, sarà difficile in un Paese dove giovani sindaci dichiarano di aver partecipato a cene elettorali di dubbio spessore con personaggi storicamente riconducibili alle cosche dicendo di non avere sentore della cosa e che comunque, si «partecipa a più cene elettorali possibili» per fare incetta di voti. Poi da chi ci si reca per andarli a trovare quei voti non ha importanza.
Il voto, e la preferenza danno la possibilità ai cittadini onesti di evitare che la politica nazionale e locale possa prestare il fianco a situazioni e parole come quelle emerse in sede della sentenza che citavamo sopra.
Paolo Borsellino diceva che ‎«il cambiamento si fa dentro la cabina elettorale con la matita in mano. Quella matita, più forte di qualsiasi arma, più forte di qualsiasi lupara, è più affilata di un coltello». Una matita da usare bene, per chi la userà. Anche se non sarà facile. Per niente.
Luca Rinaldi | @lucarinaldi

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