Magazine Attualità

Giovanni Falcone 21 anni dopo la Strage di Capaci.

Creato il 23 maggio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

Tornava a casa sull’autostrada di Capaci, che collega l’aeroporto alla città. Era contento perché finalmente sembrava essere giunta l’ora

Giovanni Falcone 21 anni dopo la Strage di Capaci

Giovanni Falcone

di diventare superprocuratore. E questo dopo tante battaglie, tanta fatica e soprattutto tante critiche e ostacoli. Al suo fianco c’era la donna della sua vita, Francesca, che in questo faticoso percorso gli era sempre stata accanto.
D’un tratto si sentì un botto, un botto che fece sobbalzare tutta quella parte di provincia. C’era chi bagnava le piante, chi a qualche chilometro – sulla spiaggia – faceva il bagno.

La notizia di un attentato si diffuse a macchia d’olio per tutta la città: tutti sapevano, in cuor loro, chi fosse la vittima. Ma non la si voleva nominare. Forse non era lui, forse era un’altra autorità.
E invece no, era proprio lui. Giovanni Falcone emise gli ultimi respiri all’ospedale.
Insieme a lui persero la vita sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

Sono trascorsi ventun’anni da quella barbara imboscata, che ha cambiato la storia della nostra Nazione. Oggi è necessario chiedersi a freddo se quelle morti siano servite a qualcosa. Falcone indirizzò tutte le sue energie per neutralizzare l’azione di Cosa Nostra, scoprendo che essa è gestita da un unico nucleo e indagando sulle ambigue relazioni che la mafia ha con la politica e con l’imprenditoria. Riuscì a far arrestare l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, i grandi esattori di Salemi, Nino e Ignazio Salvo, e i costruttori catanesi Carmelo e Pasquale Costanzo. Ebbe come sua principale arma le preziose informazioni fornite dai collaboratori di giustizia. A lui si deve il maxi processo contro la mafia, da cui scaturirono quasi 500 condanne, dopo quasi due anni di udienze e un mese di riunioni in Camera di Consiglio. Si deve a lui se la Cosa Nostra di una volta è stata compromessa.

Bisogna chiedersi se oggi l’impegno di Falcone possa essere preso come esempio, in un epoca dove i magistrati vengono esposti al pubblico ludibrio e additati come golpisti, promotori di iniziative eversive e sospinti ad agire da mere finalità politiche.
I magistrati e le forze dell’ordine continuano a dispiegare un efficace azione di contrasto, contrasto che non sempre è stato apprezzato. Si può pensare anche all’attacco ai pubblici ministeri, rei di aver osato ingerirsi nei rapporti tra mafia e politica. Negli ultimi tempi è subentrato il morbo ipergarantista, scoppiato a seguito delle assoluzioni di alcuni imputati “eccellenti” e dell’affievolirsi del ricordo della pericolosità della mafia, che ha portato la Corte di Cassazione ad annullare tredici delle trentasette condanne dei responsabili dell’eccidio di Capaci.

Ma, d’altronde, Giovanni Falcone, come Paolo Borsellino, aveva fiducia nelle generazioni future. Borsellino in particolare, in un suo discorso, aveva espresso questa sua speranza verso i giovani, che, secondo lui, avrebbero avuto più coraggio e più forza di reagire di quanto non ne avessero le persone delle generazioni precedenti.

Articolo di Giulia De Gennaro.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :