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Il football, il Texas e Johnny Bailey

Creato il 13 agosto 2011 da Alesan
Il football, il Texas e Johnny BaileyDevo ammettere che scrivere una recensione quando sai che il diretto interessato delle tue "critiche" leggerà il testo non è facile. Io non lavoro per il Corriere o per Repubblica, giornali dove so che tutti mi leggeranno ma me ne frego perché, senza alcun motivo, ho ricevuto il titolo di critico di qualcosa, tanto che senza aver mai mosso piede nel campo dell'arte potrei giudicare con disprezzo ogni opera di un professionista del settore. Partirò dal presupposto che su aNobii ho dato 4 stelle al lavoro di Roberto Gotta, quel Football & Texas (Indiscreto, 2011) per cui avevo scritto una pre-recensione che alla fine non si discosta troppo dalla recensione vera e propria ma che per qualche ragione mi ha impedito di dare voto massimo al libro. Tutti i sospetti erano azzeccati in un certo senso; il sunto di quel primo post era: leggete il libro, anche se di football non ve ne frega nulla. Il risultato dopo aver letto il libro rimane uguale: leggetelo. Non ve ne pentirete. E allora perché 4 stelle? Ci ho pensato vari giorni ed ora, forse, sono pronto a scrivere il perché. Perché ne ho date 4, perché ne meritava tutto sommato 5 (il massimo) e perché se fosse possibile in alcuni tratti sarebbero state necessarie le 6 stelle.
Perché 4 stelle...
Il football, il Texas e Johnny BaileyConsidero i libri che giudico con 4 o 5 stelle, molto soggettivamente com'è ovvio che sia su aNobii, dei libri imperdibili, da leggere ad ogni costo. Basandomi su soggetto e autore, questo libro non sarebbe da 4, come dicevo, ma da 5. Stavolta però ho voluto essere un pochetto più critico e pensare a come questo testo possa essere visto a 360°. Non sono così convinto, come lo ero inizialmente, che possa davvero piacere a chi non è interessato al football. Il consiglio è di farlo leggere anche alla suocera ma il sospetto è che per molti tratti risulterebbe poco appassionante ed incomprensibile ai più. Probabilmente i capitoli su Jerry Jones (proprietario dei Dallas Cowboys) e sul football giovanile (universitario e dei licei) sono quelli che possono catturare una più ampia platea, perché descrivono aspetti della cultura americana a noi sconosciuti o spesso incomprensibili che in queste pagine vengono presentati in modo superbo e passionale aprendo una finestra di realtà affascinante che spinge il lettore oltre l'idea di sport e football verso i quali si incentra, al contrario, il fulcro del discorso generale, ossia il fortissimo legame, quasi religioso, tra i texani e la palla ovale. Buona parte dell'opera, però, sembra pasta per veri appassionati, il capitolo finale sulla Usfl è per nostalgici veri e per coloro che di football non ne hanno mai a sufficienza, ma non credo potrebbe risultare troppo comprensibile ai più né, tantomeno, appassionare realmente la stragrande maggioranza dei neofiti.
Quattro stelle anche perché le cinque, forse, sarebbero sembrate scontate, un omaggio al rapporto di stima tra il lettore e chi scrive più che un vero giudizio critico, quattro stelle perché il libro doveva contenere almeno il doppio della pagine (sì, lo so, lo sforzo è stato immane per Gotta ma, credetemi, nelle dita aveva almeno altre 300 pagine da raccontarci), quattro stelle perché non si poggi sugli allori e il prossimo, già promesso ed attesissimo capitolo, sia superiore a questo. Il problema è che se non lo fosse dovrei dargli tre stelle, ma nelle votazioni umane, come ci insegna lo stesso Gotta ogni volta, c'è pura imperfezione.
Quattro stelle, infine, perché lo scritto di Gotta è sì perfetto, ma anche troppo preciso (paradossale, lo so), non lascia nulla al caso e tende a spiegare sino all'ultima virgola con estrema dedizione. Se da un lato è un metodo più che corretto ed apprezzabile, dall'altro allunga i periodi all'infinito, apre incisi e parentesi una dopo l'altra, rischia di scoraggiare il lettore meno attento o, appunto, occasionale. Insomma, se conosci e apprezzi lo stile di Gotta nessun problema, altrimenti vale il discorso fatto poc'anzi, ossia il rischio che i neofiti si perdano un po' in giro per lunghe spiegazioni scoraggiandosi di fronte a una serie di innumerevoli precisazioni che non li aiutano a rimanere fortemente sul pezzo.
Perché ne meritava 5...
Cinque stelle ci potevano stare? Ho già detto di sì e lo ribadisco. Cinque stelle per l'ottima scrittura, per la dovizia di particolari, per la sottile ironia di alcuni passaggi, ma soprattutto per la mole di passione che esce da ogni pagina, di cui è piena ogni singola battuta. Cinque stelle perché un'opera del genere, fatta da un italiano, è un caso unico ed è al pari di tantissima roba che potrebbero scrivere quelli che stanno dall'altra parte dell'oceano e nei college ci sono cresciuti. Cinque stelle perché se amate lo sport, il football, le stranezze americane ed i loro riti legati allo sport universitario e non solo, se siete curiosi o volete approfondire, questo libro vi porta le testimonianze oculari e vissute di un uomo rimasto ragazzino nella passione, nella felicità di vedere l'ovale schizzare in cielo in cerca di un ricevitore, un po' come è per me e gli amici di Endzone o Play.It. Cinque stelle le poteva avere perché a tratti si evidenziano passaggi sfuggiti anche agli appassionati come me, chicche e particolarità che non si erano notate o non si erano approfondite. Cinque stelle perché se anche qualche capitolo poteva riuscire meglio ed apparire meno come riempitivo (mi riferisco soprattutto all'ultimo, sulla già citata Usfl) altri sono capolavori del genere. Tra viaggio e sport, tra culture locali e amore.
Perché, se si potesse, 6 stelle non sarebbero state così fuori luogo...
Sei stelle al coraggio di ribadire la propria passione nel mondo dei calciofili e basta, dove tutto è tondo e nulla ovale. Al coraggio dell'autore, e di Stefano Olivari di Indiscreto, l'editore, entrambi mai banali e scontati. Sei stelle per quella commozione che ogni tanto ti attanaglia in alcune pagine che ti fanno ricordare, ripensare o anche solo che servono a farti venire una gran voglia di montare su un aereo e fuggire. Sei stelle per i capitoli su Jones, un uomo che meriterebbe una serie televisiva biografica a lui completamente dedicata, per le luci del venerdì sera e per le sfide collegiali. Sei stelle da tifoso dei Chicago Bears e appassionato di storia del gioco per quella lacrimuccia, e quel ricordo, rimessi in piedi sul finale del penultimo capitolo dove si cita Johnny Bailey, morto un anno fa di questi giorni e dimenticato da quasi tutti ma non da chi ha memoria per il suo record in squadra. E nemmeno dalla sua università che ne ritirerà la maglia numero 20. E nemmeno da Gotta che lo ha imprigionato per sempre nella storia con poche righe di questo libro.
Se  non lo avete ancora fatto, buona lettura.

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