Io sono tra coloro che non hanno accolto positivamente “la mescolanza” del nuovo governo. Neanche dopo lunghe sedute di auto-ipnosi mi sono convinto che l’unica possibilità fossero le larghe intese. Tutto questo per una ragione semplice: le possibilità sono tante, tantissime. Non è vero che non poteva esistere un governo del cambiamento, nonostante avessimo la peggiore legge elettorale del mondo. Si poteva eleggere Prodi al 5 scrutinio e immaginarsi una concatenazione di eventi che avrebbero disegnato una nuova narrazione politica. Una narrazione che mettesse al primo posto la giustizia sociale (in un paese così tremendamente iniquo) e la tutela ambientale – paesistica e della salute, con innovazione, crescita e riduzione dell’insopportabile peso fiscale; ma lo si poteva fare senza ipotizzare il legame di necessità tra crisi della politica e governissimo con Berlusconi. Per raccontare storie attraenti i personaggi devono cambiare, assieme agli obbiettivi che formano il contenuto della storia. Mi è sembrato strano che persino Renzi, l’uomo della nuova, nuovissima narrazione, rinconoscesse il governissimo come unica e ultima possibilità di salvezza di un sistema politico al collasso.Lo credevo sinceramente più largo di vedute. E badate, non dico che Letta sia un cattivo presidente del consiglio. Anzi. Dico solo che il modo con cui questa storia è nata non lo condivido affatto. Comunque ora il mio partito ( non cambierò mai casacca) deve misurarsi con il problema dell’identità. Ma non vorrei che si scambiasse il tema dell’identità con quello della politica vecchia dei blocchi ideologici del novecento: oggi serve un’identità certamente più leggera e aperta. Dobbiamo tuttavia ridare il senso al PD e per fare questo si deve riscrivere un manifesto ideale (e concreto) degli obbiettivi che dovrà avere un soggetto politico progressista nei prossimi 50 anni. Se non si farà questo si morirà o saremo comunque condannati a lasciare il passo al populismo dei leader improvvisati e carismatici. Per fare questo bisogna anche tentare la strada del cambiamento dei soggetti, dei giocatori della partita per la nuova identità, allontanando i teorici della mescolanza: l’Italia non è la Svizzera, nel bene e nel male. Ecco perché si deve ricominciare a sognare. Ed io sogno un partito vicino ai territori, che tuteli le autonomie e il patrimonio culturale, perché l’italia è il paese dei comuni, che ne rappresentano spina dorsale e ricchezza culturale. Poi vorrei un partito che parli di ambiente come nelle social-democrazie scandinave e che sappia far concidere le ragioni dello sviluppo economico con quelle dello sviluppo delle tecnologie di difesa e prevenzione della salute dei cittadini. Poi vorrei un partito che non abbia paura di rivedere il diritto del lavoro, ma non i diritti dei lavoratori. Un partito cioè che non consideri la tutela dei lavoratori come conclusa negli anni settanta, ma che sappia guardare ai nuovi bisogni economici e occupazionali di chi investe nel paese. Vorrei poi un partito che si batta per un’Europa coesa e democratica: non si può più tollerare che le decisioni fondamentali per le nostre vite siano prese dai ministri delle finanze e dalla troika della Banca centrale europea. Serve urgentemente una riforma delle istituzioni europee in senso davvero rappresentativo dei cittadini, così da creare una politica fiscale, del lavoro, commerciale ed estera comune. Infine sogno un partito che si batta per una riforma del sistema scolastico e universitario, tenendo conto davvero degli sbocchi produttivi e professionali dei prossimi decenni. Un partito ideale dovrebbe inoltre battersi per l’istituzione del reddito minimo garantito , per assicurare la tenuta sociale e ridurre le enormi disuguaglianze (culturali ed economiche) di questo paese. Ma anche per i diritti degli omosessuali e delle coppie non fondate sul matrimonio. Infine vorrei un partito aperto, che non escluda ma includa. Che sappia accogliere le opinioni critiche all’interno come occasione di crescita e non come un impedimento. Un partito con sale piene di ragazzi e ragazze liberi che dibattono e crescono insieme, anche se le loro idee non coincidono per forza con quelle dei loro leader adulti. Vorrei anche un partito dove i rappresentanti e i rappresentati si incontrino spesso per contaminarsi.
Ma per fare questo bisogna cambiare i leader, ammazzare i padri insomma. Perché tutto questo sognare presuppone la capacità di creare un’identità che gli stanchi teorici della “mescolanza” a tutti i costi, come “unica possibilità” di (auto) sopravvivenza non riuscirebbero mai a capire.