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Non è la prima e, purtroppo, non sarà nemmeno l'ultima delle storie di mafia e politica montate ad arte da un circo mediatico giudiziario ormai talmente padrone dei mezzi televisivi e di stampa (attribuitogli da sentenze giudiziarie) da essere sicuro di poter tranquillamente affermare qualsiasi cosa possa passargli per la testa, con la sicurezza di non ricevere nessuna sanzione, ma la vicenda di Massimo Ciancimino ha in se qualcosa di particolare e, se vogliamo, più grave delle altre che l'hanno preceduta.
La prima e maggiore singolarità sta nel fatto che Massimo Ciancimino non è un pentito. Egli in realtà non è accusato di nessun reato di mafia, si è solo ritrovato ad essere il "custode" dell'archivo del padre, l'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, considerato il massimo esponente delle relazioni tra la mafia e le istituzioni dello Stato.
Fu dalla consegna dell'archivio paterno alla magistratura che si sviluppò la particolare relazione tra Massimo Ciancimino e il Pubblico Ministero Antonio Ingroia, il magistrato incaricato dell'inchiesta.
La relazione, ormai di lunga durata, era iniziata con le prime confidenze del testimone Ciancimino sulle vicende relative alle stragi mafiose degli anni 90. Testimonianze necessarie per ricostruire il panorama di quegli anni, laddove gli appunti del padre non bastavano da soli a ricostruire con la necessaria precisione i fatti accaduti.
All'inizio si trattò di accenni piuttosto vaghi sui rapporti che il padre aveva tenuto con esponenti politici e mofiosi del tempo, ma con il passare del tempo e il rafforzarsi dei legami con il suo inquisitore, i racconti divennero sempre più particolaregiati: si passò così da un Berlusconi vittima della mafia del 2010 a un
Berlusconi mafioso dell'anno successivo, nonché ad alla nascita del partito di Forza Italia direttamente voluta dai capi mafiosi e attuata da uno dei suoi emissari, quel Marcello Dell'Utri già del resto condannato per mafia in secondo grado.
Per Antonio Ingroia sembra il premio di tanti anni di lavoro. Finalmente sembra aver trovato la chiave per provare quello che lui e i suoi sostenitori hanno da sempre pensato: Berlusconi è uno dei capi, se non il capo della mafia, proprio quello che molti suoi predecessori avevano pensato fosse quel Belzebub di Giulio Andreotti.
Una vera apoteosi quella che visse il Pm Ingroia, santificato ed investito eroe dell'antimafia, accanto ai magistrati simbolo Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, citati a sproposito in ogni occasione, dal network mediatico liberal-comunista. Invitato a trasmissioni come AnnoZero del guru Santoro e in tutte le assemblee del partito fondato dal suo ex collega Antonio Di Pietro, dalle cui tribune il magistrato non lesinò mai di far sentire le sue filippiche contro il governo e sulla sua illeggittimità democratica, e non dimenticando di lodare il suo testimone d'accusa, Massimo Ciancimino (il quale divenne intimo di vari giornalisti, tanto da passare con loro le vacanze e da tenere un blog sul sito del Fatto Quotidiano, promosso da "pentito" a "quasi icona" dell'antimafia.
Ma come spesso avviene è proprio quando si arriva sulla cima della vetta che si rischia di scivolare.
Proprio la cosiddetta trattativa tra Stato e mafia nascondeva il sassolino che costò alla simpatica cricca il primo inciampo: i riferimenti temporali erano chiari e coloro che a quel tempo avevano la responsabilità di governo erano in realtà personaggi estranei al centrodestra.
Fu l' ex ministro per la giustizia Giovanni Conso a chiarire cosa accadde e chi fu coinvolto (Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azelio Ciampi e Niccolò Amato, tra gli altri).
La rivelazione di Conso bloccò le discussioni sulla presunta trattative, che a nessuno venne in mente di chiedere chiarimenti ai chiamati in causa.
Nel mentre nuovi guai per il duo Ingroia - Ciancimino e per i loro corifei arrivavano da un altro fronte aperto dai ricordi e dai documenti prodotti dal figlio di don Vito.
La lotta intrapresa dalla procura di Palermo contro i vertici dell'Arma dei Carabinieri si arrestarono infatti contro la dimostrazione pubblica che uno degli scritti consegnati da Ciancimini era stato falsificato.
Hai voglia a dire che tra tutte le centinaia di docimenti prodotti soltanto uno era falso, se quello è proprio l'unico, tra i centinaia inutili, a "provare" i racconti de super testimone "quasi icona" dell'antimafia.
A dare ulteriori colpi alla credibilità di Ciancimino arrivò in seguito la vicenda delle relazioni con un boss calabrese e degli assegni da incassare, ma niente potè scuotere la fiducia del Pm Ingroia nelle rivelazioni del suo testimone, che magari era un po' discolo ma che lui sapeva bene come interpretare, anzi era l'unico capace d'interpretare, il quale continuò la sua azione di predicatore per la democrazia e la legalità a senso unico in ogni occasione possibile, ingenerando non poche polemiche, ma sempre sostenuto dai vertici dell'Amn impegnate in un duro braccio di ferro col governo, e osannato dalle folle dei seguaci del duplex Santoro - Travaglio.
L'ultima trovata di Ciancimino non ha però sorpreso il Pm Ingroia, che evidentemente al corrente che la procura di Caltanisetta era in procinto di far arrestare Ciancimino per la calunnia al dirigente di Polizia Gianni De Gennaro, ha anticipato i colleghi, provvedendo egli stesso all'arresto e all'interrogatorio del suo confidente.
Credo che a tutti venga spontaneo pensare che di fronte ad un simile conflitto di interesse l'autorità disponesse immediatamente il passaggio dell'inchiesta ad un diverso Pubblico ministero, magari di una diversa procura, ma nulla di questo sembra possa accadere e nel silenzio del Quirinale, del Csm e dell' Anm il dottor Antonio Ingroia, tra un pacco di dinamite e un altro, si è affrettato a ribadire la "generale attendibilità" di Massimo Ciancimino.
Inutile nemmeno chiedersi che fine farebbe una tale inchiesta e i suoi protagonisti in un paese "normale". Nel nostro "anormale" l'unica conclusione possibile è la promozione a parlamentare, nazionale o europeo, del magistrato, come già spesso è avvenuto.
Nel panorama mass mediatico è assordante il silenzio di quanti si sono distinti nel sostegno alle tesi di Ingroia e alle rivelazioni di Ciancimino. In attesa di indicazioni i loro sostenitori si esercitano nella solita arte del complotto: qualcuno vuole rovinare Ciancimino per salvare De Gennaro e, naturalmente, Berlusconi.
Convitati di pietra intanto pensano.
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