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{Film in DVD} - PARTE PRIMA

Creato il 01 gennaio 2011 da Nontiamerocosipersempre
SCENE DA UN MATRIMONIO: LA SITUAZIONE E LE DINAMICHE ATTUALI
  1. Le fasi del rapporto attuale: gioco, commedia, dramma
  2. Sulla superficialità odierna dei matrimoni, le paure nei confronti del matrimonio, sui Singles, sui Playboy redenti, sui matrimoni combinati
  3. Maschere, proiezioni, sdoppiamento della personalità, desiderio di essere amati fino all’ ossessione, sono difetti della personalità che minano i rapporti
  4. Violenze interne alla coppia e rapporti di dipendenza (amori dannosi)
  5. Sui condizionamenti e sulla crisi della famiglia
  6. Sulla gelosia, sui tradimenti e sulla passione
  7. Coppie scoppiate: sulla noia, sui litigi e sui divorzi
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1) Le fasi del rapporto attuale: gioco, commedia, dramma
-“Scene da un matrimonio” (Scener ur ett aktenskap), regia Ingmar Bergman, con Liv Ullmann, Erland Josephson, Bibi Anderson, drammatico, Svezia 1973
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(Sulla trasformazione dell’amore)
Radiografia della coppia tipica intellettuale, di matrice borghese e del suo percorso, ormai un classico: dalla felicità coniugale, alla incomunicabilità, al tradimento ed abbandono fino al divorzio. Dopo sette anni si rincontrano: ognuno ha una nuova famiglia, ma scoprono che si amano ancora, ma in un modo diverso.
Il film fa intravedere che esistono varie fasi del matrimonio, ma anche che la crisi può preludere a una capacità di amare in modo più maturo.
-“Io e Annie” (Annie Hall), regia Woody Allen, con Woody Allen e Diane Keaton, commedia, Usa 1977
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(sulle difficoltà attuali nelle relazioni di coppia)
Il film racconta la relazione tra un attore ebreo perennemente in analisi e una ragazza di buona famiglia.
Un film che racconta come all’iniziale innamoramento poco per volta si sostituisca una incompatibilità e divaricazione di opposti desideri forse dovuti anche alle diverse origini famigliari.
-“Il più bel giorno della mia vita”, regia Cristina Comencini, con Virna Lisi, Margherita Buy e Luigi Lo Cascio, sentimentale/drammatico, Italia 2002
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(coppie di varie generazioni e di vario genere a confronto con la crisi di coppia e il tradimento, sui rapporti famigliari e la loro complessità, sulla casa come luogo dei ricordi)
Tutti i membri di una famiglia, madre vedova, due figlie e un figlio, si ritrovano nella vecchia casa della madre nella quale sono conservati i ricordi che tengono unite le varie coppie; ognuna delle quali, sebbene di generazioni diverse, alle prese con l’insoddisfazione, la monotonia o la crisi della propria vita coniugale.
La vita è piena di maschere e finzioni, la sofferenza e l’incertezza sono forse inevitabili, ma forse si possono superare. Un film che apre uno spiraglio sull’evoluzione in corso dichiarando la superficialità e la formalità dei rapporti del passato e le difficoltà delle coppie attuali in questa fase di transizione.
-“Crimini e misfatti” (Crimes and Misdemeanors), regia Woody Allen, con Woody Allen e Mia Farrow, commedia, USA 1989
(CRITICA ****, PUBBLICO ***)
(fusione tra commedia e tragedia nelle relazioni di coppia)
Il film racconta la deriva morale ed esistenziale della società americana alle soglie del Duemila, dove il matrimonio è sempre di facciata e privo di contenuti. Tutti i personaggi sono caratterizzati infatti da una cecità generalizzata, nessuno
sa più vedere l’altro, perché vede solo i propri interessi, tutti sembrano perfettamente aderire alla diffusa morale opportunista e perbenista americana. Solo a tratti sembra emergere un po’ la coscienza mentre aleggia il timore dell’infanzia che “Dio ti veda“.
Il film se da un lato sembra pessimista nel concludere che forse è diventato cieco anche Dio (e non a caso, uno dei due personaggi principali è un oculista), dall’altro, ma solo in chiusura, sembra confidare in un cambiamento reso possibile dalle nuove generazioni che forse sull’amore potrebbero cominciare a capire qualcosa di più.
-“Cinqueperdue” (5x2 cinq fois deux), regia François Ozon, con Valeria Bruni Tedeschi, Stéphane Freiss, commedia sentimentale, Francia 2004
(CRITICA *½, PUBBLICO **)
(anche se raccontati al contrario i momenti importanti del matrimonio sono 5 che scandiscono sempre le stesse quattro fasi)
Dal divorzio, la nascita di un figlio, il matrimonio, la passione, all’innamoramento del primo incontro.
Il film sembra non voler dare alcuna via d’uscita: i cinque momenti importanti di una coppia, solo se raccontati al contrario,
finiscono con un lieto fine!
-“Manuale d’amore” , regia Giovanni Veronesi, con Carlo Verdone, Luciana Littizzetto, Silvio Cuccino, Margherita Buy, Sergio Rubini, commedia, Italia 2005
(CRITICA **, PUBBLICO ****)
(un altro film sulle quattro fasi dell’amore)
Il manuale d’amore, al quale fa ricorso il marito abbandonato dell’ultimo episodio, dà utili consigli per affrontare le quattro fasi che scandiscono le relazioni, ed anche il film:
- l’Innamoramento, dal primo incontro al matrimonio, con tutto il suo entusiasmo, la sua poesia, ma anche cecità;
- la crisi, dal matrimonio al primo figlio, con il crollo delle maschere e delle aspettative;
- il tradimento, con tutta la sua banalità e incapacità di saper gestire le emozioni devastanti che scatena;
- l’abbandono, con la devastazione dovuta alla totale impreparazione ad affrontare la crisi di coppia;
Serve proprio un manuale per capirci qualcosa, per non sbagliare e soffrire di meno!
Il film, più di altri, apre uno spiraglio sul futuro delle coppie, sulla necessità di rispetto delle reciproche autonomie e sulle nuove regole per stare insieme: né troppo vicini, né troppo lontani.
-“Melinda, Melinda”, regia Woody Allen, con Radha Mitchell e Will Farrell, commedia, USA 2004
(CRITICA *****, PUBBLICO ***)
(sulle maschere e una visione contemporaneamente comica e drammatica delle pene d’amore)
Quattro sofisticati artisti newyorchesi sono a cena, ed un aneddoto scatena una discussione tra gli scrittori Max e Sy sulla duplice natura del dramma umano, simbolizzato dalla maschera teatrale comica/drammatica.
Da qui prende forma un racconto comico, che viene poi contrapposto a una versione drammatica della stessa storia, in cui la protagonista è sempre una donna enigmatica di nome Melinda.
La miscela di dramma e comicità della vicenda raccontata riprende i caratteri ricorrenti di tutti i film di Allen sul tema della coppia: la fragilità e insicurezza femminile, la nevrosi, l’imprevedibilità della vita, i meccanismi morali e sociali che la condizionano, ma in questo caso il film sembra alludere, come già gli altri, alla necessità di saper prendere tutto con più leggerezza e con più equilibrio.
-“Uomini e donne, amori e bugie”, regia Eleonora Giorgi, con Ornella Muti, Paolo Giommarelli, commedia/drammatico, Italia 2003
(CRITICA *, PUBBLICO *)
(sulle dinamiche classiche di un matrimonio in declino)
Il film racconta la storia di una famiglia anni ‘60 qualsiasi con bambini irrequieti e suoceri e genitori, cani e gatti, e il classico mobbing di un marito maschilista nei confronti di una moglie casalinga succube ed affaticata.
Anche in questo film, come in altri del genere, il mobbing del marito servirà per obbligare la donna ad uscire dal suo ruolo subalterno e a rivendicare una propria autonomia.
-“Riprendimi”, regia di Anna Negri, con Alba Rohrwacher, Marco Foschi, commediadrammatico, Italia 2008
(CRITICA ***½, PUBBLICO *****)
(sulle difficoltà di relazione che si sommano oggi a quelle di due lavori precari)
E’ la storia di una giovane coppia, Giovanni e Lucia, entrambi lavoratori precari nel mondo del cinema che si prestano a far girare un documentario sulla loro vita. Giovanni “ha bisogno dei suoi spazi” e decide di lasciare la moglie e il figlioletto.
La troupe continua la ripresa anche se i due si separano come testimonianza di come la precarietà del lavoro della attuale generazione aggravi le difficoltà relazionali dovute alla totale immaturità.
In realtà traspare anche qui un maschio più immaturo della donna, un’altra donna, per poi trovarsi allo stesso punto dal quale era fuggito.
2) Sulla superficialità odierna dei matrimoni, le paure nei confronti del matrimonio, sui Singles, sui Playboy redenti, sui matrimoni combinati
-“Harry ti presento Sally” (When Harry Met Sally...), regia Rob Reiner, con Billy Crystal e Meg Ryan, commedia, Usa 1989
(CRITICA ***, PUBBLICO *****)
(possono un uomo e una donna essere solo amici?)
Una storia di un lui ed una lei, ambedue Single, alle prese con la difficoltà delle relazioni e la paura dell’impegno Per ben 10 anni i due si incontrano sempre casualmente e poi si lasciano, nasce così un’amicizia che nel tempo diventerà amore.
Il film gira attorno alla domanda se un uomo e una donna possono essere solo amici. La finale sembra dire di no; infatti, attraverso l’amicizia si arriva a raccontarsi come veramente si è senza maschere o trappole; ma la verità, l’onestà e l’apertura è il punto di partenza per il vero amore.
-“Casomai”, regia A D’Alatri, con S.Rocca, F.Volo, G.Nunziante, commedia Italia 2002
(CRITICA **½, PUBBLICO ***½)
(Un invito a unioni più consapevoli)
Il prete il giorno del matrimonio avverte che le tappe sono ormai scontate: innamorarsi, sposarsi, fare un figlio, crollare sotto lo stress di figli e lavoro, e alla fine separarsi. Siete proprio sicuri di volervi sposare?
Il matrimonio è un gioco di squadra e la sintonia di una coppia è quella di due pattinatori sul ghiaccio, non è facile, ma possibile mantenersi in equilibrio. Uno dei tanti film che invita a superare la paura, ma senza fornire strumenti per farlo.
-“Singles. L’amore è un gioco” (Singles), regia Cameron Crowe, con Kyra Sedgwick, Campbell Scott, commedia, Usa 1992
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(un’ analisi sulla condizione dei Singles)
La storia di tre donne singles e le loro storie d’amore.
Una riflessione sulla solitudine dei Singles: ma chi l’ha detto che i Singles sono felici?
-“Prima o poi mi sposo” (The Wedding Singer), regia Adam Shankman, con Jennifer Lopez e Mtthew McConaughery, commedia sentimentale, Usa 2001
(CRITICA *½ PUBBLICO **)
(sulla paura del matrimonio, meglio un matrimonio organizzato o la libera scelta?)
Una organizzatrice di matrimoni, di famiglia italiana meridionale, è Single ma è triste; ha paura del matrimonio ed è incerta tra matrimonio organizzato o scelta per amore.
Il film sembra interrogarsi, senza tuttavia riuscire a dare risposte, sul perché i risultati della libera scelta del partner non hanno dato risultati migliori rispetto ai precedenti matrimoni combinati; perde così l’occasione di evidenziare che di fatto ai precedenti condizionamenti famigliari se ne sono di fatto solo sostituiti di nuovi e più subdoli perchè ad essi è difficile opporsi in quanto subiti in modo del tutto inconsapevole. Le proiezioni e le errate aspettative, causate dalla cultura romantica dell’amore, sono infatti le principali cause di questo fallimento.
3) Maschere, proiezioni, sdoppiamento della personalità, desiderio di essere amati fino all’ ossessione, sono difetti della personalità che minano i rapporti
-“L’Avversario” (L’adversaire), regia Nicole Garcia, con Daniel Auteuil, drammatico,
Francia/Svizzera/Spagna 2002
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sulle maschere)
La vera storia di un uomo che, schiacciato dalle proprie menzogne, raccontate per paura di deludere chi gli sta accanto, nel 1993 uccide tutta la sua famiglia prima di tentare il suicidio.
Un film che avvisa sulla pericolosità dell’indossare una maschera.
-“A tempo pieno” (L'Emploi du temps), regia Laurent Cantet, con Urelien Recoing, Karin
Viard, drammatico, Francia 2001
(CRITICA ***½, PUBBLICO **)
(sulle maschere e le bugie)
Un altro film che racconta la storia di un uomo, totalmente identificato con il suo lavoro che, a tempo pieno, racconta menzogne alla famiglia sul suo lavoro perché non ha il coraggio di dire e di ammettere che è stato licenziato.
Il film racconta il disagio e le paure di chi ha costruito tutto sul lavoro, anche la sua identità e la relazione, formale, con la moglie e i figli; una prigione dalla quale è difficile fuggire.
-“Se scappi ti sposo” (Runaway Bride), regia Garry Marshall, con R.Gere e Julia Roberts, commedia/sentimentale, USA 1999
(CRITICA *½, PUBBLICO *****)
(sulla mancanza di una propria identità e sulla conseguente tentazione di sottomettersi alle aspettative degli altri per farsi accettare)
Lei tenta più volte di sposarsi, ma quando sta per andare all’altare scappa, finchè incontra un giornalista che le fa capire che la 170 sua paura è dovuta al fatto di indossare sempre una maschera per essere come l’altro desidera, non riuscendo  
mai ad essere se stessa.
Film leggero su un tema importante: quello della necessità di scoprire la propria individualità, di superare la tentazione di mascherarsi e sottomettersi alle aspettative dell’altro, dell’autonomia psichica che le donne devono oggi conquistare come base per un matrimonio equilibrato e consapevole.
-“Passion of mind” (Passion of mind), regia Alain Berliner, con Demi Moore, drammatico, Usa 1999
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sull’ambivalenza della personalità)
È la storia di due vite simili e parallele, una realmente vissuta e l’altra, forse, solo sognata.
Il film lascia aperto il dubbio tra sogno e realtà e racconta della necessità di esplorare la parte nascosta di se stessi. In molti film il doppio reale oppure onirico è una costante quasi un genere. In questo caso lo sdoppiamento è funzionale a raccontare gli aspetti di ambivalenza della personalità di ognuno.
Sullo sdoppiamento onirico vedi anche: “Eyes wide shut. Sogno ad occhi aperti”
-“M’ama non m’ama” (A la folie…pas du tout), regia Laetitia Colombani, con Audrey Tautou e Samel Le Bihan, drammatico/sentimentale, Francia 2002
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sull’amore dell’Amore e sul bisogno, e desiderio, di essere amati)
Una ragazzina s’ innamora perdutamente di un suo vicino, un medico sposato che con lei è stato solo gentile, ma non la ricambia.
Il film racconta anche in questo caso una passione della mente, l’amore dell’Amore, una vera e propria malattia, che ha radici nel profondo bisogno e desiderio di essere amati.
Un bisogno che tutti hanno, ma che in alcuni casi diventa un’ ossessione per chi ama e un pericolo per chi, inconsapevole, diventa l’oggetto di quest’ amore malato.
-“Don Juan De Marco, maestro d’amore” (Don Juan De Marco), regia Jeremy Leven, con Johnny Depp, Marlon Brando, Faye Dunaway, commedia, USA 1995
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sulle maschere e sulla necessità di non darsi per scontati)
Uno psichiatra, alla fine della carriera prende in cura un giovane schizofrenico che sostiene di essere il più grande amante del mondo e che se ne va in giro mascherato; è un romantico incurabile che nasconde la sua vera essenza dietro questa maschera. Più del romanticismo il desiderio di vedere e vedersi al di là delle maschere contagerà anche l’anziano medico che dopo 32 anni di matrimonio riesce a desiderare un rapporto nuovo e più maturo, perché più autentico, con sua moglie.
Un invito per tutte le coppie ad abbassare le maschere e a non darsi mai per scontati.
-“Adele H, una storia d'amore” (L'histoire d'Adèle H.), regia François Truffaut, con Isabelle Adjani, Bruce Robinson, drammatico/sentimentale, Francia 1975
(CRITICA ****, PUBBLICO **)
(un altro film sull’amore morboso)
Il film racconta di una storia vera tratta dai diari della figlia di Victor Hugo (scoperti nel 1955), una storia di malattia d’amore che ha radici nella mancanza d’equilibrio, nel bisogno d’amore e nell’amore dell’Amore.
Adèle, figlia di Victor Hugo, s'innamora non ricambiata di un tenente britannico per il quale abbandona la famiglia. Lo segue all’estero, finisce in miseria in preda alla follia.
È un film intimista con un personaggio solo, una descrizione dolce di emozioni violente. Come in M’ama non m’ama, il film racconta, in un’altra epoca, come, nell’illusione di amare una persona reale, si sovrapponga l’amore per l’Amore causato dal desiderio di essere amati. Anche qui l’amato è solo un mezzo per scatenare un’immaginazione e un desiderio sfrenato che colma il vuoto interiore infliggendo enormi sofferenze a se stessi e di fatto l’idealizzazione, la proiezione impedisce di vedere la realtà e l’umanità reale dell’altro.
Il film chiarisce, con il racconto probabilmente esasperato di una storia reale, come l’amore fatale e la passione sia di fatto una malattia della mente. L’idealizzazione è il contrario della denigrazione, ambedue trionfano sull’umanità dell’altro, ma rendono schiavi. Anche se in maniera meno malata ancora oggi sono molti i rapporti che naufragano in enormi sofferenze causate dal mito dell’amore-passione, quel tipo di amore distruttivo celebrato da artisti e poeti dal Medioevo ai nostri giorni e, purtroppo, ancora molto celebrato nella cultura Occidentale.
-“La voce dell’amore. Ama quello che hai già” (One true thing), regia di Carl Franklin, con Meryl Streep e William Hurt, sentimentale/drammatico, USA 1998,
(CRITICA **, PUBBLICO ****)
(sulle maschere maschili e la capacità di vederle, ma anche di accettarle da parte delle mogli)
Una giornalista ritorna nella piccola cittadina dove vivono i genitori: una casalinga tutto fare con un marito mediocre bisognoso di riconoscimento. Rinuncerà alla carriera per curare la madre che si è ammalata di cancro e che poi morirà.
Attraverso il personaggio positivo della madre che le suggerisce di “amare quello che hai già”, comprese le maschere del padre, riscopre il senso della famiglia e della propria vita.
Il film suggerisce di amare le persone per quello che sono e non per quello che si vorrebbe che fossero né per quello che loro vogliono far credere di essere. La verità é la premessa per un vero amore.
-“Il volto e l’anima” (Time), regia Kim Ki-duk e Lee II-ho, con Sung Hyun-ah, Ha Jung-woo, drammatico, Corea 2006
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(su amore e identità)
È la storia paradossale di due giovani che si amano, ma che sentono di non conoscersi veramente. Lei è tormentata dalla sensazione di superficialità della relazione basata più sull’aspetto esteriore ed ossessionata dalla precarietà che ciò comporta, sapendo che questo aspetto è destinato nel tempo a cambiare ed a deteriorarsi.
La realtà ormai diffusa della chirurgia plastica è la risposta per contrastare i danni del tempo; essa viene qui raccontata con tutta la sua crudezza, ma diventa anche lo strumento per interrogarsi sull’angoscia dovuta alla mancanza di identità.
Il film racconta la mancanza di identità evidenziata dalla sempre più diffusa tendenza femminile a modificarsi i connotati, dal forte legame con la propria esteriorità ed anche la rinuncia alla propria identità per aderire a modelli stereotipati per piacere all’uomo.
La protagonista ed il film si interrogano non solo su chi si è, ma anche su chi si ama quando si ama.
Il film rappresenta una splendida ed incisiva metafora delle attuali identità incompiute maschili e femminili e sulla conseguente immaturità dell’amore di coppia; ciò riempie d’angoscia e rende problematico l’amore che non ha ancora imboccato la strada della consapevolezza di essere lo strumento reciproco per conoscersi e per crescere.
4) Violenze interne alla coppia e rapporti di dipendenza (amori dannosi)
-“Angoscia” (Gaslight), regia George Cukor, con Ingrid Bergman e Charles Boyer, drammatico, USA 1944
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(film antesignano sui rapporti di dipendenza e di potere tipici soprattutto nelle coppie del passato)
Il film è ambientato nella Londra vittoriana. Il marito, un assassino che aveva già ucciso la zia, ha deciso di fare impazzire la moglie per impossessarsi dei gioielli nascosti.
Un film pieno di suspense giocata sulla ambiguità, il dubbio, il doppio, l’equivoco, come misure dell’esistenza, ma soprattutto uno studio sulla coppia vecchio stampo e i suoi meccanismi di dipendenza psichica e di prevaricazione.
-“Delitto perfetto” (A perfect Murder), regia Andrei Davis, con Michael Douglas e Gwyneth Paltrow, noir, USA 1998
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulle violenze psicologiche e non solo)
Remake del film di Hitchcock del ‘54 con Grace Kelly. Il marito progetta l’uccisione della moglie ingaggiando come killer l’amante di lei.
Un altro film che racconta come la relazione si basi su dinamiche di potere giocate attraverso il condizionamento psichico dell’uomo su una donna privata della sua identità ed autonomia.
-“A letto con il nemico” (Sleeping with the Enemy), regia Joseph Ruben, con Julia Roberts
e Patrick Bergin, drammatico, Usa 1991
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sulla violenza psichica, ma anche fisica, all’interno del rapporto di coppia)
Un altro amore dannoso dal quale la protagonista, a fatica, riuscirà a fuggire per avviarsi su una vita autonoma e verso una relazione più equilibrata. Ma l’ex, uno psicopatico, la insegue.
Il film, come i precedenti, esaspera situazioni di dipendenza e di prevaricazione psicologica e fisica comunque ancora abbastanza diffuse dalle quali non è sempre così facile liberarsi; l’istituzione matrimoniale sembra fare da paravento a violenze che nessuno indaga e punisce.
-“Attrazione fatale” (Fatal Attraction), regia di Adrian Lyne, con Michael Douglas e Glenn Close, drammatico, USA 1987
(CRITICA **, PUBBLICO ****)
(sull’ossessione della passione)
In seguito all’avventura di una notte il protagonista rimane invischiato in una storia che diventa un inferno a causa dell’ossessiva occasionale amante.
Il film racconta come il richiamo dell’Eros si possa tradurre in ossessione a causa della trasformazione da amante a donna delle tenebre, dell’emergere del femminino oscuro, di Lilith, come archetipo della passione torbida, della sensualità sfrenata che può insidiare e sottomettere l’uomo, archetipo che catalizza tutte le paure del maschio nel rapporto con l’altro sesso.
-“Il danno” (Damage), regia Louis Malle, con Juliette Binoche e Jeremy Irons, drammatico, Gran Bretagna 1992
(CRITICA ***½, PUBBLICO ****)
(sulle maschere, le passioni, i tradimenti e l’inconscio desiderio di vendetta per le mutilazioni d’amore subite nell’infanzia e per le castrazioni del perbenismo borghese)
Dalla passione alla tragedia consumata da un impeccabile e stimato ministro attratto dalla futura moglie del figlio. Eros e Thanatos, perbenismo e trasgressione, un inno all’amore folle come ricerca dolorosa di qualcosa di più della banalità dei rapporti normali e perbenisti, ma nella direzione sbagliata.
Il film racconta come l’assassino torni sempre sul luogo del delitto: chi ha subito un danno negli affetti, incredibilmente è
portato a ripercorrere la stessa emozione non per liberarsene, ma per infliggere lo stesso dolore ad altri.
-“Un mondo di marionette” (Marionetterna), regia Ingmar Bergman, con Robert Atzorn e Christine Buchegger. Drammatico, RFT-Svezia 1980
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sulle maschere, le passioni, i tradimenti e l’inconscio desiderio di vendetta per le mutilazioni d’amore subite nell’infanzia e per le castrazioni del perbenismo borghese)
Il film racconta le nevrosi di una coppia borghese, l’aridità di un rapporto senz’ anima, di un amore malato fatto di prevaricazioni,
litigi e desiderio di intimità mai soddisfatto.
Il film mette in luce come, non aprendosi alla dimensione spirituale che riconosca l’esistenza dell’anima, permane sempre un insopportabile senso di estraneità che trasforma l’iniziale amore in odio e, nel film, paradossalmente culmina in istinti omicidi. Il film evidenzia inoltre che la castrazione emotiva ha origini nell’infanzia e nel contesto sociale di appartenenza, e che tale castrazione si riflette poi da adulti nella incapacità di amare e di essere aperti all’amore. In questo caso l’emotività repressa sfocia in un cortocircuito emotivo che finisce con un omicidio che è anche suicidio di se stesso, solo chi uccide possiede totalmente gli altri, solo chi si suicida possiede totalmente se stesso.
-“Alice” (Alice), regia Woody Allen, con Mia Farrow e William Hurt, commedia, USA 1990
(CRITICA **1/2, PUBBLICO ***)
(sulle dipendenze psicologiche e mancanza d’autonomia nei rapporti di vecchio stampo)
E’ la storia di una quarantenne insoddisfatta e frustrata come molte donne che vivono rapporti di vecchio tipo.
Lei, tormentata da mille complessi, è relegata al compito di accudire i bambini, gestire i domestici e la casa, fare shopping e mantenersi in forma frequentando palestre, beauty farm metropolitane e parrucchieri, mentre il marito fuori casa è libero di fare ciò che vuole. Alla fine riesce però ad uscire dalla routine aprendo gli occhi sulla realtà che la circonda e ribellandosi alla prevaricazione ed al maschilismo del marito.
Il film è una delicata favola sulle nevrosi femminili della classe agiata americana, sulla necessità di evasione dalla prigione, anche se dorata, di un matrimonio basato sulla prevaricazione maschile e sulla mancanza di autonomia ed identità femminile, sulla più faticosa, ma più esaltante autonomia psichica raggiunta insieme all‘autonomia economica.
-“Primo amore”, regia Matteo Garrone, con Vitaliano Trevisan e Michela Cescon, drammatico, Italia 2003
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sulla violenza psicologica nei rapporti di coppia e sulle nuove schiavitù delle donne)
Una storia di una coppia in cui lui impone a lei un fisico da anoressica come strumento di potere.
Il film rappresenta un’affascinante e coinvolgente variazione sulla complicità e sopraffazione di coppia. Uno stretto rapporto di complicità lega la vittima al carnefice: l’eccessivo bisogno di essere amati attira chi desidera sopraffare. Ma l’amore non ha niente a che fare con le ossessioni, il sadismo e il masochismo, queste sono disfunzioni dell’anima e della mente da curare.
Un film altamente simbolico se si pensa che la stessa dinamica di sadismo e di controllo avviene oggi tra il sesso maschile dominante che impone alle donne un fisico da anoressiche tramite pubblicità, moda e status symbol, per minarle nella lotta per l’autonomia e la parità. Le donne ci cascano perchè sono ancora fragili, bisognose non solo di amore, ma anche della protezione e del riconoscimento del maschio che vogliono conquistare.
-“Ti dò i miei occhi” (Te doy mis ojos), regia Iciar Bollain, con L. Marull, L.Tosar, drammatico, Spagna 2003
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sulla violenza psichica, ma anche fisica, all’interno del rapporto di coppia)
Il film mette a confronto l’amore sano e l’amore malato nelle vite di due sorelle raccontate in modo parallelo ed il faticoso cammino di Pilar, la sorella maltrattata e terrorizzata dall’ira e dalla violenza del marito, verso la consapevolezza di sé, l’autonomia psichica e materiale.
Un film in cui amore e dolore sono così mescolati da non essere più distinguibili. Da un amore violento, sebbene sincero, è necessario allontanarsi per non esserne distrutti non solo fisicamente, ma anche psicologicamente nel rispetto di se stesse. Per gli uomini la violenza e la gelosia sono malattie che vanno curate a livello sociale.
-“Volver”, regia Pedro Aldomovar, con Penelope Cruz, commedia, Spagna 2006
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(sugli abusi sessuali all’interno della famiglia)
La giovane, moglie di un uomo violento e disoccupato, quando sa delle insidie del padre nei confronti della figlia lo ammazza e ne nasconde il cadavere. La protagonista è una donna molto forte che fin dalla sua infanzia custodisce nel silenzio un terribile segreto. L’alleanza e la solidarietà tra donne rende la loro vita autosufficiente e felice.
Un altro film che denuncia le violenze alle donne interne alla famiglia largamente presenti nella realtà spagnola; i maschi non ne escono bene, le donne, di tre diverse generazioni, sì.
-“Martha” (Martha), regia Reiner Werner Fassbinder, con Margit Carstensen e Karlheinz Bohm, drammatico, RFT 1973
(CRITICA ***½, PUBBLICO *)
(sulla violenza psichica e morale, analisi del rapporto di complicità tra vittima e carnefice, su una figura femminile incapace di far valere il suo diritto all’esistenza all’interno del patto matrimoniale)
È anche questa la storia di una donna fragile (con una madre alcolizzata) sposata con un uomo che cerca di annullarne
la personalità. Lei cerca di sottrarsi, ma un incidente stradale la porterà sulla sedia a rotelle in totale balia del marito.
Rispetto agli altri numerosi film sullo stesso argomento il film fornisce un finale da film dell’orrore e sembra così alludere che le donne, da sole, potrebbero non farcela a sottrarsi alle prepotenze maschili.
-“La donna di Gilles” (La femme de Gilles), regia Frédéric Fontey con Emmanuelle Devos, Clovis Cornillac, drammatico, Belg.-Fr.-It.-Sviz. 2004
(CRITICA **½, PUBBLICO **)
(sull’abnegazione della donna all’interno del matrimonio e sull’invito cattolico di accettazione delle difficoltà e delle sofferenze interne al matrimonio come via al Paradiso)
Ambientato nella periferia francese degli anni ‘30, il film descrive il rapporto molto tradizionale tra un operaio e una casalinga, priva di una identità propria se non quella di essere la moglie di qualcuno. Una donna, come tante una volta, che accetta, soffrendo in silenzio, la prepotenza e l’aperto tradimento del marito, con un masochistico annullamento di sé, motivato anche dalla visione cattolica di accettazione delle prove del Signore e della sofferenza.
Solo attraverso la morte riuscirà ad avere, solo per un attimo, un’identità propria.
Il film nel titolo esorta a ribaltare i ruoli portando in primo piano la figura femminile rispetto a quella maschile, una figura comunque la cui identità viene definita solo dal fatto di essere la moglie di un uomo, tipico dei rapporti del passato e di società poco evolute.
-“Racconti da Stoccolma”, regia Anders Nilsson, con Javidi, Lia Boysen, drammatico, Svezia 2006
(CRITICA**½, PUBBLICO ***½)
(uno sguardo sulla non interiorizzata parità da parte dei maschi occidentali)
Il film racconta tre storie parallele di sentimenti e di violenza di attualissima disumanità che scaturisce dall’intrecciarsi di diverse culture: araba, svedese e gay. Una figlia segregata e condannata a morte dalla famiglia araba che non vuole confrontarsi con la cultura del mondo occidentale nella quale vive. Una giornalista di successo, madre di due figli, che subisce violenze psichiche e fisiche da parte del marito geloso, ma che si farà paladina della lotta contro la violenza alle donne. L’amore non dichiarato tra il proprietario di un locale alla moda ed il suo buttafuori, due gay palestrati.
Il film dichiara come la violenza ancora presente all’interno delle famiglie, l’assenza di ogni valore morale e la non ancora metabolizzata parità tra uomini e donne del mondo occidentale non siano inferiori alla violenza familiare-tribale della cultura araba che non accetta di integrasi con la cultura del paese in cui vive e dove l’eccesso di valori serve agli uomini per mantenere ancora in vita, all’interno della famiglia, la totale subalternità femminile, con la compiacenza anche di una parte delle donne.
Pur nella durezza della denuncia il film veicola un messaggio di speranza basato sulla convinzione che ogni sopraffazione ancora in vita e dura a morire sia nella cultura araba che occidentale, può essere combattuta con il coraggio della denuncia e della difesa della propria dignità.
5) Sui condizionamenti e sulla crisi della famiglia
-“American Beauty” (American Beauty), regia Sam Mendes con Kevin Spacey e Annette Baning, commedia, Usa 1999
(CRITICA ***, PUBBLICO *****)
(sulla crisi dei ruoli e personale all’interno di una generazione e della famiglia americana)
Un quarantenne in crisi coniugale ed esistenziale trova in un’adolescente, amica della figlia, la spinta a cambiare tutto nella sua vita, ma è solo patetico. Una brillante descrizione del vuoto esistenziale che si cela dietro i miti della classe borghese: lavoro, carriera e ruolo sociale, casa e famiglia. I figli, che assistono a questo sfascio, solo apparentemente trasgressivi, diventano in realtà i veri difensori dei valori tradizionali, se non altro per avere ancora qualche riferimento.
Il film sembra voler aprire una speranza demandando ai giovani la responsabilità di costruire un mondo nuovo migliore sulle ceneri di quello ereditato dalla generazione di chi li ha preceduti.
-“Family Life”, regia Ken Loach, con Sandy Ratcliff, drammatico, Gran Bretagna 1971
(CRITICA ***½, PUBBLICO ****)
(sui condizionamenti famigliari e del pensiero puritano)
Una ragazza che resta incinta viene costretta dalla famiglia puritana a lasciare il suo ragazzo e ad abortire per non rovinarsi la vita.
Lei si ribella, ma non ha armi contro i valori apparentemente corretti che le vengono imposti e così cadrà progressivamente nella nevrosi e nella malattia.
Il film racconta in modo esemplare la durezza di un ambiente e di un’ epoca oggi in parte superati, ma che col suo perbenismo ha fortmente condizionato in passato la vita di molti ragazzi delle precedenti generazioni ed ancora oggi agisce nel profondo delle coscienze.
-“Magnolia” (Magnolia), regia Paul Thomas Anderson, con Jhon C.Reilly, Malora Walters e Tom Cruise, commedia, Usa 1999
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sui condizionamenti famigliari)
Magnolia è il nome di una strada di Los Angeles dove si incrociano per caso dei personaggi che hanno in comune il destino di aver vissuto, ognuno in modo diverso, degli affetti mancati siano essi padri e figli, donne e uomini o vecchi e giovani.
Tutti confusamente e inutilmente alla ricerca d‘amore e d’identità. Il cancro che impera, in questo contesto, sembra essere la malattia dell’anima che si traduce in una malattia del corpo.
Il film mette in luce la responsabilità della famiglia nella costruzione della nuova generazione perchè sono proprio i membri della famiglia che per la vicinanza e l’intimità possono lasciare tracce incancellabili positive, ma spesso anche ferite difficili da riemarginare
-“Tanguy” (Tanguy), regia Etienne Chatiliez, con Sabine Azema, Andrè Dussolier e Eric Berger, commedia, Francia 2001
(CRITICA **½, PUBBLICO ****)
(sulla mancanza di autonomia dei giovani, ma anche sulla superficialità dei rapporti familiari nella società attuale)
La storia di un figlio quasi perfetto se non fosse che a ventotto anni non ci pensa nemmeno lontanamente ad andarsene di casa mentre i genitori, che vorrebbero vivere una seconda gioventù vorrebbero non averlo più tra i piedi.
Dovrà andarsene in Giappone a casa della moglie per rifugiarsi, protetto ed amato, dentro una famiglia patriarcale legata ancora agli antichi valori.
Un film satirico che dall’iniziale bersaglio sul figlio e sulla sua generazione indubbiamente troppo poco autonoma e troppo amante delle comodità, poco per volta sposta la mira sui genitori, incapaci di invecchiare, e sui difetti della famiglia borghese occidentale che, demoliti i vecchi valori, non sembra aver ancora chiarezza sul proprio ruolo.
Certo la soluzione non è però tornare indietro.
-“Quello che cerchi”, regia Marco Simon Piccioni, con Marcello Mozzarella, Stefania Orsona Garello, drammatico, Italia 2001
(CRITICA **½, PUBBLICO ****)
(sui condizionamenti famigliari)
Anche in questo caso è la storia di un figlio che soffre la solitudine e la mancanza d’amore dei genitori e che trova nella lotta alla globalizzazione il senso della propria vita.
Il film mette in luce i valori ecologisti delle nuove generazioni ed anche come le imperfezioni dell’amore che i figli ricevono condizioneranno tutta la loro vita futura. Un richiamo quindi alla responsabilità dei genitori ed al ruolo della famiglia per
addestrare all’amore.
-Anche libero va bene”, regia Kim Rossi Stuart, con Kim Rossi Stuart, Barbora Bobulova, drammatico, Italia 2006
(CRITICA***, PUBBLICO ***)
(sulle famiglie in crisi odierne: la differenza di sguardo sul mondo che possono avere un padre e un figlio)
Un padre single, con problemi di lavoro e con una moglie che ha abbandonato la famiglia per seguire una passione e che saltuariamente ritorna a casa, fa il “mammo” e cerca di gestire al meglio i due figli, un bambino e una ragazza adolescente.
Il film è descritto dal punto di vista del bambino che è quello che soffre di più per una famiglia così disastrata e dovrà diventare grande anticipatamente facendosi carico, lui il più piccolo, dell’immaturità di entrambi i genitori. Un’analisi realistica delle difficili situazioni emotive che i genitori e i figli oggi si trovano a vivere nelle famiglie in crisi.
6) Sulla gelosia, sui tradimenti e sulla passione
-“Aurora” (Sunrise-A Song of Two Humans), regia Friedtich Wilhelm Murnau, con Gorge O’Brien e Margaret Livingston, drammatico, Usa 1927 (2004 copia restaurata)
(CRITICA *****, PUBBLICO **)
(sul tradimento e sulla gelosia)
E’ questo uno dei primi film d’amore e tradimento altamente simbolico che scandisce didascalicamente il percorso di ogni coppia di umani (come dice nel titolo originale). La tentazione e la redenzione sono descritte nelle tre fasi del film.
Dramma (crisi coniugale, desiderio d’evasione dall’isola sulla quale il protagonista vive e nuova passione con la donna venuta dalla città), intermezzo felice (la visita in città con la moglie che era scappata da lui perché aveva capito che aveva intenzione di annegarla per liberarsi di lei e riconciliazione) e nuovo dramma dovuto ad una nuova consapevolezza ed alla paura della perdita (temuto annegamento della moglie durante il temporale che li ha sorpresi nel ritorno a casa in barca), che prelude però a un lieto finale di redenzione dai bassi istinti e cupidigie e di riconciliazione con se stesso e con la moglie (dopo però aver tentato di strangolare l’amante tentatrice, simbolo del male).
Un film didascalico ed elementare sulla presenza del bene e del male in ogni essere umano, che metteva in guardia dal contraddire la legge del matrimonio.
-”Mimì metallurgico ferito nell’onore”, regia Lina Wertmuller, con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, commedia, Italia 1972 (CRITICA***, PUBBLICO*****)
(sulla gelosia e sull’onore)
Gelosia e tradimenti vecchio stile: solo al maschile. La metamorfosi di Mimì da sottoccupato del Sud a operaio evoluto
del Nord, con una moglie e un’amante.
Un film sul maschilismo e la gelosia del maschio italiano meridionale emigrato al Nord. A metà tra vecchi valori e una
nuova visione evoluta del rapporto di coppia, tra sottocultura ed emancipazione.
-“Ti amerò fino ad ammazzarti. Una storia inverosimile incredibilmente vera(I Love You to Death), regia di Lawrence Kasdan, con Devine Kline, Tracey Ullman, commedia, USA 1990
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sul tradimento solo al maschile )
Il film racconta la storia vera dei continui tradimenti di un pizzaiolo italoamericano e del complotto di moglie e suocera per ucciderlo visto che avevano scoperto tutto. L’omicidio, affidato a due sicari, non va a buon fine e la moglie finisce in prigione. Nonostante ciò, lui la perdona e l’ama ancora di più.
Un film, come il precedente, sul machismo, la gelosia e l’istrionismo degli italiani del Sud emigrati in America a confronto con altre culture e la faticosa uscita della donna da un ruolo subalterno.
-“Le strategie del cuore” (Après l’Amour), regia Diane Kurys, con Isabelle Huppert, drammatico, Francia 1929
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sul tradimento al maschile di lunga durata e la conduzione di vite parallele)
È una storia come tante altre di un triangolo amoroso. Una scrittrice cinquantenne, nubile, amante di un affermato architetto coetaneo, s'innamora anche di un giovane cantautore. Le complicazioni sono ovvie visto che ambedue hanno anche mogli e figli.
Un film sulla complessità del sentimento amoroso in tutte le sue molteplici sfaccettature con un’acuta, ma irrisolta analisi sul triangolo marito, moglie ed amante.
-“Trappola d’amore” (Intersection), regia Mark Rydell, con Richard Gere e Sharone Stone, drammatico, USA 1994
(CRITICA **, PUBBLICO **)
(sulla contemporanea voglia maschile di evadere ma anche di restare)
Un architetto di successo è sposato con la figlia del titolare del grande studio di architettura per cui lavora ed ha una figlia sedicenne.
II matrimonio formale, dove le pubbliche relazioni sono più importanti dell’amore, lo porta ad innamorarsi di un’altra donna più calda e passionale.
Lui vorrebbe tutte e due e non riesce a lasciare la moglie, muore in un incidente stradale nessuna delle due sa se ha vinto o perso rispetto all’altra ed il legame con lo stesso uomo le unisce.
Sulla crisi del matrimonio, sulla aspirazione alla poligamia e sulle difficoltà nel prendere una decisione. Il film apre uno spiraglio sulla maggiore maturità femminile e sulla capacità di andare oltre alla gelosia facendo vincere la solidarietà invece dell’orgoglio.
-“Jules e Jim” (Jules et Jim), regia François Truffaut, con Jeanne Moreau e Oscar Werner,
drammatico, Francia 1962
(CRITICA ****, PUBBLICO ***)
(sul tradimento al femminile e il menage a tre)
Due intellettuali in una Parigi d’inizio millennio (il Novecento) sono amici e condividono oltre l’interesse per l’arte e la poesia anche quello per la stessa ragazza.
Vengono separati dallo scoppio della prima guerra mondiale e si perdono di vista. Nel frattempo il rapporto tra Jules e Catherine, che ha avuto anche una figlia, diventa teso. Quando Jim ricompare dopo la guerra, Jules accetterà la relazione tra la moglie e l’amico che avrà anch’essa un esito poco felice.
È questo Ii ménage à trois più famoso nella storia del cinema, capostipite di un genere. Il desiderio di libertà ed anticonformismo (proprio delle speranze di inizio millennio) porta i protagonisti a non relegare l’amore dentro la gabbia degli schemi convenzionali del rapporto di coppia.
Il film è un inno alla libertà dell’amore ed all’anticonformismo, anticipa in un certo qual modo il futuro dell’amore, l’aspirazione umana ad un amore espanso, sebbene non ve ne siano ancora le circostanze umane, sociali e culturali.
-”Fine di una storia”(The End of the Affair), regia Neil Jordan, con Ralph Fiennes, Julianne Moore, drammatico, USA/Germania 1999
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(un tradimento al femminile tra peccato, santità e perdizione, sul menage a tre)
Tratto da un romanzo autobiografico di Graham Greene il film racconta la storia di una donna di fede cattolica, divisa tra Dio, il marito diplomatico e l’amante scrittore.
Un altro ménage à trois, con il personaggio femminile al centro sempre in bilico tra condanna, perdizione, santità e martirio in quanto, come tanti, è anche lei vittima dell’amore e della passione; mentre i due personaggi maschili legati dall’amore per la stessa donna riescono a vincere la gelosia e sono legati invece da un sentimento di solidarietà.
Lo stesso tema del tradimento e dell’amore a tre del film precedente, ma vissuto non più in modo anticonformista, ma all’interno delle regole sociali e cattoliche.
Il risultato però sembra essere sempre lo stesso: quello del castigo di Dio e della perdizione per chi tenta percorsi diversi da quelli convenzionali. Tutti i film su questo tema finiscono con il confermare l’impossibilità di trovare vie d’uscita da relazioni di questo tipo (Jules e Jim, L’Infedele)
-“L’infedele” (Trolosa), regia Liv Ulmann, con Lena Enore e Erland Josephson, Svezia/Italia/Germania 2000
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sul tradimento al femminile e le inevitabili tragiche conseguenze)
Anche questo film descrive il dolore vivo e tangibile di una tormentata storia d’amore fatta, oltre che di tradimenti, anche di noia.
Un anziano regista è tormentato dal rimorso per l’adulterio che ha commesso e che rievoca prima di morire insieme al fantasma dell’attrice che ha amato. Anche in questo caso l’adulterio avrà un tragico epilogo.
Il sesso e l’amore sembrano a un certo punto dover a tutti i costi uscire dagli schemi del matrimonio convenzionale per diventare strumento di ricerca della propria identità, ma anche questo film sembra confermare che non c’è via di scampo nell’infedeltà, ma solo dolore.
-”Un cuore in inverno” (Un Coeur en hiver), regia Cloaude Sautet, con Daniel Auteeuil, Emanuelle Béart, drammatico sentimentale, Francia 1992
(CRITICA ****, PUBBLICO ****)
(sul tradimento, sull’attrazione senza amore)
Un’altra storia di amore a tre: giocato però attraverso il sesso e negando l’amore.
Il film prende atto della divisione attuata tra amore e sesso e perde la tensione di ricerca dei film precedenti. La negazione dell’amore, da parte del personaggio che si insinua nel rapporto di una coppia e fa diventare la donna lo strumento dell’affermazione di sé, sembra essere rappresentativo del potere maschile, che nell’amore vede la minaccia alla supremazia acquisita.
-“Tradimenti” (Betrayal), regia David Jone, con Jeremy Jones, Patricia Hodge, drammatico sentimentale, Gran Bretagna 1983
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sul tradimento al femminile e la complicità tra uomini)
Storia di una donna con due vite parallele. Quando si separa da tutti e due, gli uomini si incontrano e l’ex marito dichiara all’ex amante di aver sempre saputo della relazione che durava da anni.
Con dei flash back il film scava a ritroso nel groviglio di sentimenti, di bugie e di aspirazioni del menage a tre.
-“Promesse e compromessi” (Miami Rhapsody), regia D. Frankel , con Sara Jessika Parker, Gill Bellows, Antonio Banderas, commedia USA 1995
(CRITICA**, PUBBLICO ***)
La figlia, in procinto di sposarsi, scopre che tutta la famiglia ha relazioni extraconiugali, ma che, forse proprio per questo, i matrimoni resistono al tempo.
Il tradimento viene qui descritto non più con toni drammatici, ma con leggerezza: esso può non essere sempre causa di separazione, ma un piacevole intervallo, che può persino contribuire a consolidare i rapporti.
-“Matrimoni”, regia Cristina Comencini, con Diego Abatantuono, Francesco Neri e Stefania Sandrelli, Commedia, Italia 1998
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sulla funzione terapeutica dell’adulterio)
Questa volta chi lascia la famiglia è lei per seguire un amore di gioventù. Una commedia al femminile che mette in luce la dipendenza dell’uomo italiano dalla figura materna.
Un altro film che ha il coraggio di affermare che l’adulterio può avere una funzione terapeutica.
-“I giochi dei grandi” (We Don't Live Here Anymore), regia John Curran, con Laura Dern, Mark Ruffalo, Peter Krause, Naomi Watts, drammatico, Canada/Usa 2004
(CRITICA **½, PUBBLICO **)
(sul tradimento a quattro, tra coppie di amici e i diversi risultati possibili)
Lo scambio (nascosto) delle mogli tra due amici è un gioco divertente, ma pericoloso perchè produce profondi tormenti e sensi di colpa e, quando verrà scoperto, finirà male, ma non per tutti.
La coppia che non sapeva amare si lascerà, l’altra, più strutturata, dopo questa esperienza tenterà un rapporto nuovo e più autentico.
Il film evidenzia il degrado morale ed il dolore provocato da tradimenti che spesso sono solo un palliativo alla noia del rapporto piccolo borghese in un piccolo centro di provincia, ma apre anche uno spiraglio sulla possibilità di andare oltre ad un tradimento.
-“La signora della porta accanto” (La Femme d’à coté), regia di Françoise Truffaut, con Fanny Ardant e Gerard Depardieu, drammatico, Francia 1981
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(sul destino e sulla passione come follia)
È la storia di una passione morbosa di due ex amanti che, dopo anni di lontananza, si scoprono vicini di casa. Sebbene entrambi felicemente sposati, la passione li travolge nuovamente distruggendoli.
La passione si alimenta della impossibilità di viverla liberamente; un altro film sul binomio eros-thanatos la cui morale è riassunta dalla frase finale del film “né con te, né senza di te”, ovvero sulla impossibilità di vivere le passioni (”amour fou”, l’amore folle) senza rovina. L’amore vero è altra cosa.
-“Innamorarsi” (Falling in love), regia Ulu Grosbard, con Robert de Niro e Meryl Streep, drammatico sentimentale, Usa 1984
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(sul destino, sul tradimento, e sull’amore impossibile)
Lui e lei, felicemente sposati, sono pendolari sullo stresso treno, si sfiorano mille volte e, alla fine, si incontrano. E’ attrazione a prima vista, dopo alcuni brevi incontri il senso di colpa prevale sulla passione e ognuno torna al suo posto, ma con un’esperienza in più.
Il film però non dà risposte, non fa intendere se si tratta di una scelta consapevole o di un adeguarsi alle norme sociali.
-“Le relazioni pericolose” (Dangerous Liaisons), regia Stephen Frears, con Glenn Close, John Malkovich, Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, drammatico, USA 1988
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(l’amore non è un gioco)
Tratto dal romanzo scritto nel 1782, come testo di strategia erotica, il film rappresenta complicati intrighi di seduzione giocati tra la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont, suo ex amante; ma giocano col fuoco e si bruceranno.
Il film racconta le dinamiche dell’attrazione, ma mette in guardia dall’usarle al di fuori di un percorso d’amore.
-“Un amore sotto l’albero” (Noel), regia di Chazz Palminteri, con Penélope Cruz, Susan Sarandon, USA 2004
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(su vari tipi di amore e sulla gelosia malata)
Film natalizio ad episodi che descrive diversi personaggi che devono fare i conti con la solitudine più dura del solito alla vigilia di Natale con New York sotto la neve e addobbata a festa.
Il film parla di amore e folle gelosia, ma anche di altri tipi di amore: dell’amore che fa miracoli, di spiritualità e di perdono, suggerendo che, se non si è amati, è sempre possibile riempire i vuoti donando amore.
-“Shall we dance?”, regia Peter Chelsom, con Jennifer Lopez, Richard Gere, Susan Sarandon, commedia, USA 2004
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(sulla capacità di andare oltre la crisi)
Il film racconta le inquietudini ed il desiderio di novità che assalgono anche un uomo con una splendida famiglia che dietro al desiderio di mettersi a ballare nasconde anche quello di evasione in una nuova storia di amore. Scoperto dalla moglie, dopo l’iniziale normale risentimento, lei riuscirà a capire.
La metafora del ballo e della musica sembra suggerire che nella vita ci vuole ritmo, armonia ed anche leggerezza ed affiatamento, come quando si balla.
Guardare ogni tanto al di là del muro può anche essere un modo per apprezzare ciò che si ha e un’identità femminile forte sa andare oltre al sentimento impulsivo della gelosia comprendendo che ognuno deve avere il suo spazio. Ogni crisi contiene il potenziale di un cambiamento anche in meglio del rapporto.
-“Un giorno perfetto”, regia Ferzan Ozpetek. Con Isabella Ferrari, Valerio Mastandrea, Stefania Sandrelli, drammatico, Italia 2008.
(CRITICA ***, PUBBLICO **)
(sull’incapacità degli uomini di accettare l’abbandono e il rifiuto da parte della donna)
In un solo giorno una donna madre di due figli e desiderosa di continuare a vivere, dovrà fare i conti con il licenziamento da un lavoro precario e con la follia dell’ex marito che non riesce ad accettare l’abbandono.
Il film racconta di una condizione psicologica ai limiti della rottura dovuta alle difficili condizioni esistenziali del lavoro precario e della crisi delle relazioni. E soprattutto della incapacità maschile di accettare l’abbandono se la scelta è fatta dalla donna, perché possesso e dominio sono ancora fortemente radicati nell’animo di molti uomini e non è facile liberarsene.
Ai tormenti degli adulti fa riscontro lo spaesamento e la fragilità dei figli, che tuttavia sembrano non rinunciare a voler
credere nell’amore.
-“Dopo il matrimonio” (Efter brylluppet), regia Susanne Bier con Mads Mikkelsen, Sisde Babett Knudsen, drammatico, Danimarca,/Svezia 2006
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sulla capacità di vincere la gelosia)
È la storia complessa di due uomini che hanno amato la stessa donna; uno lavora in India come volontario in un orfanotrofio che rischia di chiudere per mancanza di soldi, l’altro è un ricco uomo d’affari, suo compatriota che lo finanzierà.
Scoprirà, dopo, che il proprio finanziatore è il marito della donna che ha sempre amato e che la loro figlia in realtà potrebbe essere sua. L’uomo d’affari è ammalato e sta per morire, la rabbia e la gelosia, che inizialmente sembra divorarlo, si tramuterà alla fine in un grande gesto d’amore e capacità di donare: l’amore vero desidera solo che l’altro sia felice.
Il film è un dramma intimista che racconta la contradditorietà delle emozioni tra gelosia e il desiderio di possesso e l’autenticità dell’amore che dirigerà le vite dei protagonisti. Dalla prova del dolore, e della morte, i legami familiari ne usciranno rafforzati, perchè questi sono stati gli strumenti attraverso i quali ognuno ha potuto trovare, dentro se stesso, la propria verità ed autenticità.
7) Coppie scoppiate: sulla noia, sui litigi e sui divorzi
-“Sotto la sabbia” (Sous la sable), regia François Ozon con Charlotte Rampling e Bruno Cremer, drammatico, Francia 2000
(CRITICA ***½, PUBBLICO **)
(sulla superficialità dei rapporti borghesi)
È la storia, come tante, di una coppia borghese apparentemente serena. Il matrimonio di ormai lunga data nasconde però, dietro la facciata, un’inquietudine e la profonda noia esistenziale di un rapporto chiuso a due che si ferma in superficie.
Un’unione simile forse va bene per una donna, ancora passiva e desiderosa di protezione, ma diventa soffocante per un uomo che nelle convenzioni e nelle abitudini vede repressa la possibilità di evolvere e di cimentarsi.
Lui sparisce e la moglie, incapace di affrontate il lutto, continua la relazione con il suo fantasma, sospesa tra la riscoperta di sé e gravata dall’educazione borghese che le impedisce di incamminarsi su una nuova vita, con il progressivo scivolamento in una dimensione di allucinazione e di negazione della realtà.
Il film mette in evidenza come dietro la facciata di una coppia vecchio stile possa nascondersi una profonda insoddisfazione, di come i rapporti di una volta fossero in genere castranti per lamancanza di autonomia femminile e per l’impossibilità di crescita.
-“Mariti e mogli” (Husbands and Wives), regia Woody Allen, con Woddy Allen, Mia Farrow, commedia, USA 1992
(CRITICA **, PUBBLICO ***)
(maldestri tentativi di tradimento e di separazione, come antidoto alla inevitabile crisi di coppia)
Gabe e Judy sono marito e moglie apparentemente senza problemi. Una sera ricevono i loro due migliori amici Jack e Sally, coppia a prova di bomba. I due, sorridendo, annunciano che stanno per separarsi, ma va tutto bene, lo hanno deciso insieme, non ci saranno drammi, è la scelta migliore per tutti. In realtà per Jack e Sally la separazione sarà dolorosissima.
La loro crisi si riflette sul rapporto di Gabe e Judy che entrano a loro volta in crisi.
I rapporti si intrecciano, ed alla fine la coppia che si era separata si ricompone e Gabe e Judy, invece, si separano.
Il film mette in luce come in ambedue i casi i veri sconfitti sono le aspettative e i reciproci desideri destinati a rimanere sempre insoddisfatti; se si smettesse di averne i rapporti sarebbero sicuramente più felici.
-“La guerra dei Roses” (The War of the Roses), regia Denny De Vito, con Michael Douglas, Kathleen Turner, Danny De Vito, commedia, USA 1989
(CRITICA ***½, PUBBLICO ***)
(Su litigio e sulla incapacità di separarsi con maturità, forse perchè di fatto si vorrebbe stare ancora insieme.)
Un film sulla battaglia tra i sessi. Dopo 17 anni di matrimonio Barbara e Oliver hanno raggiunto una bella famiglia con figli, ricchezza e carriera, ma lei non lo ama più e decide di divorziare. Inizia così una vera e propria guerra domestica e una coabitazione forzata - perchè lui non se ne vuole andare - piena di colpi bassi e crudeltà dove lo spazio della casa è il terzo attore.
Meglio litigare, fino a volte dimenticarsi anche delle ragioni che hanno dato il via al conflitto, che perdersi.
-“Kramer contro Kramer” (Kramer vs. Kramer), regia Robert Benton, con Dustin Hoffman e Meryl Streep, drammatico, USA 1979
(CRITICA ***, PUBBLICO ****)
(sulla separazione per iniziativa femminile, ma gestita con sentimenti nobili)
Uno spaccato della famiglia americana alle prese con la crisi del privato. I conflitti si fermano sempre prima del dramma, perché i protagonisti, ambedue maturi, fanno prevalere i sentimenti nobili. In questo caso è la moglie che abbandona marito e figlio per cercare la propria strada; ma padre e figlio supereranno le difficoltà di questa situazione insieme, senza drammi.
Sulla capacità di separarsi con maturità e senza odio.
-“Prima ti sposo poi ti rovino” (Intolerable Cruelty) regia Fratelli Coen, con George Clooney, Catherine Zeta-Jones, commedia matrimoniale, USA 2003
(CRITICA ***, PUBBLICO ***)
(sui litigi delle separazioni, sul Prenup)
Un film sulla battaglia tra i sessi. Miles Massey è un affermato avvocato matrimonialista, famoso per aver stilato l’ inflessibile contratto prematrimoniale intitolato a suo nome. Dopo aver aiutato a separarsi, scannandosi, decine di coppie, l’avvocato improvvisamente cambia rotta e sembra voler inneggiare all’amore disinteressato. Denuncia così il cinismo degli avvocati matrimonialisti che dai fallimenti altrui traggono i propri profitti. Anche lui però resterà vittima di una donna che tenta di conquistarsi l’indipendenza appropriandosi delle fortune di ingenui, provvisori, mariti.
Un film sulle contraddizioni del contratto prematrimoniale e sui matrimoni di interesse, che nulla hanno a che fare con l’amore; gli uomini spesso sono le vittime dell’ emancipazione femminile che ostacolano.
-“A piedi nudi nel parco” (Barefoot in the Park) , regia Gene Saks, con Robert Redford e Jane Fonda, commedia, Usa 1967
(CRITICA **½, PUBBLICO ***)
(su due cuori e un capanna, litigi e separazione al femminile)
Un lui ed una lei, con suocera al seguito, dall’iniziale simbiosi ad una repentina incompatibilità tra il romanticismo femminile e il pragmatismo maschile (la crisi infatti è dovuta al fatto che lui si rifiuta di camminare, romanticamente, a piedi nudi nel parco).
Una commedia un pò datata, ma didascalica sul tema di come lo spazio della piccola casa, al settimo piano senza ascensore, inizialmente un nido, si trasformi subito nella causa di molteplici tensioni e di come la vita simbiotica renda subito incompatibili le diverse sensibilità di uomini e donne, portando alla separazione anche subito dopo il matrimonio.

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