Nei quattordici minuti del suo discorso, McAfee focalizza l'attenzione del pubblico sulla ripresa economica successiva alla recessione dell'ultimo quinquennio: i principali indicatori economici statunitensi, infatti, risultano in recupero. L'unico dato che continua a rimanere basso è l'occupazione.
Secondo McAfee, i nuovi sviluppi dell'automazione e del software sono parzialmente responsabili di questa situazione. Il docente porta l'esempio della traduzione: nei secoli antecedenti al nostro, il passaggio di un testo da una lingua all'altra richiedeva il coinvolgimento di un individuo. Ad oggi i programmi di traduzione sono online, spesso gratuiti e disponibili su ogni dispositivo.
L'impatto è enorme non solamente nel settore creativo o nel digitale, ma anche nella realtà. L'automobile autonoma di Google - in fase di collaudo avanzato - avrà effetti sui milioni di autotrasportatori che affollano le autostrade americane. Così come i robot umanoidi, il cui sviluppo è accelerato dagli enormi investimenti della DARPA.
Il professore conclude sostenendo che saremmo sul punto di superare le limitazioni dei nostri cervelli, delineando uno scenario utopico in cui l'umanità avrebbe più tempo per dedicarsi alle grandi sfide - come ridurre la povertà o l'inquinamento - lasciando alle macchine il compito di provvedere alla nostra sussistenza.
Tuttavia, non tutti non condividono l'atteggiamento positivista di McAfee. Paul Krugman, premio Nobel per l'economia, lancia un'interessante riflessione dalle colonne del New York Times.
Egli sostiene che l'impatto dell'era digitale sarà testimoniato dall'avvento delle macchine intelligenti. Presto saranno pronte ad eseguire operazioni che prima richiedevano una grande quantità di manodopera umana. Questo significherà un aumento esponenziale della produttività e della crescita.
A che prezzo, però? E soprattutto, chi beneficerà di questa crescita? Secondo l'economista è facile supporre che in molti saranno lasciati indietro. L'asticella della preparazione necessaria per competere con le macchine diventerà sempre più alta, così come i tempi di formazione degli individui che - a differenza delle controparti artificiali - richiedono anni di studi e maturazione prima di essere pronti ad affrontare le sfide della società e del mercato.
Non è la prima volta nella storia che l'uomo si interroga sugli esiti dell'avanzamento esponenziale delle tecnologie. Attorno alla metà dell'800, in Inghilterra, si sviluppò un movimento di protesta contro le nuove macchine tessili, ritenute responsabili dell'abbassamento dei salari e della disoccupazione crescente. Il fenomeno, chiamato luddismo, deve il suo nome a Ned Ludd, un operaio tessile elevato a simbolo, che nel 1779 distrusse un telaio.
Gustavo Piga, ordinario di Economia Politica a Roma Tor Vegata, in un recente post sul suo blog ha analizzato un paper di Jeffrey D. Sachs e Laurence J. Kotlikoff, intitolato "Machines and Long-Term Misery". Piga conclude descrivendo uno scenario inquietante e alcune contromisure da attuare per evitare che la situazione precipiti. La sfida delle attuali e delle prossime generazioni sarà tutta qui; c'è da aspettarsi che non sarà semplice, ma la scelta rimane, come sempre, nelle nostre mani:
«Il XXI secolo dei robot potrebbe dunque rivelarsi il secolo in cui i giovani bruceranno le fabbriche di robot come fecero i luddisti con i telai, bruceranno il tessuto civile, ritirando la loro cittadinanza da un mondo che li schiavizza. Non una prospettiva allettante. Oppure il secolo in cui impareremo ad istruire rapidamente i nostri giovani, redistribuendo loro anche parte del surplus delle macchine. Ma per fare questo c’è bisogno: a) di leader giovani e visionari che sappiano gestire con sicurezza masse di giovani esasperati e b) del supporto di un buona fetta della classe anziana ricca, capace di cavalcare l’onda del cambiamento per non venir travolta da uno tsunami di proporzioni fino ad oggi sconosciute, e che rinunci dunque a parte delle sue prerogative economiche ottenute con un progresso che non può accreditare esclusivamente a meriti propri ma alla fortuna ed ai casi della storia, che hanno voluto che secoli di idee accumulatesi nel tempo producessero una manna dal cielo caduta un po’ casualmente nelle loro mani.»
Questa pubblicazione è in versione ridotta. L'articolo esteso sarà disponibile sul prossimo numero della rivista IGED.
Andrea Latino | @andrealatino
Possible futures: the rise of the machines and the new world
In June 2012, Andrew McAfee, a researcher with several degrees who has also been a professor at the prestigious Harvard Business School, goes on the stage of the TEDx Boston to talk about the results of his latest research. The title he chooses for his speech is as short as it is allarming: «Are droids taking our jobs?»
During the 14 minutes of his speech, McAfee focalizes the attention of the audience on the economical recovery following the recession of the last five years: the main economical indicators in the US show some sort of growth. The only data that remains low is employment.
According to McAfee, the new developments of automation and software are partially responsible for this situation. The professor makes the example of translation: during the centuries before ours, the passage of a text from one language to another required the involvement of an individual. Today translation programs are available online, often for free and for any kind of device.
The impact is enormous not only in the creative or the digital field, but also in reality. The autonomous Google car - which is now in a phase of advanced testing - will have effects on milions of drivers who crowd American streets. Just as humanoid robots, whose development is accelerated by the enormous investments of DARPA.
The professor closes sustaining that we will be on the verge of overcoming the limitations of our brains, defining an utopian scenario in which humanity will have more time to dedicate itself to great challenges - such as reducing poverty and pollution - leaving to machines the task to provide for our own survival.
However, not everyone share McAfee's positivist approach. Paul Krugman, economy Nobel prize, launches an interesting reflection from the pages of the New York Times. He sustains that the impact of the digital era will be witnessed by the arrival of intelligent machines. They will soon be ready to do operations that used to require a great quantity of human manpower. This means an exponential increase of productivity and growth.
For what price, though? And most of all, who will benefit from this growth? According to the economist it is easy to suppose that many will be left behind. The bar of necessary preparation to compete with machines will become higher and higher, just as the times of formation of individuals who - unlike their artificial counterparts - require years of study and maturation before they can be ready to face the challenges of society and of the market.
It is not the first time in history that man interrogates himself on the outcomes of the exponential advance of technologies. Around the middle of the XIX century in England, a protest movement against the new textile machines developed, because they were considered responsible for the lowering of wages and the increasing unemployment. The phenomenon, called luddism, owes its name to Ned Ludd, a textile worker elevated to a symbol when in 1779 he destroyed a loom.
Gustavo Piga, ordinary professor of Political Economy at Roma Tor Vergata, in a recent post on his blog has analyzed a paper by Jeffrey D. Sachs and Laurence J. Kotlikoff, intitulated "Machines and Long-Term Misery". Piga concludes describing a troubling scenario and some countermeasures to do in order to avoid that the situation gets any worse. The challenge of the current and future generations is all here; we can expect it will not be easy, but the choice remains, as always, in our hands:
«The XXI century of robots could reveal itself as the century in which young people will burn robot factories as luddist did with looms, they will burn the society fabric, retiring their citizenship from a world that enslaves them. It is not an attractive prospective. Or it could be the century in which we will learn how to rapidly instruct our young people, redistributing to them part of the machine surplus. But in order to do this we need: a) young and visionary leaders that can manage with easy masses of exasperated young people and b) the support of a large part of the rich, older class, capable of riding the wave of change to avoid being striken by a tsunami of proportions unknown until today, and that can give up part of its economical prerogatives, obtained with a progress that cannot be credited exclusively to their merits, but rather to fortune and the cases of history, which have made it so happen that centuries of ideas accumulated in time produced a great abundence fallen casually in their hands.»
Andrea Latino | @andrealatino