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Il terzo principio della dinamica non si applica alle azioni umane, soprattutto nelle civiltà "avanzate". Nell'ambito delle relazioni civili, non è affatto vero che a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: sarebbe il dominio del "dente per dente", principio tipico delle società primitive. Per questo, a proposito di quello che è accaduto per le vie di Roma lo scorso 14 novembre, la storia delle due violenze uguali e contrarie non sta proprio in piedi. I giudizi sulle azioni degli uomini sono strettamente connessi ai ruoli che essi ricoprono. Se un bambino tira i capelli di un altro e quest'ultimo si "difende" a sua volta con qualche spintonetroveremmo la scena "normale". Ma nessuno si sognerebbe di giustificare un genitore che, dopo aver massacrato a botte il proprio figlio, si scusasse dicendo: "Ma lui mi ha tirato i capelli!". Questione di ruoli.
Ora, per uscire fuor di metafora, io non voglio neanche sapere cosa aveva fatto prima quel ragazzo su cui è stata sferrata una manganellata in pieno volto mentre era a terra bloccato. Per quel che ne so, avrebbe anche potuto attentare alla vita di qualcuno un attimo prima: una volta che è stato bloccato e messo nelle condizioni di non nuocere più il lavoro del poliziotto è finito. Il resto si chiama accanimento, del tutto ingiustificabile se a metterlo in atto è un funzionario di uno Stato democratico.
Per questa ragione erano suonate un po' ingenue le parole della ministra Cancellieri che, il giorno dopo, invitava a "guardare tutte le immagini": cosa voleva dire? Forse che foto scaccia foto? Per fortuna ha aggiustato il tiro venerdì scorso nell'intervista a Repubblica, dicendo chiaramente: “La violenza su un inerme è intollerabile e ingiustificabile. (…) Su questo punto, non ci sono né se, né ma. Il monopolio della forza è democratico se la forza è esercitata nel rispetto della legalità. Altrimenti diventa un’altra cosa. (…) I poliziotti responsabili di abusi verranno puniti. E questo per rendere onore e merito agli altri loro colleghi che sono la maggioranza e nei cui confronti è necessario che tutto il Paese nutra il rispetto democratico che meritano”. Ben detto. Adesso speriamo che alle parole seguano i fatti.
Nelle reazioni del tutto sproporzionate di alcuni agenti di polizia in servizio in occasione di manifestazioni di piazza si legge una sorta di desiderio di punizione: sfugge forse che in un sistema democratico le eventuali "punizioni" devono esser inflitte da un giudice e, soprattutto, che il nostro ordinamento non prevede più le pene corporali (e qualcuno forse ne ha nostalgia). L'uso della forza, dunque, è (deve essere) strettamente limitato ai casi di necessità e deve essere sospeso immediatamente quando la persona in questione non è più in grado di nuocere a nessuno. E anche il più pericoloso dei criminali, una volta bloccato a terra da due poliziotti, non può più fare del male a una mosca.
PS: Ho partecipato a diverse manifestazioni in vita mia e non mi è mai passato neanche per l'anticamera del cervello di "attrezzarmi" preventivamente con caschi o altro. La mia unica preoccupazione era quella di avere scarpe comode. E come me, centinaia di migliaia di ragazzi che negli ultimi dieci anni hanno riempito le piazze d'Italia. Ma, si sa, ci sono sempre quelli che la sanno più lunga e si "attrezzano". Alla faccia di noi poveri ingenui.
PS2: Sabato sera a In Onda c'è stato un bel confronto tra un precario dell'università, Luciano Governali, che era in piazza e Giuseppe Tiani, segreteario generale del sindacato dei poliziotti Siap. A un certo punto il sindacalista ha detto che la Digos ha parlato con i "capi" della mobilitazione per concordare il percorso del corteo. Ecco, sarebbe bello sapere chi sono e soprattutto chi li ha nominati/scelti/eletti/acclamati questi "capi". Accade sempre nelle manifestazioni che a un certo punto qualcuno prenda una decisione (cambiare percorso, sfondare i cordoni della polizia ecc.). E le decine di migliaia di ingenui di cui sopra seguono.
PS3: Anticipo un probabile commento: l'articolo era perfetto fino ai post scriptum. Che bisogno c'era? È l'irresistibile tentazione delle anime belle.
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